L’Europa (per riprendere una
metafora del sociologo francese Bruno Latour) si trova nella situazione di
un’azienda automobilistica che constata che i suoi modelli di punta hanno freni
malfunzionanti e producono emissioni di anidride carbonica nocive per la salute
dei guidatori e dei passeggeri. Cosa fa l’azienda? Ritira il suo prodotto!
L’Europa deve riportare in un’officina di riparazione il suo modello di
modernità autodistruttiva – ossia: ripensarlo e ricollaudarlo politicamente. È
quanto andava scrivendo il sociologo Ulrich Beck - “Quattro risposte sull'Europa” - sul quotidiano la Repubblica del 4
di maggio dell’anno 2013. Siamo a soli due mesi dalle elezioni europee. Ed ho
avuto modo di scrivere, nel post precedente, che il tempo è venuto. È venuto il
tempo che si parli di Europa in Europa ma anche e soprattutto nel nostro paese.
E bisognerebbe parlarne alla luce di quanto Ulrich Beck aggiungeva nella Sua
riflessione: Immaginiamo che in Gran Bretagna gli euroscettici prendano il
sopravvento e che la Gran Bretagna esca dall’Ue. I britannici avrebbero allora
un senso più chiaro della loro identità? Avrebbero più sovranità per decidere
sulle loro faccende? No! Molto probabilmente gli scozzesi e i gallesi
rimarrebbero nell’Ue; di conseguenza, si creerebbe una frattura dell’United
Kingdom. E la Gran Bretagna – no, l’Inghilterra! – subirebbe una notevole
perdita di sovranità, se per sovranità si intende il potere reale di
influenzare le proprie faccende e le decisioni degli altri. Credo che la
situazione storica sia assolutamente inequivocabile: l’Unione Europea è in
grado di realizzare gli interessi nazionali più di quanto potranno mai fare le
nazioni da sole. Perché si affermi questa convinzione, è necessario battersi in
Europa per l’Europa. Poiché deve essere chiara la scelta di fronte alla
quale ci troveremo in quanto elettori: non tanto un antistorico “Europa
sì/Europa no” ma piuttosto quale Europa in un mondo della complessità e delle
grandi dimensioni che solo aggregando forze consentirà di entrare a pieno
titolo nella competizione planetaria. Ed a tale proposito Ulrich Beck
sottolineava: Tutti si interrogano sull’Europa, ma nessuno ribalta da capo a piedi la
domanda sull’Europa. Non dobbiamo soltanto riflettere sulla visione di un altro
futuro europeo, ma anche sulla visione di una “altra nazione”: come si possono
liberare dall’orizzonte del XIX secolo e come si possono aprire al mondo
cosmopolitico del XXI secolo l’autocomprensione della grande nation, del
nazionalismo e la categoria dello Stato nazionale democratico? Occorre allora
distinguere chiaramente tra un fondamentalismo nazionale non-patriottico, che
si rifugia nella nostalgia e si chiude all’Europa e al mondo, e un nazionalismo
cosmopolitico, che ridefinisce i suoi interessi nazionali aprendosi al mondo,
nell’alleanza cooperativa con gli altri paesi europei. Che l’Ue abbia un futuro
dipende da una Francia europea, una Grecia europea, una Germania, una Spagna,
una Polonia, un’Olanda, ecc. europee. È questa la dimensione utile che
dovrebbe assumere la discussione su l’Europa che si vorrà dalle elezioni di
maggio. Ma nel bel paese tutto si confonde in un chiacchiericcio inconcludente
che soccorre bene la politica dalla qualità pessima. Eppure non dovrebbe
sfuggire ai più che la partita è decisiva e della massima importanza sol che si
voglia invertire una linea politica europea improntata esclusivamente alla più
disperata strategia dell’austerità a tutti i costi. Ritengo che sia importante
allora prepararsi a nuove strategie e a dare credito alle nuove proposte che
vengano dalla società civile che ben poco peso e nessuna parola ha potuto avere
e manifestare sulle scelte operate dalle oligarchie europee. Il tempo è venuto
ho di già scritto, aggiungendo che non ce ne sarà concesso un altro ancora. Il
dramma del paese ellenico, mirabilmente tratteggiato da Barbara Spinelli sulla
scorta dei dati forniti dalla rivista medico-scientifica Lancet, sta lì a
gettare una luce sinistra su di un avvenire non troppo lontano che potrebbe
inverarsi anche per tanti altri paesi della vecchia Europa. In questa direzione
va l’appello che Ulrich Beck – “C’è
un’Europa oltre Bruxelles scegliamola con il voto” – ha lanciato dalle
colonne del quotidiano la Repubblica del
27 di febbraio, appello sottoscritto anche da Zygmunt Bauman, Elisabeth
Beck-Gernsheim, Daniel Birnbaum, Angelo Bolaffi, Jacques Delors, Chris Dercon,
Slavenka Drakulic, Ólafur Elíasson, Péter Esterházy, Iván Fischer, Anthony
Giddens, Lars Gustafsson,Jürgen Habermas, Ágnes Heller, Harold James, Mary
Kaldor, Navid Kermani, Ivan Krastev, Michael Krüger, Pascal Lamy, Bruno Latour,
Antonín Jaroslav Liehm, Robert Menasse, Christoph Möllers, Henrietta L. Moore,
Edgar Morin, Adolf Muschg, Cees Nooteboom, Andrei Plesu, Ilma Rakusa, Volker
Schlöndorff, Peter Schneider, Gesine Schwan, Hanna Schygulla, Tomáš Sedlácek,
Kostas Simitis, Klaus Staeck, Richard Swartz, Michael M. Thoss, Lilian Thuram,
Alain Touraine, António Vitorino, Christina Weiss, Michel Wieviorka: Il
prossimo maggio le cittadine e i cittadini saranno per la prima volta chiamati
alla scelta sul futuro dell’Europa. Quale Europa vogliamo? Dal momento
dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona e per tutta la durata della
crisi i cittadini non hanno mai avuto l’opportunità di esprimere il loro
giudizio sul futuro dell’Unione Europea, in un processo di formazione
democratica della volontà. Questa volta, la novità è costituita dalla presenza
di diversi candidati alla carica di presidente della Commissione europea, con
la possibilità di scegliere tra diversi modelli d’Europa. È un salto quantico
politico. Infatti, nel medesimo momento e in tutta l’Europa discuteremo in
lingue diverse sugli stessi temi – cioè su persone e sui loro programmi.
Vogliamo il “meno Europa” di un David Cameron, dettato dagli imperativi del
mercato, oppure un’“altra Europa”, che sottopone il mercato a regole
democratiche, come ha in mente il presidente del Parlamento europeo, Martin
Schulz? I partiti anti-europei e i loro candidati vogliono essere eletti
democraticamente per minare la democrazia in Europa. Invitiamo i cittadini
d’Europa a negare il loro voto a questo attacco politico suicida. Ma è
assolutamente necessario prendere sul serio lo scetticismo dei cittadini. Per
la rinascita dell’Europa è indispensabile mettere pubblicamente in luce i
difetti congeniti dell’Ue. Noi siamo contrari a una politica europea capace di
mobilitare 700 miliardi di euro per stabilizzare il sistema bancario, ma che
vuole spendere soltanto 6 miliardi per contrastare la disoccupazione giovanile.
Molti, e tra di loro anche tanti giovani europei, hanno la sensazione che
esista un mondo parallelo anonimo chiamato “Bruxelles”, e che esso minacci la
loro identità, la loro lingua e la loro cultura. È sorta un’Europa delle
élites, senza un’Europa dei cittadini. Per guadagnare i cittadini all’Europa,
la politica deve affrontare i temi che stanno a cuore alle persone. L’Europa si
trova in un moment of decision. Dipenderà essenzialmente dall’esperienza, dagli
orientamenti di fondo, dal coraggio e dall’abilità del prossimo presidente
della Commissione europea se riusciremo a superare in Europa il “dispotismo
benintenzionato” (Jacques Delors) e a far acquisire al vecchio continente una
posizione energica e una voce che parli del futuro in un mondo globalizzato.
Il tempo è venuto, allora. E non ci si potrà sottrarre al dovere ed all’impegno
di dare un nuovo indirizzo all’Europa che non sia più l’Europa dei mercati ma
diventi un’Europa che pieghi i mercati alle necessità ed ai bisogni dei
cittadini europei. Se non al prossimo maggio, quando? Sol che ci si liberi da
vetusti schemi mentali e che si faccia convinzione comune e diffusa che
l’interdipendenza e l’unione sono necessarie per competere nel mondo
globalizzato del secolo ventunesimo.
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