Scrive, riprendendo gli studi di
eminentissimi antropologi, il professor Umberto Galimberti sul settimanale “D”
del 18 di maggio 2013 – “Vale meno, la
vita di una donna” -: L'antropologo Claude Lévi-Strauss, in Le strutture
elementari della parentela, ci informa che nel regime degli scambi, oltre a
"le cibarie, gli oggetti fabbricati, rientrava anche la categoria dei beni
più preziosi, ossia le donne". Un altro antropologo, Bronislaw Malinowski
ci informa che nelle isole Trobriand, dove gli abitanti ignorano il contributo
maschile alla procreazione, tutti i figli assomigliano al padre, a cui la madre
ha offerto solo la materia. Questo motivo è ripreso da Aristotele, e qui siamo
già in una cultura notevolmente avanzata, e tuttavia: "La femmina offre
sempre la materia, il maschio la forma. Il corpo ha dunque origine dalla
femmina, l'anima, che è l'essenza del corpo, dal maschio". A questo motivo
non si sottrae neppure il dogma cristiano dell'incarnazione, dove la Madonna
offre la materia, ma suo Figlio, come lui stesso dice, è tutt'uno col Padre:
"Io e il Padre siamo una sola cosa" (Gv, 10, 30)". Ho
ripensato a questo passaggio della riflessione dell’illustre studioso rivedendo
il film “La foresta dei pugnali volanti”
– ieri sera su Rai Movie -. Gli
strani accostamenti della memoria! Il film è dell’anno 2004 a firma di Zhang Yimou.
Adoro il cinema di Zhang Yimou. È un cinema che fa della visione dei colori il
suo punto forte. È un cinema che indugia sulla natura e sull’animo degli umani
che in essa si addentrano come smarriti di fronte alla sua maestosità. Adoro il
cinema di Zhang Yimou che ci conduce in
luoghi ed in tempi tantissimo lontani dalle nostre esperienze di vita. Zhang
Yimou ci rende della Cina lo spirito più nobile e delicato al contempo. Come
per l’appunto nell’opera cinematografica citata. Zhang Yimou ambienta la Sua storia
nella Cina del nono secolo dopo Cristo, regnando la dinastia Tang, in pieno
declino. È quando un consorzio umano volge al suo declino che la corruzione e
le ingiustizie regnano sovrane, come al tempo della storia narrata. La storia
dipana la sua matassa raccontando delle molte sette nate per ribellarsi al
corrotto governo dei Tang, la più famosa delle quali è la setta della “Casa dei
pugnali volanti”. E nella storia di Zhang Yimou intervengono le figure notevoli
di due guardie imperiali, Leo - Andy Lau - e Jin - Takeshi Kaneshiro – ai quali
viene ordinato di catturare il nuovo capo della setta della “Casa dei pugnali
volanti”. Jin si finge amico di una splendida danzatrice, Mei - Zhang Ziyi -, danzatrice
cieca conosciuta in una casa di divertimenti della quale si sospetta
appartenere alla setta dei ribelli. Nella storia non può mancare l’amore. Amore
che, nel viaggio intrapreso per condurla nella foresta che accoglie la setta, scoppia
fulmineo tra il giovane Jin – l’infiltrato del governo corrotto – e la bellissima
Mei. Tutto come da copione. Ma che hanno in comune lo scritto del professor
Galimberti e la storia di Zhang Yimou?
Tanto, tantissimo. Dovuto al terzo incomodo, quel Leo già innamorato pazzamente
della bellissima Mei. Respinto a causa del nuovo amore della tanto amata per
Jin non trova di meglio che ucciderla riconoscendo al contempo l’impossibilità
di impedirle di amare un altro uomo ma ritenendo la sua morte atto necessario
al suo desiderio inappagato. E Mei muore in un paesaggio innevato dalla
scenografia mozza fiato. Un film notevole, per la regia, per la fotografia e
per le magistrali interpretazioni dei tre protagonisti. Si diceva della storia
ambientata nel secolo nono dopo Cristo. Siamo nel ventunesimo secolo. Ne sono
passati di secoli, ma si continua ad uccidere le donne come fa il Leo di Zhang
Yimou, della filmografia del quale ritengo siano da considerarsi imperdibili “Sorgo rosso” (1987) – nel quale Zhang
Yimou è anche attore -, “Lanterne rosse”
(1991), “La storia di Qiu Ju” (1992),
“La locanda della felicità” (2001),
il celeberrimo “Hero” (2002) - che
assieme al successivo “La foresta dei pugnali volanti” entra a far parte della
serie dei cosiddetti film di "wuxia", che letteralmente significa
"cappa e spada"-, “La città
proibita” dell’anno 2007.
Mi auguro d’avere risvegliato la curiosità dei pochi
naufraghi della rete approdati a questo blog per il bravissimo regista Zhang Yimou.
Ed il professor Galimberti? Scrive, dottamente, in quella Sua riflessione: Per i
processi di identificazione dei figli con i genitori, che la psicoanalisi ha
ampiamente spiegato, i maschi acquisiscono come valore la prevaricazione
maschile, e le femmine la sottomissione femminile. Così viene rafforzato un
archetipo antichissimo, che gli antropologi hanno ben descritto come cultura
diffusa in tutto il mondo primitivo, e la filosofia da un lato e la religione
dall'altro, con i loro argomenti e dogmi, hanno rafforzato. Sto parlando
dell'indiscussa superiorità dell'uomo sulla donna e del conseguente potere che
spesso si traduce in violenza. (…). …smontare questo archetipo radicato
nell'inconscio più inconscio del maschio non è cosa facile, e la scuola, oltre
a insegnare giustamente la cultura dei tempi trascorsi, dovrebbe insegnare
anche gli errori di questa stessa cultura, responsabile di tutte le violenze
perpetrate nella storia sulle donne. Ma in una scuola come la nostra dove
fatica a farsi strada l'educazione sessuale, è mai ipotizzabile un'educazione
sulla differenza di genere che faccia comprendere, oltre alle differenze
sessuali, quanta ideologia, quanta prepotenza, quanta violenza sono state
esercitate a partire da questa differenza? Si tratta di un insegnamento che
dovrebbe essere impartito per modificare non solo la mentalità dei maschi ma,
(…), "anche delle donne", perché il potere e la violenza del maschio
non sta solo nell'esercizio della sua forza, ma anche nell'acquiescenza della donna
alla propria subordinazione. Oggi che le donne sono sempre meno acquiescenti,
sembra che debbano pagare un prezzo altissimo per questo loro tentativo di
ribaltare la crudeltà di una cultura che si perde nella notte dei tempi.
È la cronaca amarissima, intrisa del sangue di tante donne innocenti, di uomini
che uccidono donne di questi travagliati nostri giorni.
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