“Quellichelasinistra”.
Quelli che non erano “di”. Quelli che non stavano “a”.
“Quellichelasinistra”
che stavano con i “tupamaros”. “Quellichelasinistra” l’avevano
nel cuore. Ha scritto Riccardo Staglianò su “il Venerdì di Repubblica” dell’8
di novembre nel Suo straordinario reportage che ha per titolo “La felicità al potere. Intervista a José
Mujica”: …la scuola dei Tupamaros sembra non aver partorito leader rancorosi.
Eleuterio Fernández Huidobro, altro internato di Punta Carretas e oggi ministro
della Difesa, della forza del presidente fornisce un riassunto assoluto: «Pepe
pensa come Aristotele ma parla come Juan Pueblo»; il nostro Mario Rossi. Se
Mario Rossi parlasse come Pasolini. (…). Perché romantico resta, eccome. (…). Afferma
il Presidente: «Erano i tempi del socialismo scientifico, dell'ambizione di capire
quale fosse il disco fisso dell'animale uomo. Che resta, essenzialmente, un
animale utopico, nel senso che ha sempre bisogno di qualcosa in cui credere,
perché se non ci si innamora di qualcosa non ha senso alzarsi tutte le mattine
e continuare a lottare». Quando “quellichelasinistra” avevano un
sogno grande così. Che sta tutto nella Sua storia che Riccardo Staglianò
brevemente tratteggia: Dai primi anni Sessanta fa parte dei
Tupamaros, un movimento di lotta armata che si muove sull'onda della
rivoluzione cubana. Lo arrestano quattro volte. Gli mettono sei pallottole in
corpo. Organizza la più massiccia evasione della storia, così almeno la raccontano
i sudamericani, facendo uscire 106 persone grazie a un rocambolesco scavo di
tunnel. Quando lo riacciuffano seppelliscono vivi lui e gli altri otto
principali leader del movimento. Al primo passo falso dei compañeros fuori,
uccideranno uno dei «nove ostaggi» dentro. Dopo tre anni gli consentono di
ricevere libri. Lui chiede testi di matematica e Chacra, una rivista di
agraria. Reni e vescica però non reggono. I medici prescrivono due litri
d'acqua al giorno, i secondini gliene concedono una tazza. Sua madre gli porta
un vaso da notte rosa, ultima spiaggia dell'emergenza liquidi. Beve la sua
pipì. Quando nell'85 finisce la dittatura militare e li liberano lo brandisce
come un talismano, pieno di margheritine. Dai diamanti non nasce niente.
I “tupamaros”
chi? Avevo scritto in un mio post precedente – “Quelli che erano di sendero luminoso” -: E dei “Tupamaros”? Cosa ne è
stato dei “Tupamaros”? E di
Monsignor Camara? E di Monsignor Romero? E di Leonardo Boff? La Storia, la
Storia grande, non ha concessioni da fare agli umiliati ed ai perdenti di
sempre. “…el pueblo unido jamas serà
vencido…”. Sarà vero? Ne dubito assai. È che divento sempre più vecchio e
quindi sempre più disilluso. E come per un incanto, dalle nebbie fitte
della Storia, è come il tornare in vita di quelle schiere d’esseri umani che
hanno nel loro piccolo mondo tentato di cambiare il corso della Storia del
mondo più vasto. E si materializzano i “tupamaros”, non vinti ma vincitori,
nella straordinaria figura di José Pepe Mujica, che la stampa del pianeta, avvertita,
è come se lo restituisse non alla memoria ma alla vita. Come se avesse
viaggiato nell’aldilà e si fosse materializzato ai tempi scuri che ci è toccato
di vivere. Scrive del “Presidente” Riccardo Staglianò: Lui, José «Pepe» Mujica, è
felicissimo anche rinunciando al 90 per cento del suo stipendio presidenziale. (…).
Nel '95 è il primo ex tupamaro a essere eletto in Parlamento. Poi diventa
senatore. Poi ministro dell’Agricoltura. Infine, nel novembre 2009, presidente
con il 52 per cento dei voti (slogan: «Un governo onesto. Un Paese di prima
classe»). È cambiato tutto, tranne l'uomo. E la casa, di una cinquantina di
metri quadrati, in cui vive con la moglie e che preferisce alla residenza
presidenziale. È nel soggiorno, davanti a un tavolinetto su cui è quasi
impossibile prendere appunti tanto è angusto e stracolmo di carte e libri, che
si svolge l'intervista. (…). Dei novemila euro cui avrebbe diritto come
appannaggio mensile, Mujica ne prende 900 e dà il resto in programmi di microcredito.
(…). «Perché lo fa?». (…). «La mia idea di vita è la sobrietà. Concetto ben
diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto
e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo
spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il
tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un
bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le
cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo
libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L'alternativa
è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti
tolgono il tempo per vivere». (…). «Lo spreco è funzionale all’accumulazione
capitalista», che (…) «ha bisogno che compriamo di continuo, ci indebitiamo
fino alla morte». (…). Annota Staglianò: …quando parla di ridurre la
diseguaglianza economica, tendi a crederci. Perché non lo dice, lo fa. Potrebbe
stare nel castello, preferisce questa camera e cucina e dare il resto a chi non
ha neanche quello. (…). «Se si dimezzassero i 2000 miliardi di dollari per
spese militari si cancellerebbe la fame dal mondo. I mezzi ci sono, li
spendiamo male». (…). «Si parla da 20 anni di Tobin Tax, sulle transazioni
finanziarie? Per Wall Street cambierebbe poco, tantissimo invece per il welfare
in crisi ovunque: perché non si fa?». (…). Anche papa Francesco ha conosciuto:
«Un gran personaggio. Condividiamo la sobrietà. Se lo lasciano fare potrebbe
riportare la Chiesa a una vocazione più popolare». (…). È convinto che …la
differenza tra destra e sinistra è proprio che quest'ultima dovrebbe avere
«come priorità la fratellanza, ridurre le differenze economiche, e quindi
sociali» (…). Sarà mica socialista? «La sinistra, (…), la dividerei in tre
fette: i nostalgici, che dicono le stesse cose di 50 anni fa, quelli totalmente
in linea col mercato e infine quelli, come me, che ne riconoscono
l'indispensabilità, ma lo criticano per migliorarlo. Perché io so bene che il
capitalismo serve a produrre ricchezza, quindi tasse, buone per i servizi di
cui anche i poveri si avvantaggiano. E so anche, come non capivo invece qualche
decennio fa, che non ha senso sacrificare una generazione promettendo la felicità
per quella successiva. A quest'idea rivoluzionaria, che ha avuto il sopravvento
a Cuba e altrove, preferisco una via più gradualista che non perda di vista che
la partita si deve vincere adesso, in questa vita». (…). Ed il cambio
di strategia sembra proprio al passo col tempo. Non punta alla dittatura del
proletariato. (…). «Uno è molto più felice se è il capo di se stesso. E abbiamo
centinaia di esempi, come Envidrio, una vetreria gestita dagli ex dipendenti
che va benissimo. Serve un cambiamento culturale per far questo, ma dà
risultati duraturi. Non com'è successo nell'ex Unione sovietica, passata dallo
statalismo agli oligarchi». (…). …lui scommette su un umanesimo nuovo. Che ha
qualcosa della «decrescita felice» («Sì, ho letto Latouche, ma mi influenzano
di più i classici: i problemi dell'uomo sono da sempre gli stessi») (…). Perché
«la politica è l'arte di organizzare il futuro, senza subirlo come se fosse il
terremoto». (…). …dice che «la vita è breve, ci scappa dalle mani, e nessun
bene materiale vale altrettanto: capire questo è fondamentale» e all'ascoltatore
avvertito scorre davanti il film della vita di questo Mandela sudamericano che,
come il sudafricano, non ha sviluppato sentimenti di vendetta durante la sua
tremenda prigionia. Un Uomo così straordinario, un uomo di 78 anni,
quale messaggio può dare agli uomini disorientati di questo millennio? Ha
scritto Nadia Urbinati sul quotidiano la Repubblica del 7 di novembre – “I doveri della sinistra” -: Come
si può pensare di fare a meno della Sinistra in una società nella quale il
tasso di disoccupazione ha superato il 12 per cento, la soglia di povertà è
sempre più alta, e il senso di impotenza dei giovani e meno giovani ha effetti
deprimenti sull`intera società? (…). …le sorti possono cambiare (…). Possono
cambiare se sappiamo spiegare di chi sono le responsabilità di questa crisi
devastante: sono della Destra non della Sinistra, del giacobinismo liberistico
che ha conquistato il palazzo d`Inverno prima a Londra e a Washington per poi
mettere al bando in pochi anni la social-democrazia del vecchio Continente e
dimostrare che al benessere diffuso si arrivava meglio e prima scatenando il
capitale invece di responsabilizzarlo e regolarlo. Si tratta ora di deviare da
questo percorso: la sfida non è facile, ma non utopistica (…). Certo, ci vuole
coraggio. Il coraggio di quest’Uomo di 78 anni. Il coraggio e le grandi
“utopie”
di quelli che furono i “tupamaros”
che ancor oggi stanno tra di noi. Per indicarci chi sono “quellichelasinistra”.
Che non sono “di”, che non stanno “a”.
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