Permettetemi d’essere convinto –
ma molto convinto - che poche siano nella vita le occasioni nel corso delle quali
il lato oscuro delle cose o degli accadimenti degli umani venga disvelato nella
pienezza sua. E sì che ho già vissuto abbastanza per non dovermene di continuo
meravigliare. Poiché le cose e gli accadimenti tutti hanno un lato per così
dire in chiaro, visibilissimo ed intellegibile, ma al contempo nascondono un
altro lato difficilmente osservabile e riconoscibile. È quanto mi è capitato –
e non per la prima volta in verità – a seguito della lettura di un pezzo –
seppur breve - di straordinaria maestria di Chiara Saraceno pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 4 ultimo scorso col titolo “Se anche il carcere divide i ricchi dai poveri”. La scrittura
magistrale del sociologo è tutto un disvelare quel lato oscuro dell’accadimento
che da giorni tiene le prime pagine dei quotidiani. Poiché a ben pensare ciò
che ci appare nelle cose o negli accadimenti degli umani è di sicuro il lato
più elementare, più primitivo oserei dire, quello in verità già
convenientemente scarnificato. È ciò che avviene quando la vanità degli umani prende
il sopravvento e ciascuno ricerca e studia di mostrare il lato più fotogenico del
proprio viso, dell’aspetto migliore del proprio corpo nel suo assieme. Un lato
ci deve pur essere che venga considerato il più bello e fotogenico e quindi da
mostrare. Ma forse esso, quel lato intendo dire, non sempre rappresenta al
meglio l’identità vera dell’essere umano. Ma è considerato il più fotogenico e
tanto basta. Così è pure per le cose e per gli avvenimenti. C’è sempre un lato
che si vuole privilegiare, quasi a nascondere un altro lato sul quale non si fa
troppo affidamento. O del quale ci si vergogna. È la forza dell’apparire che detta
in ogni circostanza la condizione delle cose e degli accadimenti. C’è un passo
nel pezzo magistrale di Chiara Saraceno che mi ha rivelato – che rivela - quel
lato oscuro - non in chiaro - della vicenda di questi affannosi giorni. Scrive:
Se
non affronta l’ineguale diritto all’umanità dei detenuti nelle carceri
italiane, il diritto alla propria umanità rivendicato dalla ministra non è
altro che la rivendicazione del diritto alla discrezionalità benevola in assenza
di diritti e garanzie per tutti. Ecco disvelato l’oscuro di quel lato
umanitario tante volte richiamato dalle cronache in queste convulse ore.
L’orgoglio di dire “sono stata umana”. La supponenza di dire “non ho nulla da rimproverarmi”. La protervia
d’affermare “se non mi credono me ne vado”. Bene. Sembra facile liquidare la
querelle in quei termini. Nel lato non in chiaro della vicenda è sfuggito ai
più quell’aspetto di classe che la giustizia nel bel paese possiede e conserva
senza destar scandalo alcuno. Riporta Chiara Saraceno il dispositivo del perito
secondo il quale Giulia Ligresti soffriva “di un disturbo dell’adattamento, che è un
evento stressante in modo più evidente per chi sia alla prima detenzione e in
particolar modo per chi sia abituato a una vita particolarmente agiata, nella
quale abbia avuto poche possibilità di formarsi in situazioni che possano,
anche lontanamente, preparare alla condizione di restrizione della libertà e
promiscuità correlate alla carcerazione». Donde ne è conseguita la
concessione degli arresti domiciliari al posto della detenzione. In quel
documentare del perito si coglie nella sua interezza l’oscuro del lato
umanitario della vicenda – ai più certamente sfuggito poiché, forse,
artatamente reso poco visibile – laddove per Chiara Saraceno se
ne deduce che invece chi non è abituato a una vita particolarmente agiata ha
più facilità ad adattarsi alle condizioni di vita in carcere. Ne deriva, per
seguire fino in fondo la logica di questo ragionamento, che l’istituzione carceraria
deve essere particolarmente attenta ai bisogni e alle difficoltà di chi arriva
in carcere da una vita di privilegi. Una attenzione che invece non è necessaria
nei confronti dei poveri cristi che ci arrivano da vite modeste. Le “difficoltà
di adattamento” di questi ultimi, e più generalmente il loro malessere, devono
essere molto più vistosi per avere una possibilità di essere presi in
considerazione. E non sempre ciò basta, proprio perché mancano loro le
conoscenze, il know how, per mobilitare perizie e richiamare l’attenzione. Ora
vien da chiedersi cosa necessiti per l’insorgere negli umani di quel benedetto
lato della persona detto umanitario, per l’appunto. Che sia un’impronta della
natura? Che sia dovuto alla genetica? O meglio, che sia una conquista della
cultura e del sistema sociale? E tutti gli umani ne sono in possesso? Ed in
quale misura? O forse che esso si sviluppi in dose maggiore laddove le
circostanze della vita lo consentano? Poiché, da quell’argomentare del perito
per Chiara Saraceno ne discenderebbe che: Se poi, oltre a non essere agiate,
presentano anche qualche tipo di vulnerabilità sociale (piccoli precedenti,
tossicodipendenza, segnalazione ai servizi sociali e simili), le loro
condizioni di malessere rischiano di essere sistematicamente ignorate o
sottovalutate — qualche volta fino alla morte, come è avvenuto per il povero
Cucchi: prima picchiato da chi lo aveva arrestato, poi lasciato morire dai
medici per carenza di assistenza medica e per mancanza di cibo e di liquidi. Poiché
a questo punto è ben difficile sottrarsi all’affollarsi nella mente di tutti
quei retro-pensieri – di solito cattivelli - che l’inquietante vicenda
favorisce. Ché altri fattori favoriscano quell’aspetto oscuro del lato
umanitario? Soprattutto in coloro che presidiano le stanze del potere? E della
ricchezza? Le cronache in verità ne sono piene cum abundantia. Conclude
amaramente l’illustre sociologo: (…). …nel girone infernale delle carceri
italiane, la possibilità che i detenuti continuino a essere considerati esseri
umani con diritto alla dignità e integrità personale e alla cura è affidato —
come nell’ancien régime — alla discrezionalità di chi ha il potere di
accogliere una supplica o ai privilegi riconosciuti alla ricchezza e allo
status sociale — incluso il privilegio di vedersi riconosciuto un plus di
vulnerabilità e sofferenza. Quanti altri detenuti si trovano in condizioni di
“disadattamento grave” alle condizioni carcerarie, ma non hanno modo di
attirare l’attenzione della ministra, o non viene loro neppure in mente di
poterlo fare, e non sono abbastanza agiati da sollecitare la comprensione di un
perito? È riuscita Chiara Saraceno a disvelare anche a Voi tutti
l’oscuro che può pur esserci nel lato umanitario di chicchessia? Ché il
cosiddetto lato umanitario possa essere sfoggiato alla bisogna a mo’ del
cosiddetto lato fotogenico – forse meno fotogenico dell’altro lato - che
ciascuno pensa di possedere? Sarà bene che ciascuno si attrezzi
convenientemente per apprestare un lato fotogenico ma ancor più un lato
umanitario – al pari del lato ironico, romantico, cinico, ecc. ecc. - della
propria persona per meglio affrontare il periglioso navigare nei meandri della
vita.
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