"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 4 novembre 2013

Cosecosì. 61 Checco Zalone e Caronda.



Per fortuna che Luca Pasquale c’è. Altrimenti bisognerebbe inventarlo. Luca Pasquale chi? Nientepopodimenochè Zalone, detto Checco. Checco perché? Non lo si sa. All’anagrafe Luca Pasquale Medici. Di Bari. E tanto basta. Poiché Luca Pasquale, altrimenti detto Checco, rappresenta la palingenesi della cultura del bel paese. Senza il Checco è la fine, lo sfascio. Lo dico a ragion veduta. Ieri sera c’era la ressa per assistere alle sue imprese. Nel cinema di C***, nella Sicilia generosa. Nello stesso cinema che per vedere “Lincon” sono stato unico spettatore, correndo il rischio che la cassiera non mi staccasse il biglietto d’ingresso. Nello stesso cinema nel quale per vedere l’ultima fatica di Quentin Trantino – “Django” – si era solamente in tre, non dovendo così impietosire l’addetto al botteghino. Dicono le cronache che le copie circolanti del film siano 1250; di altre “opere” – e dico opere nella più pura delle accezioni - cinematografiche si perdono le tracce. In quel di C***, alle ultime propaggini dei Nebrodi boscosi, avviene questo. Riporta il professor Umberto Galimberti nel Suo “Amate i libri: chi non legge non sa niente” – sull’ultimo numero del settimanale “D” di Repubblica -: Caronda, mitico legislatore di Catania del VI secolo a.C., disse: «La libertà viene da un libro». Sempre di Sicilia si tratta, ma di un certo tempo addietro, il sesto secolo avanti Cristo. Ohibò! Cose dell'altro mondo! Checco è la palingenesi che, secondo i più informati sistemi filosofico-religiosi, rappresenta il periodico rinnovamento dell'individuo o del cosmo. Checco rappresenta il nostro rinnovamento. A tutto tondo. Se anche Caronda nel sesto secolo avanti Cristo ravvisava nella lettura di un libro la ricerca della “libertà”, cosa ne deriva in prospettiva per un popolo in fuga per accorrere a vedere Checco Zalone? Scrive infatti il professor Galimberti: Per questo il calo dei lettori getta un'ombra pericolosa sul nostro futuro. Ché non ci sia da dargli ragione? Non per nulla Egli si rifà al pensiero robusto dell’Uomo di Treviri: (…). …è questa la ragione per cui Marx ebbe a scrivere: «Per il capitalismo, attento solo al denaro, un mercato di libri non differisce da un mercato di bestiame». Se non per il fatto - aggiungo io - che il libro, rispetto al bestiame, è una merce più povera. Ma chi, (…), al valore mercantile preferisce il valore delle idee, giustamente ritiene che il mercato dei libri conservi una sua peculiarità, (…). Cose facili e nobili a dirsi, ma difficili da sostenersi, in un'economia di mercato assetata più di novità che di nuove idee. Questa è la ragione per cui oggi, nella nostra società che ha velocizzato il tempo, la vita di un libro, anche di successo, non oltrepassa i tre mesi, dopo di che il libro incomincia a pesare sugli affitti dei magazzini che accumulano l'invenduto in attesa del macero. E al macero, insieme ai libri, se ne vanno anche le idee, che oggi non sembra siano le cose più ricercate, se è vero che solo nell'anno appena trascorso il mercato dei libri ha registrato un calo del 30%. (…). Così la cultura, già collassata nella scuola, collassa anche nell'editoria e, per colpa del degrado progressivo della nostra scuola che non ha incuriosito né invogliato i ragazzi a leggere, oggi sono considerati "lettori forti" quelli che leggono almeno quattro libri all'anno. Ma così la cultura degrada, e il suo degrado determina due conseguenze pericolose: la prima è che un popolo incolto, e per giunta con un linguaggio afasico e stentato a cui si aggiunge un analfabetismo di ritorno, con qualche maggiore difficoltà può uscire dalla crisi che ci attanaglia. La seconda è che, siccome "guardare" è più facile che "leggere", si consegna la cultura per intero alla televisione e ai personaggi che vi compaiono, capaci di suggestionare e determinare le scelte non solo politiche, ma anche gli stili di vita appresi per imitazione, senza che un minimo di vaglio critico ci trattenga dal rinunciare a essere noi stessi con le nostre idee. È che per anni ci è stato detto dell’inutilità della cultura, cultura all’interno della quale la lettura – ovvero il paziente e personale suo esercizio - diviene lo strumento di quella palingenesi che determina l’affrancarsi da uno stato di “servitù”, “servitù” che al tempo d’oggi – forse con un ritorno all’indietro però – non è meramente riscatto dal bisogno materiale ma qualcosa d’altro che i meno avvertiti non ritrovano nel loro orizzonte di vita. Disquisiranno i dotti ed i sociologi sul fenomeno Checco Zalone, ne rintracceranno le ragioni nascoste, il perché ed il per come di quel “per fortuna che Luca Pasquale c’è”. Ma intanto quelli che a C*** facevano ier sera ressa per riderci a “catinelle” non sanno, se richiesto, lo stato d’anagrafe del Checco nazionale. Ha scritto Giacomo Papi – “La beata ignoranza”, sul settimanale “D” del 28 di gennaio dell’anno 2012 -: Quando le rivoluzioni arrivano di solito si ride. Il nuovo ha una faccia così strana e goffa che, dall'imbarazzo, non si riesca a fare altro. Abbiamo riso quando Claudio Cecchetto, nell'81, scandiva "spray" e fingeva di deodorarsi in Gioca jouer. Sempre nell'81 abbiamo sorriso di Jo Chiarello, la protetta di Califano che a Sanremo portò Che brutto affare: "Io ti consideravo un super-man ma non sei neanche un man, scemo". Abbiamo sfottuto anche il cane Asfidankel di Drive In, le ragazze cin cin di Colpo grosso e il dj Awanagana. Non sapevamo che la beata ignoranza sarebbe stato il nostro futuro, che per decenni rutti, lazzi e "governi del fare" si sarebbero succeduti al potere, tronfi e impuniti. Negli ultimi trent'anni il cervello è stato considerato una zavorra, l'organo di chi spreca tempo e parole. Negli ultimi trent'anni l'intellettuale è stato considerato una creatura inutile, pittoresca e residuale, sopravvissuta per caso a una glaciazione. Invece, nulla è irreversibile e le risate rimbalzano. Forse la storia è un alternarsi di braccia e cervello. Di periodi in cui ci si sforza di conoscere prima di fare e di altri in cui si pretende di fare senza conoscere. È che non si volevano invocare “le rivoluzioni”, che sono cose tremendamente serie. Ma una palingenesi piccola piccola quella sì. Un rinnovamento. L’abbiamo avuto. È Checco Zalone, all’anagrafe  Luca Pasquale Medici.

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