"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 5 novembre 2013

Cosecosì. 62 L’oscuro del lato umanitario.



Permettetemi d’essere convinto – ma molto convinto - che poche siano nella vita le occasioni nel corso delle quali il lato oscuro delle cose o degli accadimenti degli umani venga disvelato nella pienezza sua. E sì che ho già vissuto abbastanza per non dovermene di continuo meravigliare. Poiché le cose e gli accadimenti tutti hanno un lato per così dire in chiaro, visibilissimo ed intellegibile, ma al contempo nascondono un altro lato difficilmente osservabile e riconoscibile. È quanto mi è capitato – e non per la prima volta in verità – a seguito della lettura di un pezzo – seppur breve - di straordinaria maestria di Chiara Saraceno pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 4 ultimo scorso col titolo “Se anche il carcere divide i ricchi dai poveri”. La scrittura magistrale del sociologo è tutto un disvelare quel lato oscuro dell’accadimento che da giorni tiene le prime pagine dei quotidiani. Poiché a ben pensare ciò che ci appare nelle cose o negli accadimenti degli umani è di sicuro il lato più elementare, più primitivo oserei dire, quello in verità già convenientemente scarnificato. È ciò che avviene quando la vanità degli umani prende il sopravvento e ciascuno ricerca e studia di mostrare il lato più fotogenico del proprio viso, dell’aspetto migliore del proprio corpo nel suo assieme. Un lato ci deve pur essere che venga considerato il più bello e fotogenico e quindi da mostrare. Ma forse esso, quel lato intendo dire, non sempre rappresenta al meglio l’identità vera dell’essere umano. Ma è considerato il più fotogenico e tanto basta. Così è pure per le cose e per gli avvenimenti. C’è sempre un lato che si vuole privilegiare, quasi a nascondere un altro lato sul quale non si fa troppo affidamento. O del quale ci si vergogna. È la forza dell’apparire che detta in ogni circostanza la condizione delle cose e degli accadimenti. C’è un passo nel pezzo magistrale di Chiara Saraceno che mi ha rivelato – che rivela - quel lato oscuro - non in chiaro - della vicenda di questi affannosi giorni. Scrive: Se non affronta l’ineguale diritto all’umanità dei detenuti nelle carceri italiane, il diritto alla propria umanità rivendicato dalla ministra non è altro che la rivendicazione del diritto alla discrezionalità benevola in assenza di diritti e garanzie per tutti. Ecco disvelato l’oscuro di quel lato umanitario tante volte richiamato dalle cronache in queste convulse ore. L’orgoglio di dire “sono stata umana”. La supponenza di dire  “non ho nulla da rimproverarmi”. La protervia d’affermare “se non mi credono me ne vado”. Bene. Sembra facile liquidare la querelle in quei termini. Nel lato non in chiaro della vicenda è sfuggito ai più quell’aspetto di classe che la giustizia nel bel paese possiede e conserva senza destar scandalo alcuno. Riporta Chiara Saraceno il dispositivo del perito secondo il quale Giulia Ligresti soffriva “di un disturbo dell’adattamento, che è un evento stressante in modo più evidente per chi sia alla prima detenzione e in particolar modo per chi sia abituato a una vita particolarmente agiata, nella quale abbia avuto poche possibilità di formarsi in situazioni che possano, anche lontanamente, preparare alla condizione di restrizione della libertà e promiscuità correlate alla carcerazione». Donde ne è conseguita la concessione degli arresti domiciliari al posto della detenzione. In quel documentare del perito si coglie nella sua interezza l’oscuro del lato umanitario della vicenda – ai più certamente sfuggito poiché, forse, artatamente reso poco visibile – laddove per Chiara Saraceno se ne deduce che invece chi non è abituato a una vita particolarmente agiata ha più facilità ad adattarsi alle condizioni di vita in carcere. Ne deriva, per seguire fino in fondo la logica di questo ragionamento, che l’istituzione carceraria deve essere particolarmente attenta ai bisogni e alle difficoltà di chi arriva in carcere da una vita di privilegi. Una attenzione che invece non è necessaria nei confronti dei poveri cristi che ci arrivano da vite modeste. Le “difficoltà di adattamento” di questi ultimi, e più generalmente il loro malessere, devono essere molto più vistosi per avere una possibilità di essere presi in considerazione. E non sempre ciò basta, proprio perché mancano loro le conoscenze, il know how, per mobilitare perizie e richiamare l’attenzione. Ora vien da chiedersi cosa necessiti per l’insorgere negli umani di quel benedetto lato della persona detto umanitario, per l’appunto. Che sia un’impronta della natura? Che sia dovuto alla genetica? O meglio, che sia una conquista della cultura e del sistema sociale? E tutti gli umani ne sono in possesso? Ed in quale misura? O forse che esso si sviluppi in dose maggiore laddove le circostanze della vita lo consentano? Poiché, da quell’argomentare del perito per Chiara Saraceno ne discenderebbe che: Se poi, oltre a non essere agiate, presentano anche qualche tipo di vulnerabilità sociale (piccoli precedenti, tossicodipendenza, segnalazione ai servizi sociali e simili), le loro condizioni di malessere rischiano di essere sistematicamente ignorate o sottovalutate — qualche volta fino alla morte, come è avvenuto per il povero Cucchi: prima picchiato da chi lo aveva arrestato, poi lasciato morire dai medici per carenza di assistenza medica e per mancanza di cibo e di liquidi. Poiché a questo punto è ben difficile sottrarsi all’affollarsi nella mente di tutti quei retro-pensieri – di solito cattivelli - che l’inquietante vicenda favorisce. Ché altri fattori favoriscano quell’aspetto oscuro del lato umanitario? Soprattutto in coloro che presidiano le stanze del potere? E della ricchezza? Le cronache in verità ne sono piene cum abundantia. Conclude amaramente l’illustre sociologo: (…). …nel girone infernale delle carceri italiane, la possibilità che i detenuti continuino a essere considerati esseri umani con diritto alla dignità e integrità personale e alla cura è affidato — come nell’ancien régime — alla discrezionalità di chi ha il potere di accogliere una supplica o ai privilegi riconosciuti alla ricchezza e allo status sociale — incluso il privilegio di vedersi riconosciuto un plus di vulnerabilità e sofferenza. Quanti altri detenuti si trovano in condizioni di “disadattamento grave” alle condizioni carcerarie, ma non hanno modo di attirare l’attenzione della ministra, o non viene loro neppure in mente di poterlo fare, e non sono abbastanza agiati da sollecitare la comprensione di un perito? È riuscita Chiara Saraceno a disvelare anche a Voi tutti l’oscuro che può pur esserci nel lato umanitario di chicchessia? Ché il cosiddetto lato umanitario possa essere sfoggiato alla bisogna a mo’ del cosiddetto lato fotogenico – forse meno fotogenico dell’altro lato - che ciascuno pensa di possedere? Sarà bene che ciascuno si attrezzi convenientemente per apprestare un lato fotogenico ma ancor più un lato umanitario – al pari del lato ironico, romantico, cinico, ecc. ecc. - della propria persona per meglio affrontare il periglioso navigare nei meandri della vita.

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