"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 8 settembre 2013

Eventi. 11 Lettera di Vittorio Sermonti al Presidente Napolitano.



Oggi è l’8 di settembre. Ci sono date, nella storia dei popoli, che documentano, più di tantissimi altri “strumenti” d’osservazione e d’analisi, la storia più o meno virtuosa e la vita più o meno operosa delle comunità umane. E l’8 di settembre dell’anno 1943 è una di quelle date che suggellano il carattere proprio di un paese. Oggi è un altro 8 di settembre. Non ci sono uomini in fuga dalle loro responsabilità, carriaggi in viaggio verso altri luoghi di salvezza; quest’8 di settembre – che precede i giorni che segneranno la vita sociale e politica del bel paese - ci si augura che non sia a divenire una nuova data d’infausta memoria. Ricorda Giovanni Valentini sul quotidiano la Repubblica di ieri 7 di settembre – “Ma il voto popolare non cancella i reati” - : È (…) questa mentalità collettiva – o “senso comune”, indotto dall’imbonimento della televisione commerciale – che può contribuire a spiegare il deficit di indignazione, la carenza di una larga disapprovazione pubblica nei confronti degli atti illeciti di Berlusconi. Il processo di identificazione reciproca tra il leader e il suo popolo è arrivato al punto da ipnotizzare o narcotizzare il pubblico dei teledipendenti. Lui stesso ha incarnato così un “modello di comportamento” in negativo, trasferendolo dalla sfera degli affari a quella della politica. Se manca l’indignazione pubblica, manca di conseguenza l’indegnità personale. Quella consapevolezza, cioè, che avrebbe già dovuto indurre Berlusconi a dimettersi da senatore, dopo la condanna a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici. Non si scopre oggi, del resto, che l’opinione pubblica italiana, per una serie di ragioni storiche e culturali, difetta di quell’etica civile che in altri Paesi è stata ispirata soprattutto dalla riforma protestante. Altro che contenzioso giuridico, dunque, sulla retroattività o irretroattività della legge Severino. La decadenza è, in pratica, una conseguenza automatica della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. Al pari dell’incandidabilità, non può che scattare ex nunc, come dicono i giuristi, nel momento stesso in cui il parlamentare diventa un pregiudicato. E infatti, è una pena accessoria che si aggiunge a quella principale della reclusione, come una sanzione amministrativa, in analogia con gli effetti civili di una sentenza penale. Se un reo non può entrare in Parlamento, evidentemente deve uscirne appena si accerta in via definitiva la sua colpevolezza. È in questo quadro di avvilente sociologica realtà che Vittorio Sermonti - scrittore, traduttore di teatro e di poesia, celeberrimo lettore del sommo Poeta – ha inteso intervenire con una lettera aperta al Presidente della Repubblica – sul quotidiano la Repubblica – affinché un nuovo 8 di settembre non abbia a segnare l’indecorosa storia politica del tempo che ci è dato di vivere.

Caro Presidente ma che cosa sta succedendo in Italia? Possibile mai che a un cittadino della Repubblica sia permesso (come è stato permesso ai primi di agosto) di additare con le lacrime agli occhi allo scherno di un migliaio o due di cittadini adoranti che brandiscono bandieroni stampati in serie e cartelli girati all’indietro per essere ripresi dalle telecamere, i giudici della Corte di Cassazione, colpevoli di averlo condannato per frode fiscale?Possibile che gli sia consentito (come gli è stato consentito) di ridicolizzare magistrati del più alto ordine giudiziario come «impiegati che hanno fatto un compitino vincendo un concorso», lui unto dal popolo, cioè presidente-padrone di un partito che ha riscosso parecchi consensi, comunque meno di un quarto del corpo elettorale, e che personalmente è disprezzato da quasi tutti gli altri elettori, e irriso nel resto d’Europa e del mondo? Possibile che quella bella manifestazione di strada, diffusa in diretta tv, e introdotta dall’inno nazionale, si sia insediata protervamente al centro dell’informazione televisiva e della vita politica e civile della nazione da settimane e settimane? E che le parole del cittadino con le lacrime agli occhi siano poi state citate impunemente dal suo staff a esempio di responsabilità istituzionale e di moderazione politica? E che Lei, signor Presidente, davanti alla nazione che la Sua persona ha onorato nel mondo con tanta fermezza e tanto equilibrio sia scandalosamente convocato ogni giorno che passa a tamponare una ininterrotta serie di ricatti per evitare il collasso dell’esecutivo, mentre il Paese intero arranca per sopravvivere e il Mediterraneo è spazzato da venti di guerra? Presidente, mio Presidente, Lei sa molto meglio di me come una comunità tessuta di parole che non hanno più peso né senso perché ogni affermazione vale la sua smentita, e in cui l’iniquità si perfeziona nel cavillo, non è un Paese decente, certo non è un Paese per giovani. Una accettabile stabilità di governo in una fase di estrema labilità economica e di grande turbamento sociale entro un quadro internazionale minacciosissimo va accanitamente difesa (chi non se ne rende conto?): ma forse non a qualsiasi prezzo. E se il prezzo è l’ossatura morale del Paese, l’onore della sua lingua, cioè della sua identità profonda, la povera faccia di ciascuno di noi, io penso disperatamente che quel prezzo non vada pagato. La politica svolga il suo compito; le istituzioni, il loro. Ma è arrivato il momento che ogni singolo cittadino – in democrazia il solo soggetto che dia corpo e legittimità alla maggioranza e, in casi estremi, l’unico contrappeso alla maggioranza – si metta in piazza per dire chiaro che non sopporta più di vivere ostaggio dell’egolatria eversiva di un frodatore del fisco, e tanto meno (è un problema di noi vecchi), di morirci.

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