C’era una volta un cronista, di
quelli coraggiosi ed attenti. Era il compianto Giuseppe D’Avanzo. E cosa
scriveva Giuseppe D’Avanzo il 25 di giugno dell’anno 2010 sul quotidiano la
Repubblica? Un pezzo che a rileggerlo con la mente e gli occhi d’oggi segna
inequivocabilmente ed amaramente lo stato disastroso nel quale è sprofondato il
bel paese. Quel Suo pezzo Giuseppe D’avanzo lo aveva intitolato “Il predone”. Scriveva: Osserviamo
(…) la scena che Berlusconi ha costruito in questi (…) anni di governo. Il
Parlamento è soltanto l'esecutore muto degli ordini dell'esecutivo. La Corte
costituzionale e la magistratura devono essere presto subordinate al comando
politico. La presidenza della Repubblica, priva della legittimità popolare, è
soltanto un impaccio improprio. Il governo, già consesso obbediente agli ordini
del sovrano, diviene ora e addirittura il premio per chi, con il suo servizio
al Capo, si è guadagnato il vantaggio di rendersi legibus solutus come il sovrano.
Tocchiamo qui con mano il conflitto freddo che si sta consumando tra una
concezione della democrazia incardinata nella Costituzione, nei principi di una
democrazia liberale basata sull'oggettività delle funzioni pubbliche e la
convinzione che il voto popolare renda onnipotenti e consenta ogni mossa anche
1'annichilimento delle istituzioni. Lo scriveva il 25 di giugno
dell’anno 2010. Profezie non avveratesi? Ma il disegno era chiaro. Allora come
oggi. Oggi, 25 di giugno dell’anno 2013, imperando le larghe intese e
aleggiando lo spirito leggiadro della pacificazione, si tocca con mano lo
sprofondo nel quale l’interesse di un uomo solo ha condotto la vita sociale,
politica ed istituzionale del bel paese. Oggi, quell’uomo solo, ha la forza politica
ed il potere mediatico d’anteporre i suoi problemi giudiziari ad ogni altro
problema e di barattare un salvacondotto alla necessaria stabilità di governo
per poter fronteggiare – ma solamente fronteggiare, ché gli scenari
internazionali sfuggono alla nostra portata - una situazione terribile di crisi
economica che distrugge l’impalcatura sociale e le prospettive future di
milioni e milioni di cittadini. Umiliante e illuminante, l'affaire Brancher (per
la memoria dei deboli, Brancher nominato inopinatamente ministro per meglio
affrontare i suoi guai giudiziari e subito invocante il legittimo impedimento
n.d.r.) è anche educativo perché liquida almeno un paio di luoghi comuni del
dibattito pubblico, specialmente a sinistra. Chi di fronte alle minacce
estorsive del sovrano (o impunità o processo breve che blocca centinaia di
migliaia di processi; o impunità o paralisi della macchina giudiziaria) trova
sempre conveniente scegliere la riduzione del danno e il male minore saprà oggi
quel che avrebbe già dovuto sapere da tre lustri: il Cesare di Arcore non ha
inibizioni. È un predone. È di questi giorni l’invocazione dei suoi
famigli per il rispetto di presunti accordi intercorsi tra l’egoarca di Arcore
e l’alto, irto Colle. Accordi che l’inquilino dell’alto, irto Colle avrebbe
disatteso. Ed ora che la condanna è sopraggiunta cosa farà il pover’uomo? Il “predone”.
Scriveva ancora Giuseppe D’Avanzo: Lo guidano i riflessi. Quel che serve, lo
trova d'istinto. Se gli si offre un arsenale, lo utilizza, statene certi,
perché è ridicolo aspettarsi da Berlusconi self-restraint. Non esisteranno mai
mali minori con lui, ma soltanto mali che annunceranno il peggio. Il secondo
luogo comune dice che l'antiberlusconismo non porta da nessuna parte. L'affare Brancher
conferma che non c'è altra strada che contrastare il berlusconismo se si vuole
proteggere il Paese e le sue istituzioni da una prova di forza pre-politica,
fuori delle regole che ci siamo dati. È anche questo il caso Brancher, una prova
di forza. Che toccherà non solo all'opposizione contrastare. Fini, la Lega, i
soliti neutrali potranno subirla senza mettere in gioco la rispettabilità di se
stessi? Finiva così il pezzo di Giuseppe D’Avanzo. Oggi Ezio Mauro,
direttore di quel quotidiano, gli rende il merito dovuto citandolo copiosamente
nell’editoriale che fa seguito alla sentenza del tribunale di Milano. Riporta
oggi Ezio Mauro, nell’editoriale “L’abuso
e la dismisura”, quanto ebbe a scrivere quel coraggioso cronista: «La
questione — scriveva D’Avanzo — non ha nulla a che fare con il giudizio morale,
bensì con la responsabilità politica. Questo progressivo disvelamento del
disordine in cui si muove il premier e della sua fragilità privata ripropone la
debolezza del Cavaliere, tema che interpella la credibilità delle istituzioni»,
perché tutto ciò «rende vulnerabile la sua funzione pubblica, così come le sue
ossessioni personali possono sottoporlo a pressioni incontrollabili». E
nel riproporre il pensiero che è stato del cronista coraggioso riporta ancora: (…).
…nel sistema berlusconiano, dice D’Avanzo, «il potere statale protegge se
stesso e i suoi interessi economici, senza scrupoli e apertamente. Con
l’intervento a favore di Ruby quel potere che sempre privatizza la funzione
pubblica muove un altro passo verso un catastrofico degrado rendendo pubblica
finanche la sfera privatissima dell’Eletto. In un altro Paese appena rispettoso
del canone occidentale il premier già avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni.
Nell’infelice Italia invece l’abuso di potere è il sigillo più autentico del dispositivo
politico di Silvio Berlusconi. È un atteggiamento ordinario, un movimento
automatico, una coazione meccanica». È la forza della “memoriadeigiornipassati”.
Che la dice lunga sul disfacimento politico ma anche etico e morale di una “casta”
servizievole al potere. Ché forse gli avventurieri delle larghe intese non
fossero a conoscenza della natura del “predone”? Ad essi si attaglia alla
perfezione quell’intuizione per la quale “chi di fronte alle minacce estorsive del
sovrano (o impunità o processo breve che blocca centinaia di migliaia di
processi; o impunità o paralisi della macchina giudiziaria) trova sempre
conveniente scegliere la riduzione del danno e il male minore saprà oggi quel
che avrebbe già dovuto sapere da tre lustri: il Cesare di Arcore non ha
inibizioni. È un predone. E l’”oggi” di quel tempo andato era il
25 di giugno dell’anno 2010, per l’appunto. Ed i “tre lustri” riportano
indietro le lancette dell’orologio alla disastrosa – per il bel paese – “discesa
in campo”. È da allora che “il predone” di Giuseppe D’Avanzo
scorazza impunito per le ubertose contrade del bel paese.
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