Scrive Alfonso Gianni in “Capitalismo finanziario globale e
democrazia: la stretta finale” – pubblicato sul numero 29 della rivista “Alternative per il
Socialismo” -: La incompatibilità dell’attuale capitalismo con la democrazia è (…) conclamata
e spudoratamente dichiarata. Da qui non consegue affatto un’assenza di
politica, o il semplice primato dell’economia e della tecnica sulla politica,
come da qualche parte viene sostenuto, ma al contrario una ben precisa politica
fondata sì sul primato dell’economia, o meglio della finanza da un lato e
dall’impresa dall’altro, ma nei confronti del lavoro. Il neoliberismo non
avrebbe retto al crollo verticale di credibilità che si è manifestato in
particolare in quel lasso di tempo che va dall’autunno del 2008 a larga parte del 2009,
quando la crisi mondiale è esplosa in tutta la sua drammaticità evidente, se,
in particolare in Europa, non avesse preso corpo una teoria e una pratica
compiute dell’austerity, proiettata nei tempi lunghi – si pensi solo ai venti
anni che servirebbero all’Italia per rientrare sotto il 60% del rapporto
deficit/Pil secondo il Fiscal Compact – e connessa con controriforme
strutturali, quali la liquidazione degli istituti del welfare state e la totale
liberalizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro. Questo era
necessario e vitale per il sistema capitalistico per contrastare la diminuzione
del tasso di crescita e dei profitti e quindi aprire una nuova fase di
accumulazione, che non poteva che derivare dalla cancellazione degli spazi
economici pubblici – e con essi dei diritti al soddisfacimento gratuito dei
bisogni dei cittadini – per aprirli all’intervento del capitale finanziario. (…).Fine
della lunga, lunghissima citazione. Che ha il pregio di mettere a fuoco quegli
aspetti della “crisi” che artatamente, scientemente vengono sottaciuti se non nascosti alla
pubblica opinione. Almeno la più avvertita. Ché il resto di quella pubblica
opinione disdegna addentrarsi nei pensieri più complessi avendo pesantemente
subito quella “scarnificazione” del pensiero che è stato il miracolo primo,
il capolavoro, dell’attuale fase del capitalismo finanziario. Scrive infatti
Alfonso Gianni che (…). …la vittoria più significativa della classe padronale, (…), sta
nell’avere annichilito il suo avversario – (…) -, nell’avergli tolto la
coscienza di sé, nell’avere rimesso in discussione la stessa natura di classe
in sé, attraverso il fenomeno della precarizzazione, della cattura delle forme
di partecipazione anche inconsapevoli al ciclo della formazione del valore,
della tendenziale utilizzazione di ogni attività umana nella realizzazione del
profitto, della totale mercificazione, come ad esempio l’intrattenimento che
non ha più solo la funzione di legittimazione e di consenso del e al sistema,
ma una direttamente economica e profittevole. E per rimanere sul
terreno delle cose che avvengono nel bel paese l’Autore sostiene: Non è
un caso che l’attacco al cuore della nostra Costituzione sia quello rivolto ai
suoi Principi Fondamentali e alla Parte I, in particolare laddove si regolano i
Rapporti Economici. Infatti la democrazia nella modernità esiste in quanto si
riconosce non solo la distinzione ma la contrapposizione di diversi interessi e
di almeno due soggetti – il capitale e il lavoro – e la necessità che la loro
lotta non porti alla comune rovina della società civile. Se si nega in assunto
questa dualità si erode il principio e la necessità della democrazia stessa. Per
questa ragione la sua difesa non può prescindere dalla conoscenza e dalla
critica a ciò che avviene nell’organizzazione materiale e produttiva. (…).
Conoscenza e critica che non appartengono, più in misura diffusa, alla
stragrande maggioranza della opinione pubblica che, seppur nuovamente e
pesantemente proletarizzata, continua a comportarsi come quella categoria
sociale individuata dall’uomo di Treviri e che egli definì “lumpenproletariat”, categoria
e non più “classe” ridotta a vivere senza “la coscienza di sé”. Ho
letto sul numero del settimanale “D” del 23 di novembre l’ultima corrispondenza
di Federico Rampini che ha per titolo “La
grande mela divisa tra ricchi e poveri”. Scrive l’illustre opinionista: Proprio a fianco del prestigioso
Stern Building, sempre sulla 109esima, ci sono le case popolari gestite dalla
Hope Community, una ong non-profit che cerca di aiutare i più poveri. A pochi
metri da chi abita in appartamenti del valore di molti milioni, ogni mercoledì,
giovedì, venerdì e sabato la Common Pantry distribuisce frutta e verdura ai
senzatetto e ai tanti "denutriti o malnutriti" di East Harlem. Creata
nel 1980, la Common Pantry è arrivata a servire pasti gratuiti fino a 25mila
persone. Le file alla Common Pantry (…), si stanno facendo di giorno in giorno
più lunghe. Dal primo novembre, infatti, per una scelta dei repubblicani al
Congresso, sono stati tagliati drasticamente i "food stamps" o
buoni-pasto dell'assistenza pubblica federale. Molte famiglie che dipendevano
da quei buoni-pasto per arrivare a fine mese, ora si accalcano alla
distribuzione gratuita della Common Pantry. La domanda di alimenti alle code
dei poveri è cresciuta del 20%. La scena della distribuzione di cibo, a pochi
metri dai palazzi di lusso con piscine e fitness, è una sintesi di ciò che ha
preparato la vittoria elettorale del nostro nuovo sindaco. (…). Tra la fine
dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, New York sotto l'influenza di politici
riformatori, volle costruire dei settlements, o insediamenti, che portassero a
vivere gli studenti di buona famiglia e la nuova borghesia nelle vicinanze dei
ghetti per immigrati. I settlements dovevano mescolare i ceti sociali, favorire
la reciproca comprensione e integrazione. Oggi certe diseguaglianze estreme di
New York ci riportano al primo Novecento, se non proprio ai tempi di Dickens.
Uno dei programmi della Common Pantry oltre a sfamare i poveri di East Harlem
vuole offrire igiene, alloggio, assistenza medica. Si chiama Project Dignity. È
singolare che la dignità di una parte dei newyorchesi debba dipendere dalla
carità di quell'altra città. La corrispondenza di Federico Rampini,
come sempre ripulita dai “fronzoli” e pertanto diretta ed
intellegibile per chiunque, come è avvenuto per altri momenti del Suo lavoro di
acuto ed attento osservatore, apre su quegli scenari che, seppur anticipati in
quella società multietnica, saranno a breve gli scenari che milioni e milioni
di altri esseri umani vivranno direttamente sulla loro pelle.
Nessun commento:
Posta un commento