Scorro con dolente rassegnazione l’e-book ed alle
pagine 2540 e 2541 ritrovo il post scritto il 16 di giugno dell’anno 2010. Sembrano
trascorsi invano – ma per chi? - gli ultimi inutili anni. Mi sembra, comunque, che
il post di allora – facilissime profezie! - faccia bene il paio con il post di
ieri – “L’ultima classe” – ove
riportavo una citazione dal libro di Étienne Balibar “Cittadinanza” – Bollati Boringhier Editore (2012), pagg. 178, € 9
-. In aggiunta alle cose dette ieri e dette allora mi garba completare la
citazione del Balibar (pag. 62): “(…). …quelle lotte hanno realizzato a loro
modo un’articolazione dell’impegno individuale e del movimento collettivo, che
è il cuore stesso dell’idea di insurrezione. È un aspetto tipico della
cittadinanza moderna, il cui valore è indissociabilmente etico e politico, che
i diritti del cittadino siano attribuiti a soggetti individuali, ma siano
conquistati attraverso movimenti sociali capaci di inventare, in ogni
circostanza, le forme e i linguaggi appropriati della solidarietà. (…).” È
ciò che è mancato alla politica; è ciò che è mancato alla coscienza di quelli
dell’”ultima
classe”. Il post che ripropongo di seguito era il secondo della sezione
“Tatzebao”. Altri tempi!
(…). La Fiat è disposta a investire 700
milioni di euro per liberarsi di lacci e lacciuoli, come il capitalismo
postmoderno ci ha abituato a chiamare la tutela di chi, sul mercato, ha da
spendere soltanto la sua fatica, la sua competenza, il suo tempo. Non è una
gran cifra per un risultato così funzionale alla crescita del profitto. In
altri tempi toccava sparare sugli inermi, guastandosi il sonno, con il sangue
degli altri. Oggi è tutto meno cruento: ci si nasconde dietro la crisi
(europea, mondiale, cosmica), ci si giustifica sventolando lo spauracchio della
Grecia (dove in effetti si è sparato), ci si fa scudo della globalizzazione (se
l’operaio polacco costa meno è mica colpa nostra!). E ci si può permettere
questo balletto perché c’è, ovunque, un contingente massiccio di precari pronti
a prendere il posto degli operai che non ci stanno. L’obbiettivo è allargare il
“parco schiavi”, fino a levarsi definitivamente di torno “la classe operaia”.
Sarà una Paese sempre più povero, l’Italia. Povero e immobile. Ricchi saranno i
peggiori, quelli con più pelo sullo stomaco, aggregati in comode cricche, a far
soldi, nell’asfittico mercato dei loro appalti truccati, protetto
dall’inesauribile lavorio politico di “legalizzazione” dell’illegalità. In
questo scenario dickensiano (pre-rivoluzione industriale), vi scongiuro,
compagni del centrosinistra, tornate a comportarvi da marxisti! Lo stato di
cose presente va rovesciato!Da “Il
futuro è già passato” di Lidia Ravera sul quotidiano l’Unità. Non sarà ancora
la fine della storia. Come non sarà ancora la fine del capitalismo. È per non
cadere in un abbaglio simile, la fine del capitalismo prossimo venturo che
alcuni cantori immemori s’ingegnano di preconizzare, che resto legatissimo alla
mia visione dell’eterno flusso e riflusso; il capitalismo avrà modo di far suo ancora
lo sviluppo a venire della umanità globalizzata. A dispetto di quei cantori
immemori. È una ben magra consolazione; ma le macerie, materiali ed
immateriali, accumulate con la sconfitta sul campo del cosiddetto “socialismo
reale” stanno lì a renderci amaramente disincantati. E quello, del “socialismo
reale”, è stato l’unico ed ultimo esperimento andato a male. A meno che… Del
declino del capitalismo ne ha scritto a più riprese il professor Umberto
Galimberti. Di seguito ne trascrivo una riflessione, “Il declino del capitalismo”, pubblicata di recente su di un supplemento del
quotidiano “la Repubblica”.
- Il nemico più implacabile e più pericoloso
del capitalismo è il capitalismo stesso. - (Emanuele Severino). (…) … da
Agostino (354-430 d.C.) in poi, la religione cristiana assegna allo Stato non
il compito di provvedere al bene comune, ma quello più modesto di togliere gli
impedimenti che si frappongono alla salvezza dell'anima. Questo tipo di
mentalità perdura tuttora nella reiterata richiesta a tutti i politici
cattolici, a qualsiasi schieramento appartengono, di provvedere, nella loro
funzione, a non approvare leggi che contrastino con l'itinerario della salvezza
dell'anima. Su questo nesso tra la religione che afferma il primato
dell'individuo e il capitalismo come ricerca dell'interesse e della ricchezza
individuale si è espresso con molta chiarezza il grande sociologo del primo
Novecento Max Weber in quella sua opera fondamentale che ha per titolo: L'etica
protestante e lo spirito del capitalismo, dove si sostiene che il capitalismo
trae la sua forza propulsiva dall'etica calvinista (che è una variante del
cristianesimo), volta all'utilità personale, e che ha il suo fondamento nel
dovere professionale assunto come dovere morale. Il capitalismo, promosso dal
primato dell'individuo sulla società come vuole l'assunto cristiano, si è
sganciato dalle sue radici religiose e, attraverso l'occidentalizzazione del
mondo, è penetrato anche nei paesi totalitari che, pur non riconoscendo il
primato dell'individuo, hanno favorito la ricchezza individuale che ha come sua
ricaduta il progressivo affermarsi della potenza collettiva. Ora però si pone
un problema, ben evidenziato da Emanuele Severino, il quale sostiene che
siccome il capitalismo si alimenta del consumo della terra, - arriverà il
giorno in cui dovrà rendersi conto che, distruggendo la terra, distrugge se
stesso. E sarà questa coscienza, non la coscienza morale o religiosa, a
spingere il capitalismo al tramonto -. La salvaguardia della terra oggi può
essere garantita solo dalla tecnica, per cui, se il capitalismo vuole salvare
la fonte della sua ricchezza, non potrà più servire solo il profitto, ma due
padroni: il profitto e la tecnica, perché questa sola può rallentare l'usura
della terra, vero fondamento della ricchezza. A questa situazione limite siamo
già giunti, non ancora a una matura coscienza di questo limite.
Nessun commento:
Posta un commento