Per fortuna che Luca Pasquale c’è.
Altrimenti bisognerebbe inventarlo. Luca Pasquale chi? Nientepopodimenochè
Zalone, detto Checco. Checco perché? Non lo si sa. All’anagrafe Luca Pasquale
Medici. Di Bari. E tanto basta. Poiché Luca Pasquale, altrimenti detto Checco,
rappresenta la palingenesi della cultura del bel paese. Senza il Checco è la
fine, lo sfascio. Lo dico a ragion veduta. Ieri sera c’era la ressa per
assistere alle sue imprese. Nel cinema di C***, nella Sicilia generosa. Nello
stesso cinema che per vedere “Lincon”
sono stato unico spettatore, correndo il rischio che la cassiera non mi
staccasse il biglietto d’ingresso. Nello stesso cinema nel quale per vedere
l’ultima fatica di Quentin Trantino – “Django”
– si era solamente in tre, non dovendo così impietosire l’addetto al
botteghino. Dicono le cronache che le copie circolanti del film siano 1250; di
altre “opere” – e dico opere nella più pura delle accezioni - cinematografiche
si perdono le tracce. In quel di C***, alle ultime propaggini dei Nebrodi
boscosi, avviene questo. Riporta il professor Umberto Galimberti nel Suo “Amate i libri: chi non legge non sa
niente” – sull’ultimo numero del settimanale “D” di Repubblica -: Caronda,
mitico legislatore di Catania del VI secolo a.C., disse: «La libertà viene da
un libro». Sempre di Sicilia si tratta, ma di un certo tempo addietro,
il sesto secolo avanti Cristo. Ohibò! Cose dell'altro mondo! Checco è la
palingenesi che, secondo i più informati sistemi filosofico-religiosi,
rappresenta il periodico rinnovamento dell'individuo o del cosmo. Checco
rappresenta il nostro rinnovamento. A tutto tondo. Se anche Caronda nel sesto
secolo avanti Cristo ravvisava nella lettura di un libro la ricerca della “libertà”,
cosa ne deriva in prospettiva per un popolo in fuga per accorrere a vedere
Checco Zalone? Scrive infatti il professor Galimberti: Per questo il calo dei lettori
getta un'ombra pericolosa sul nostro futuro. Ché non ci sia da dargli
ragione? Non per nulla Egli si rifà al pensiero robusto dell’Uomo di Treviri: (…).
…è questa la ragione per cui Marx ebbe a scrivere: «Per il capitalismo, attento
solo al denaro, un mercato di libri non differisce da un mercato di bestiame».
Se non per il fatto - aggiungo io - che il libro, rispetto al bestiame, è una
merce più povera. Ma chi, (…), al valore mercantile preferisce il valore delle
idee, giustamente ritiene che il mercato dei libri conservi una sua
peculiarità, (…). Cose facili e nobili a dirsi, ma difficili da sostenersi, in un'economia
di mercato assetata più di novità che di nuove idee. Questa è la ragione per
cui oggi, nella nostra società che ha velocizzato il tempo, la vita di un
libro, anche di successo, non oltrepassa i tre mesi, dopo di che il libro
incomincia a pesare sugli affitti dei magazzini che accumulano l'invenduto in
attesa del macero. E al macero, insieme ai libri, se ne vanno anche le idee,
che oggi non sembra siano le cose più ricercate, se è vero che solo nell'anno
appena trascorso il mercato dei libri ha registrato un calo del 30%. (…). Così
la cultura, già collassata nella scuola, collassa anche nell'editoria e, per
colpa del degrado progressivo della nostra scuola che non ha incuriosito né
invogliato i ragazzi a leggere, oggi sono considerati "lettori forti"
quelli che leggono almeno quattro libri all'anno. Ma così la cultura degrada, e
il suo degrado determina due conseguenze pericolose: la prima è che un popolo
incolto, e per giunta con un linguaggio afasico e stentato a cui si aggiunge un
analfabetismo di ritorno, con qualche maggiore difficoltà può uscire dalla
crisi che ci attanaglia. La seconda è che, siccome "guardare" è più
facile che "leggere", si consegna la cultura per intero alla
televisione e ai personaggi che vi compaiono, capaci di suggestionare e
determinare le scelte non solo politiche, ma anche gli stili di vita appresi
per imitazione, senza che un minimo di vaglio critico ci trattenga dal
rinunciare a essere noi stessi con le nostre idee. È che per anni ci è
stato detto dell’inutilità della cultura, cultura all’interno della quale la
lettura – ovvero il paziente e personale suo esercizio - diviene lo strumento
di quella palingenesi che determina l’affrancarsi da uno stato di “servitù”,
“servitù”
che al tempo d’oggi – forse con un ritorno all’indietro però – non è
meramente riscatto dal bisogno materiale ma qualcosa d’altro che i meno
avvertiti non ritrovano nel loro orizzonte di vita. Disquisiranno i dotti ed i
sociologi sul fenomeno Checco Zalone, ne rintracceranno le ragioni nascoste, il
perché ed il per come di quel “per fortuna che Luca Pasquale c’è”.
Ma intanto quelli che a C*** facevano ier sera ressa per riderci a “catinelle”
non sanno, se richiesto, lo stato d’anagrafe del Checco nazionale. Ha scritto
Giacomo Papi – “La beata ignoranza”,
sul settimanale “D” del 28 di gennaio dell’anno 2012 -: Quando le rivoluzioni arrivano di
solito si ride. Il nuovo ha una faccia così strana e goffa che, dall'imbarazzo,
non si riesca a fare altro. Abbiamo riso quando Claudio Cecchetto, nell'81,
scandiva "spray" e fingeva di deodorarsi in Gioca jouer. Sempre
nell'81 abbiamo sorriso di Jo Chiarello, la protetta di Califano che a Sanremo
portò Che brutto affare: "Io ti consideravo un super-man ma non sei
neanche un man, scemo". Abbiamo sfottuto anche il cane Asfidankel di Drive
In, le ragazze cin cin di Colpo grosso e il dj Awanagana. Non sapevamo che la
beata ignoranza sarebbe stato il nostro futuro, che per decenni rutti, lazzi e
"governi del fare" si sarebbero succeduti al potere, tronfi e impuniti.
Negli ultimi trent'anni il cervello è stato considerato una zavorra, l'organo
di chi spreca tempo e parole. Negli ultimi trent'anni l'intellettuale è stato
considerato una creatura inutile, pittoresca e residuale, sopravvissuta per
caso a una glaciazione. Invece, nulla è irreversibile e le risate rimbalzano.
Forse la storia è un alternarsi di braccia e cervello. Di periodi in cui ci si
sforza di conoscere prima di fare e di altri in cui si pretende di fare senza
conoscere. È che non si volevano invocare “le rivoluzioni”, che
sono cose tremendamente serie. Ma una palingenesi piccola piccola quella sì. Un
rinnovamento. L’abbiamo avuto. È Checco Zalone, all’anagrafe Luca Pasquale Medici.
Nessun commento:
Posta un commento