“Sono nipote di un uomo
che, presentendo che la morte lo attendeva all’ospedale dove lo stavano
portando, scese nell’orto e andò a dire addio agli alberi che aveva piantato e
curato, piangendo e abbracciando ognuno di essi, come se di esseri amati si
fosse trattato. Quell’uomo era un semplice pastore, un contadino analfabeta,
non un intellettuale, non un artista, non una persona colta e sofisticata che
decideva di lasciare questo mondo con un grande gesto che la posterità avrebbe
ricordato. Si sarebbe detto che stava salutando ciò che fino a
quel momento era stato di sua proprietà, ma di sua proprietà erano anche gli
animali che gli davano da vivere e lui non andò da loro per salutarli. Si
accomiatò dalla famiglia e dagli alberi come se per lui fosse stato tutto la
sua famiglia. (…). Non saprò mai cosa mosse lo spirito di mio nonno in quell’ora estrema,
cosa pensò e provò, quale chiamata urgente guidò i suoi passi insicuri fino
agli alberi che lo aspettavano. Forse sapeva che gli alberi non possono
muoversi, che sono legati alla terra dalle radici e che da queste non possono
separarsi, se non per morire. (…). Difendere gli alberi è difendere la Terra.
Mio nonno lo sapeva e non sapeva né leggere né scrivere. Un vecchio analfabeta mi
ha dato la migliore delle lezioni. Qui ve la offro, se la riterrete giusta e
umana. (…)”. Tratto da “Quel
vecchio uomo che abbracciava gli alberi“, di José Saramago. Ricevo e
posto di seguito la lirica pervenutami dall’amico Giovanni Torres La torre.
Terra dei fuochi.
I
Quale altro cielo tenterà
l’aquilone
tra fumi pestiferi che sporcano
ali d’uccelli
calura di morte che scioglie le
cere di Icaro
in questo autunno quando migrano
nel giro consueto delle stagioni
sorvolando questa parte di
inferno
nella terra un tempo felice?
Quali altre zolle
cercheranno le cicale e le
formiche
e che amori le fanciulle
e quali prati per correre i
bambini superstiti
e i padri nel vederli crescere
e i contadini per piantare e
spiantare
e raccogliere i frutti del loro
lavoro?
Quali future primavere
inviteranno farfalle ballerine
a posarsi su fiori avvelenati
e quale miele innamorerà ancora
la bocca della giovinezza
nella Terra dei fuochi?
II
Di quale mondo abbiamo memoria
e di quali paesaggi della
Campania Felix
nel rimpianto della parola che fu
di Plinio il Vecchio
per le terre coltivate
dall’antica sapienza contadina
e
bellezza del paesaggio
che un tempo generoso aveva
depositato
nell’anima nella carne e nelle
pietre
di quel mondo oramai leggenda?
E perché altri uomini di fango
e malefici ingegni
hanno devastato avvelenandola
la memoria dei luoghi
il suolo l’aria le acque
il seno delle madri
il sorriso dei bambini?
III
Quali armonie resteranno
di canti suoni e dialetti
per dire la maledizione e lo
sgomento degli antenati
di pagine di scrittura e regole
grammaticali
di belle parole dei maestri della
perduta infanzia?
e quali libri di scienze ed erbe
medicinali
che hanno guarito passioni di
conoscenza e ferite
fatiche di uomini e armenti
in questa terra ora impestata
dagli untori?
e quali ritratti di santi
cercheranno ancora devozione
ai bordi degli specchi della vita
che presi dal cancro sfarinano
nell’argento che muore?
IV
Bastimenti di morte
scendevano da Nord a Sud
per inondare di fiele
le terre della Campania
con la complicità di tanti
municipi
deputati senatori governatori e
prefetti
tutori della Legge
in grande parte muti per viltà
indifferenti al dolore delle madri
e alle pene delle piccole vittime
dei padri e delle famiglie
martoriate
sordi al suono delle campane
ciechi all’inchiostro di giudici
giornalisti sindaci
medici e scrittori.
V
Luna visionaria che continua il
suo viaggio
nei cieli appestati della Terra
dei fuochi
stanca e dolente per il lutto
alle porte delle case
e i nomi che escono nei lamenti
delle madri
coi ritratti nell’addio alla vita
fresco di inchiostro
che lasciano senza promessa di
tornare.
Luna del funesto chiarore
nella notte dei briganti della
camorra
delle persiane chiuse nel fondo
della notte
e malandrina
quando albeggia
alle balaustre di tanti municipi
ove sbiancano le belle bandiere
nella vergogna del silenzio
mentre garriscono a Casal di
Principe
e altre ancora per miracolo che
si ripete
nel petto dei superstiti
nei cortei e nei viaggi funebri
d’ogni giorno.
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