“E adesso povero uomo” si
sarebbe chiesto quel complicato di Hans Fallada. Costretto a tornare sui suoi
passi. Costretto a rimangiarsi tutto quanto imprudentemente aveva osato dire.
Per il bene nostro, s’intende! Come leggeranno gli italiani questo rientro? Non
saranno così smaliziati da pensare che lo faccia solo ed esclusivamente per
mettere a posto la giustizia in modo che sia ridotta ad una istituzione pro
domo sua? O continueranno a bersi le sue sparate? Il complotto. Quando
si dice “doveravatetutti” è perché il copione è sempre lo stesso. E
questa rubrichetta ha lo scopo di riproporre le cose dette e scritte quando
tutti facevano finta di non sentire e di non sapere. Il “doveravatetutti” di
oggi, a seguito della nota sentenza di condanna, ripesca in quella che dovrebbe
essere una “memoria” consolidata e collettiva. Solo che di “memoria”
questo paese non ne ha e non ne vuole avere. Scriveva Indro Montanelli in “Soltanto un giornalista”: (…).
Questo Paese è quello che è – ignorante, superficiale, capace di qualche
effimero furore, ma non di veri e propri sentimenti e risentimenti morali -
perché così l’ha fatto la scuola ed è la politica che ha fatto la scuola così.
(…). Un paese che non coltiva il bene della “memoria”, per l’appunto.
È per rispondere a questa esigenza di “memoria” da salvare che il “doveravatetutti”
di oggi ripropone uno scritto del compianto Giuseppe D’Avanzo. Il testo,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica, e riproposto di seguito in parte, è
del 27 di novembre dell’anno 2010 ed ha per titolo “Il complotto”, per l’appunto. E di complotto se ne ritorna a
parlare a seguito delle disavventure giudiziarie del signore di Arcore. Giustizia
ad orologeria! Persecuzione giudiziaria! Scriveva il sempre compianto Giuseppe
D’Avanzo: Quando il potere spinge il cospirazionismo nel cuore stesso della vita
politica di un Paese si deve sapere udire il suono di un pericolo, l'annuncio
di un rischio. È un ritorno al tempo che è stato. Al “rischio”
mai scongiurato. Ci si è illusi d’essercene
liberati per sempre? Senza “memoria”, come la leggeranno
stavolta gli italiani?
(…). Ora qualche nebbia sembra
diradarsi. Dunque, i problemi non sono i fatti ma chi li racconta o chi deve
accertarli. Per il governo, non bisogna riferire e riflettere su "i
fattori negativi". Se lo si fa, ci si iscrive alla schiera dei
cospiratori, ai nemici dell'Italia che minacciano l'immagine nazionale e gli
interessi economici del Paese. Un atteggiamento, dice Berlusconi,
"anti-italiano". È "anti-italiana" l'informazione. È "anti-italiana"
la curiosità della magistratura per Finmeccanica. Eliminato il giornalismo e
l'ordine giudiziario - sembra di capire - l'Italia del Cavaliere non avrebbe
più problemi né macchie né angosce. Contro questi "nemici" il governo
invoca "fermezza e determinazione". Quali saranno, viene da chiedere,
gli strumenti, le iniziative o le leggi che l'esecutivo disporrà o approverà
per difendere immagine nazionale e interessi economici? Senza dubbio, si può
anche beffeggiare quest'ultima trovata complottistica per coprire i sempre più
fragorosi fallimenti del governo. Antonio Di Pietro lo fa disegnando un
Frattini che alza troppo il gomito prima di prendere la parola in pubblico. Un
minimalismo beffardo può essere un errore, però. Quando il potere spinge il
cospirazionismo nel cuore stesso della vita politica di un Paese si deve sapere
udire il suono di un pericolo, l'annuncio di un rischio. Si deve poter vedere
non tanto la mediocre infelicità dell'iniziativa, ma la trama di una politica. Lo
si può dire così. Come si può giustificare lo stupefacente crollo di un regime
politico incardinato in un leader carismatico e popolarissimo, sostenuto da una
maggioranza politica numericamente inattaccabile e da un consenso quasi
ipnotico? Se l'autorità politica è incapace di riconoscere le proprie
responsabilità e la sua incompetenza, si fa strada soltanto un'altra
possibilità: la soluzione cospiratoria che più rendere ragione dei fatti - di
tutti i fatti accaduti - in modo unitario, senza coinvolgere il malgoverno, le
inettitudini delle persone, l'inidoneità delle politiche. È una strada - la
teoria del complotto - che offre anche un qualche ragionevole elemento di
speranza. Se si individuano e afferrano "i cospiratori", se li si colpisce
o in ogni caso si impedisce loro di nuocere ancora, la battaglia può essere
vinta, l'Italia potrà essere liberata non da chi l'ha ridotta in miseria e
rovina ma, con un rovesciamento di ruoli e responsabilità, da chi ne ha subito
finora le disgrazie. Non si deve trascurare l'irrompere nella
"narrazione" del Cavaliere del cospirazionismo finora utilizzato per
proteggere se stesso non per denunciare le minacce contro il Paese. È vero, il
cambio di passo può essere semplicemente l'inizio della prossima campagna elettorale.
La filastrocca la si può già sentire: una "potente centrale politica e
finanziaria", con un complotto, mi ha impedito di governare e di fare gli
interessi del Paese, datemi la maggioranza del 51 per cento e vi libererò da
ogni nemico. Ma c'è anche un'altra possibilità che deve essere tenuta in
considerazione. Che cosa può produrre la diffusione della leggenda di una
cospirazione nello stato di insicurezza (percepito e concreto) che angoscia il
Paese? Al crepuscolo della sua avventura politica, Berlusconi potrebbe essere
tentato di giocare la carta dell'emergenza, una condizione straordinaria che,
nell'interesse del Paese, richiede decisioni che sacrifichino le norme, un
diritto liberato dalla legge. "La creazione volontaria di uno stato
d'eccezione - ha scritto Giorgio Agamben - è divenuta una della pratiche
essenziali degli Stati contemporanei, anche quelli cosiddetti
democratici". D'altronde, lo abbiamo sempre saputo che Berlusconi avrebbe
trascinato il Paese nella sua caduta.
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