“Un professore e un Paese presi a
schiaffi” è il titolo di un “pezzo” della insegnante e scrittrice Mila
Spicola pubblicato sul quotidiano l’Unità del 16 di giugno. Ogni tanto mi garba
tornare all’antico amore, sollecitato in questa occasione dall’illustre Autrice
nonché collega. Scrive ad un certo punto del Suo pregevolissimo “pezzo”: La
nuova geografica del lavoro mondiale coincide con la geografia dei saperi, lo
hanno capito tutti nel mondo, tranne l’Italia, che si barcamena in ricette
improbabili per combattere la crisi rimanendoci sull’orlo perché non è capace
di comprendere quello che serve: innovazione, saperi qualificati e sguardo
lungo. Per innovare e guardare lontano si devono promuovere alti livelli medi
di conoscenza nella popolazione, e non lo fai attaccando un docente, ma
migliorando le condizioni del sistema che deve promuoverli. È che nel
bel paese si sono succeduti alla “cura” – si fa per dire – della cosa pubblica
degli improvvisatori se non degli approfittatori punto e basta. E quanto detto
trova riscontro nella crisi profonda nella quale vivono tutte le istituzioni
culturali e formative. Del resto basterebbe rammentare le professioni
d’incultura e di sprovvedutezza dei tanti improvvisati reggitori della cosa
pubblica perché ci si possa dare tutte le risposte del caso. E Mila Spicola lo
certifica nel Suo “pezzo”. Ebbe a dire un improvvisato di turno che con la
cultura non si mangia. Ed un supremo – si fa per dire – si vantava di non leggere
alcunché – tranne i fruttuosi bilanci aziendali – da una ventina di anni ed
oltre. Nulla quindi che si possa definire come imprevisto. Continua Mila
Spicola: A parole tutti lo desiderano nei fatti non sanno metterlo in atto,
semplicemente perché ci vogliono azioni efficaci e competenti decise da chi di
problemi complessissimi come l’innalzamento dei livelli medi si occupa da anni.
Quasi tutti i rapporti relativi ai sistemi d’istruzione individuano come motore
vero dell’innovazione dei sistemi d’istruzione e dunque dei paesi l’esercito
degli insegnanti, non le strumentazioni da fornire agli insegnanti, o la
valutazione dei docente, ma la formazione, la selezione e la qualificazione
continua degli insegnanti. Qualcuno ha confuso la riqualificazione dei docenti
con la valutazione dei docenti, quello è l’ultimo anello della catena. Non
cambi il risultato in un sistema se ti limiti alla valutazione delle variabili
dipendenti (l’operato dei docenti, i livelli cognitivi degli studenti), devi
agire sulle cause dì quelle variabili. Formazione. È il tema cruciale
di sempre. Affido alla straordinaria scrittura di Manara Valgimigli la
rappresentazione dell’eterno problema della scuola pubblica del bel paese. La
citazione l’ho tratta da “La mia scuola”
– Vallecchi editore (1924) -, brillante lavoro editoriale pubblicato nell’oramai
remoto 15 di gennaio dell’anno 1920 e che ho riportata nel mio volume “I professori” – AndreaOppureEditore
(2006) – alla pagina 63: Nel primo anno
del mio insegnamento, capitato in un ginnasio del Mezzogiorno, un collega
anziano mi disse: - Collega, tieni in ordine il registro e poi
"fottetinne". – Obbiettai, ingenuo: - Non sarebbe il caso piuttosto
di invertire i termini - Collega, non farete carriera. – E una volta, alcuni anni fa, un ministro
pedagogista, di questi registri ne inventò tre: uno, per ogni singolo
insegnante, che recava i voti e la materia spiegata e le lezioni e i lavori
assegnati; uno in comune per tutti gli insegnanti, che stava su la cattedra e
dove gli insegnanti diversi, man mano che si succedevano, indicavano ciascuno
la materia spiegata e le lezioni e i lavori assegnati; e finalmente, un terzo,
il così detto diario, per gli scolari, ai quali ogni insegnante dettava quello
stesso che egli aveva scritto nel proprio registro e nel registro collegiale.
Con questi tre registri l'insegnante modello poteva ridurre di mezz'ora la
propria lezione. - Collega, tieni in ordine il registro e poi
"fottetinne" . Il precetto del collega anziano aveva ricevuto da Sua
Eccellenza il Ministro pedagogista la consacrazione ufficiale. Nel paese
degli improvvisati e degli intrallazzatori di professione la cultura e la
scuola non hanno mai potuto avere la giusta rilevanza e considerazione. È
mancata anche la cosiddetta “considerazione sociale”. Ed il cerchio si chiude.
Oggi, quella arretratezza la si paga a caro prezzo: la “crisi” morde con morsi
feroci laddove l’arretratezza culturale è più marcata. Sostiene Mila Spicola: Tre
sono i passi. Il primo: riqualificare la formazione universitaria. Diventi
insegnante chi ha nel proprio bagaglio formativo non solo le conoscenze
disciplinari (accade oggi) ma anche un bagaglio di «attrezzi del mestiere» che
sono discipline come la pedagogia, la docimologia, la psicologia infantile e
adolescenziale, la gestione e il management scolastico. Il secondo passo: la
selezione dei docenti. Concorsi seri e veri. Che accertino non solo le
conoscenze con batterie ridicole di test (spesso sbagliati, spesso oggetto di
ricorsi, spesso abbonati a tutti per non incorrere in procedimenti
d’infrazione) ma che prevedano prove che accertino anche le competenze
necessarie per diventare insegnanti, comprese le predisposizioni
psicoattitudinali a un mestiere difficilissimo. Il terzo passo. Rivoluzionare
la professione. Un docente torni ad essere un intellettuale: deve studiare,
deve avere il tempo di farlo e deve avere il riconoscimento perché lo fa. ‘È un
lavoro intellettuale, che va praticato e riconosciuto come lavoro
intellettuale, perché ciò accada bisogna, semplicemente porre in essere le
condizioni affinché sia così. Non è peregrino immaginare che almeno ogni 4 anni
un docente possa trascorrere sei mesi fuori dalle classi, a rotazione, per fare
ricerca, dentro e fuori la scuola, per qualificarsi, studiare, partecipare a convegni,
produrre sperimentazione, effettuare lavoro di supporto, organizzazione e
produzione di saperi e attività dentro la sua scuola. Come dire, tutto
qui? Ed allora propongo un’altra amena lettura. È stata riportata anch’essa
nella mia pubblicazione prima citata – alla pagina 71 – ed è stata tratta da “La scala di Giocca” – Edizioni EDES
(1984) - di Paolo Teobaldi: Il tema che
il nostro gruppo doveva affrontare era: "Società agropastorale e attività
ciclistica in Sardegna". Originariamente l'argomento doveva essere
soltanto "Attività ciclistica in Sardegna" in quanto io la ritenevo
una questione interdisciplinare, atta cioè a sviluppare tutte le tematiche
congiunte con autonomi strumenti d'indagine; per esempio, sostenevo - e potrei
ancora sostenere anche se ho cambiato mestiere - la pratica ciclistica
favorisce un allacciamento con la geografia in quanto, prima di partire per una
pedalata, o sgambatura, anche solo di 15-20 chilometri,
occorre bene documentarsi sulla natura del terreno, del territorio diremmo
oggi, controllando sulle tavolette dell'Istituto Geografico Militare, scala
1:25.000, quante fontane ci sono, quanti bar e quante trattorie; una pedalata
circolare, in scioltezza, favorisce la circolazione sanguigna (qui si innesta
la medicina!), cioè una migliore irrorazione delle vene e dei capillari di
tutti gli arti, e di tutti gli organi cervello compreso, con conseguente
miglioramento del livello medio delle spiegazioni e della capacità di
sopportazione. Nodo fondamentale da esaminare sarebbe stato la mancanza, nelle
squadre ciclistiche nazionali, di professionisti sardi, la ragione del quale
fenomeno - io l'avevo solo accennata a Vincenzo - era nella storia stessa della
regione, cioè nello stratificarsi di invasioni a opera di popoli poco amanti della
bicicletta, fenici in testa, romani, pisani, spagnoli (che pure potevano essere
buoni scalatori, o grimpeur, vista la loro complessione fisica), piemontesi,
che lasciarono il cavallo solo per l'automobile.(…). A commento della
stupenda pagina del Teobaldi avevo osato chiosare nella stesura di quel volume:
E chi non ricorda di quegli anni i famosi
o famigerati “corsi abitanti”, che furono di certo una panacea per risolvere
l’allora precariato nella scuola pubblica, ma per i quali non si può avere
rimpianto alcuno? Poiché essi hanno rappresentato indubbiamente l’affossamento
di qualsiasi idea di miglioramento del servizio scolastico e la messa in
soffitta di qualsiasi idea e strumento per una differenziazione meritocratica
della carriera degli operatori scolastici, tanto per tornare ad usare una
definizione al tempo molto in voga anche per designare altri operatori di
attività di ben diverso peso culturale, ma non sociale. Leggere comunque la
prosa del Teobaldi per averne una convincente prova; non si potrà alla fine non
lasciarsi sfuggire un amarissimo e tenero sorriso, per un tempo che è stato.
Un tempo amaro. È questo lo stato dell’arte. Chiude il Suo “pezzo” Mila Spicola
così: Studiare vuol dire coltivare parole, coltivare pensieri, discernere per
agire e trasferire queste capacità agli alunni: è la qualità della democrazia,
la pregiudiziale del lavoro. E la “scarnificazione” del pensiero dove
la mettiamo? Sta tutta qui, in questo vuoto pneumatico della menti volutamente
creato.
Nessun commento:
Posta un commento