"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 13 novembre 2013

Capitalismoedemocrazia. 41 “La crisi ti fa ricco”.



Mi appresto a “saccheggiare” il mio epistolario. Lo faccio con la speranza che il mio corrispondente non l’abbia a male. Ne conosco le qualità Sue umane, l’apertura Sua mentale e le capacità Sue intellettuali innegabili. Ma il “saccheggio” mi duole parimenti. È un epistolario che non ha il sapore delle antiche missive. Non è vergato su candidi fogli con la calligrafia richiesta. È ridotto ai fogli elettronici che imperversano oggigiorno. Freddi. Definisce “epistolario” il Sabatini-Coletti  come “raccolta stampata di lettere, soprattutto di personaggi celebri - sec. XVI”. Il mio epistolario non ha lettere stampate su carta preziosa ed i corrispondenti non sono da ascriversi ai “personaggi celebri”. Ciò non toglie che si possa avere un epistolario ancor oggi. Sarebbe il caso che lo si definisse “e-mailario”. Ha scritto in data 9 di novembre il carissimo mio corrispondente: Caro Aldo (…) sto maturando un'idea più pragmatica e meno ideologica della politica. Pur non rinnegando niente del mio passato (una cosa c'è di buono al mondo ed è la volontà buona), è ormai da tempo che rivedo in modo critico le mie vecchie convinzioni. (…). Alla base di tutto c'è la convinzione che il mondo è cambiato e che guardare la realtà con le lenti del passato si finisce col non comprenderne i connotati. Bisognerebbe cambiar lenti conservando naturalmente la montatura. (…). Non avevo ancor letto il dossier di Federico Fubini “La crisi ti fa ricco” pubblicato sul quotidiano la Repubblica del giorno 11 di novembre. E prima dell’illuminante lettura avevo risposto così il 10 di novembre: Carissimo (…), è fuor di dubbio che stiamo invecchiando (diversamente detto nel testo originale). Io, tu e tutti quanti quelli della nostra stagione. È un fatto incontrovertibile, è un processo lungo ed inarrestabile. È per questo motivo che il titolo che hai voluto dare alla precedente tua e-mail (dell’8 di novembre) mi è sembrato un tantino azzardato: "controcorrente". Rispetto a cosa? Per andare dove? Era grande cosa esserlo ai tempi della nostra giovinezza; oggigiorno mi appare quasi patetico. Poiché i tempi che siamo chiamati a vivere sono anche, e non soltanto, il frutto di quel non essere stati "controcorrente" al tempo che ci obbligava d'esserlo. Oggi, sarebbe certo buona cosa avere "un'idea più pragmatica e meno ideologica della politica". Ma, ad una lettura più attenta del presente, mi viene da dire che spogliare la politica delle ideologie è quella "scarnificazione del pensiero" della  quale vado dicendo da un po' di tempo – (…) -, denunciandone la pericolosità latente, che avvantaggia i "nemici" di sempre. E la visione "ideologica" sarebbe un bene che tornasse ad essere bussola di orientamento e di impegno. Per tornare ad essere "controcorrente"?  Chissà, forse. Poiché, a fronte di un fallimento epocale e storico di questa fase del capitalismo finanziario, tornare a "guardare la realtà con le lenti del passato" ci farebbe scorgere i reali "connotati" dell'oggi. Poiché aver cambiato le "lenti conservando naturalmente la montatura" ci ha condotti alle immagini distorte che tutti noi oggi confusamente intravvediamo. E la "montatura" è quella "struttura" e quella relativa "sovrastruttura" (te ne ricorderai di certo) che i pochi si arrogano il diritto di "costruire" per tutti. (…). Così mi premuravo di scrivere all’amico carissimo. E poi la lettura illuminante. Scrive Federico Fubini: Impossibile dimenticare il 2012, per chiunque lo abbia vissuto in Italia. L’anno in cui moltissimi iniziarono a sospettare che forse, per questa volta, non ci sarebbe stato un lieto fine. (…). Vent’anni dopo, nel 2012, sul Paese ha iniziato a stendersi l’ombra del dubbio che stavolta la durezza della crisi finanziaria, poi della recessione economica, sarebbe stata definitiva. Avrebbe lasciato il segno: gli stili di vita non sarebbero tornati ai tempi migliori così presto e ciò che si credeva possibile nella vita, non lo sarebbe stato più. Per intere generazioni, cambiava la portata delle aspirazioni. Ma davvero è andata così? La contabilità dei numeri, che di solito si presume fredda, racconta una sua storia con un colpo di scena finale. Basta fare qualche conto per capire che l’Italia del 2012 è una forbice sghemba. (…). È qui che entra in azione quella che ho definito una “lotta di classe all’incontrario”: di quelli che stanno in alto contro quelli che stanno sempre più giù nella scala sociale. Una lotta condotta con la parola d’ordine: le “classi sociali non esistono più”. Una bugia colossale, che oggi ci viene squadernata con il dilagante disagio sociale che ha investito il corpo grasso e molle di quello che è stato il cosiddetto “ceto medio”. Impoverito. Senza più alcuna chance di “ascesa sociale”. Scrive Federico Fubini, notista economico e punta di diamante del quotidiano la Repubblica: È un’Italia a doppia direzione in cui quasi nessuno resta fermo in mezzo, dov’era prima del grande crollo. Chi sta sempre meglio deve il suo cambio di condizione alla crisi tanto quanto chi sta sempre peggio. Ecco la contabilità del 2012. Numero delle imprese fallite nel 2012: 12.463, ossia 34 al giorno. Variazione nel numero di persone che, ufficialmente, sono rimaste senza un posto di lavoro: più 507 mila, oltre mezzo milione (senza considerare le centinaia di migliaia in cassa integrazione). Andamento del prodotto interno lordo: meno 2,4%, il peggior crollo del fatturato nel dopoguerra dopo quello indotto nel 2009 dal fallimento di Lehman Brothers. E il numero dei ricchi? Be’, quello è un’altra storia. Una vicenda uguale e contraria. I ricchi aumentano nel 2012. Per la precisione, 127 mila italiani in più il cui patrimonio stimato supera il milione di dollari americani. L’equivalente di una città di medie dimensioni. I milionari in dollari d’Italia erano un milione e 412 mila alla fine del 2011 e sono saliti a un milione e 529 mila alla fine del 2012. In sostanza, mentre l’economia metteva la retromarcia, le imprese morivano a migliaia al mese e le persone restavano senza lavoro, mentre gran parte degli italiani vivevano la fine dell’idea che ci sarebbe sempre stato un lieto fine, uno stellone nazionale, per alcuni le cose andavano un diversamente. I milionari d’Italia (in dollari) sono aumentati del 9,5%. Nel 2012 horribilis. E qui ci soccorre l’analisi precisa e la competenza di Federico Fubini. Nel mare magnum della comunicazione non sempre si ha la percezione esatta dei fatti e degli avvenimenti. Tanto di più in un settore, quello economico-finanziario, nel quale l’aridità delle cifre non invoglia i più all’attenzione ed all’impegno per capirne qualcosa di più. E non sempre i media si pongono al servizio dell’uomo della strada. Riesce nell’impresa ardua Federico Fubini, per l’appunto: (…). …deve esserci qualcos’altro che getta luce sull’andamento a forbice dell’economia italiana. Un indizio lo fornisce per esempio il Ftse Mib, il listino principale di Milano, che nel 2012 è salito in una percentuale curiosamente simile alla variazione nel numero di milionari d’Italia: se questi ultimi sono cresciuti del 9,5%, la Borsa di Piazza Affari è salita dell’8,5%. Una seconda traccia viene poi dagli andamenti delle obbligazioni, in particolare dei titoli di Stato italiani. Nel primo giorno del 2012 un Btp a dieci anni rendeva il 7,068%, nell’ultimo giorno di quello stesso anno invece solo il 4,49. Poiché i prezzi dei bond si muovono in direzione inversa rispetto ai loro rendimenti — salgono quando questi ultimi scendono (ovvero, più salgono di costo meno rendono, meno premiano, per via del rischio d’investimento e/o d’insolvenza n.d.r.) si ricava che le quotazioni della famiglia dei Btp sono cresciute nel 2012 di circa il 10% sull’insieme delle scadenze dai tre mesi ai dieci anni. Di nuovo, un’impennata sorprendentemente simile a quella nel numero dei milionari. Se due indizi fanno quasi una prova, ecco dunque la spiegazione più probabile dell’aumento degli italiani ricchi mentre tanti altri si avvicinavano alla povertà: moltissimi di quei 120 mila milionari in più, sono diventati tali perché è salito il valore del loro patrimonio investito in azioni o obbligazioni. È un fenomeno impossibile da cogliere se si guarda alle dichiarazioni dei redditi, perché i profitti da capitale sono tassati alla fonte in banca e non rientrano nelle denuncie e nei prelievi Irpef. E ovviamente non tutti i ricchi in Italia investono tutto il loro patrimonio in società quotate a Milano o in titoli del Tesoro. Ma molto sì, e quell’andamento al rialzo in Italia è pur sempre indicativo di ciò che è accaduto anche in altri mercati finanziari d’Europa o negli Stati Uniti. In sostanza: le imprese italiane nel 2012 fallivano o licenziavano, ma chi aveva patrimoni liquidi e li investiva stava sempre meglio. È uno dei paradossi della crisi. (…). Sono state le grandi banche centrali, con le loro enormi ondate di liquidità, che hanno fatto salire tutte le barche sui mercati finanziari. Le loro azioni hanno fatto crescere la Borsa e i prezzi dei bond e, chi aveva patrimoni, ne ha beneficiato. È uno dei grandi paradossi di questa crisi. (…). Ora tocca alle democrazie occidentali, non ai banchieri centrali, gestire le conseguenze di quest’ultimo morso della crisi. È la considerazione conclusiva di Federico Fubini. Sarebbe necessario a questo punto il ritorno della “politica”, ma di quella buona. Poiché solo il ritorno della “politica buona” e con un preciso orientamento sociale potrebbe fornirci le giuste lenti per una visione realistica degli avvenimenti del nostro tempo. È che aver cambiato le lenti “conservando naturalmente la montatura” ha avuto come risultato ultimo il disastro di oggi.

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