"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 27 settembre 2013

Cronachebarbare. 23 “La gloriosa imprenditoria italiana”.



Vogliamo riprovare a guardare la luce che è in fondo al tunnel? È luce fioca, tremolante, come di fiammella esposta al primo vento che possa facilmente spegnerla. Ma i cantori ed i lesti turiferari l’intravedono nonostante le cautele di coloro che, moderni aruspici, leggono bene nel ventre molle del mercato globalizzato. Ma tant’è la piaggeria dilagante che qualsivoglia richiamo al cosiddetto principio di realtà cade inesorabilmente nel vuoto. Ma qui preme guardare a quella luce che è vista al fondo del tunnel ma con occhio diverso. È che, nelle questioni della economia, la vulgata corrente trascura d’osservare più da vicino gli attori primi che sono lor signori, ovvero gli imprenditori e manager che progettano arricchimenti facili e senza che comportino loro alcuna responsabilità sociale. Del resto, è cosa nota, che nelle crisi a pagare per le difficoltà incombenti siano maestranze e forze del lavoro. Se un prodotto non soddisfa il mercato non si è mai visto che a risponderne siano i vertici aziendali e la corte che li circonda. Scrive Alessandro Robecchi su “il Fatto quotidiano” di ieri 26 di settembre – “La gloriosa imprenditoria italiana. Perfino peggio della politica” -: Ce ne è abbastanza per denunciare un grave caso di strabismo: tutto questo parlar male della politica e dei politici ha messo in secondo piano le gloriose capacità dell’imprenditoria italiana che rappresenta l’altra metà delle corruzione. In termini generali, certo, a grandi linee: dove passa una mazzetta c’è un politico da un lato e un imprenditore dall’altro. (…). Conosco l’obiezione: fare impresa in Italia è difficile, ma pare che sia difficile per gli italiani, perché se fosse difficile per tutti non verrebbero qui a comprare a man bassa. Poi, certo, possiamo fare collezione di belle frasi sulla casta, sulla politica, sui cialtroni che ci governano e che non spariscono mai e stanno sempre lì. Perché invece i Colaninno, i Bernabé, i Tronchetti Provera, i Passera spariscono? Non pare: saltano da un consiglio di amministrazione all’altro come usignoli sui rami, quasi sempre lasciandosi dietro disastri epocali e balzando a combinarne di nuovi. Sempre salutati come salvatori della patria, coraggiosi innovatori, costruttori di ardite strategie accolte dalla òla dei commentatori che dopo due, tre, quattro anni si esercitano a demolire quelle costruzioni. Pure loro (i commentatori) non se ne vanno mai: il loro passare dagli applausi (evviva, si salvaguarda l’italianità di Alitalia!) ai fischi (ma che avete fatto! Dovevate vendere subito ai francesi!) nello stesso film, addirittura nella stessa scena, è garanzia di durata. Il concetto di responsabilità (ho detto/fatto/pensato una cazzata, me ne vado) non è contemplato, chi rompe non paga, non porta via nemmeno i cocci, e si prepara a nuovi mirabolanti successi. Ineccepibile. Tanto è vero che il collaudato copione si rinnova in queste circostanze settembrine sempre con gli stessi attori e le “spalle” di supporto. Alitalia. Finmeccanica. Telecom. E che dire delle profumatissime liquidazioni che lor signori riceveranno a disastro avvenuto? Si prenda Telecom. Ieri, la sua massima autorità, ha candidamente dichiarato d’essere stato tenuto all’oscuro sull’affare di cessione allo spagnolo “invasore”. E sì che al tempo che è stato dei Prodi e dei D’Alema si inneggiò ai “capitani coraggiosi” – testuale D’Alema - che si erano prodigati a salvare il carrozzone ed il bel paese. Oggi, attorno a quei “capitani coraggiosi” è calato il silenzio. Si intasca e si continua a saltare “da un consiglio di amministrazione all’altro come usignoli sui rami, quasi sempre lasciandosi dietro disastri epocali e balzando a combinarne di nuovi”. È storia passata e recente del bel paese. Ha scritto sempre ieri Massimo Giannini sul quotidiano la Repubblica – “La ballata dei poteri morti” -: Tutti bugiardi. Perché tutti sapevano tutto, da mesi se non addirittura da anni. Non c’è fine più annunciata di quella che sta per portare Telecom nelle braccia di Telefonica. Sui quotidiani e sui settimanali, negli ambienti politici e in quelli borsistici, il dramma dell’ex colosso tricolore è all’ordine del giorno da tempo. E l’opzione spagnola era già quasi scontata dal 2007, quando Telefonica fu imbarcata dentro la holding di controllo Telco, spacciata come «operazione di sistema» dagli improbabili architetti di Mediobanca, Generali e Banca Intesa. Per scongiurarla, i soci «eccellenti» dell’ex Salotto Buono avrebbero dovuto avere in tasca i miliardi necessari ad una robusta iniezione di capitali freschi. I manager avrebbero dovuto avere in testa un piano di sviluppo del business telefonico e delle alleanze globali. I politici avrebbero dovuto avere in mano un progetto di politica industriale degna della quinta potenza del pianeta. E invece, dopo la spoliazione della Stet successiva alla «madre di tutte le privatizzazioni», la truffa dei nocciolini duri perpetrata dalle nobili casate sabaude pronte a controllare le aziende con una fiche di pochi spiccioli, il saccheggio realizzato dalla squadra tronchettiana, non c’è stato quasi più nulla. Solo la prosecuzione della razzia con altri mezzi: dal 2007 ad oggi, nella cinica accidia della comunità finanziaria e politica, Telecom ha subito un ulteriore drenaggio di risorse per circa 24 miliardi. A chi millantano la loro meraviglia e la loro indignazione, oggi, i controllanti e i controllati? (…). Dunque su Telecom (…) non si celebra la saga dei Poteri Forti, ma la ballata dei Poteri Morti. Questo è ciò che resta del famoso «capitalismo di relazione» (e in qualche caso «di corruzione»). Capace di regalare la telefonia italiana a un indebitatissimo Cesar Alierta per un piatto di lenticchie. Di consentire agli spagnoli di portarsi via l’intera posta senza fare l’Opa, senza far arrivare neanche un euro nelle casse svuotate di Telecom e nei portafogli delusi di una Borsa trattata come una bisca. E questo è ciò che resta dell’establishment economico e dell’élite finanziaria. Mosche del capitale, che succhiano i loro ultimi dividendi sulle spoglie delle aziende e di chi ci lavora. (…). Telefonica prenderà il controllo di Telecom senza consolidare il suo debito. Lascerà che siano gli altri, nel frattempo, a fare il “lavoro sporco”. Cioè smembrando l’azienda e avviando uno spezzatino selvaggio, attraverso il sacrificio della attività più redditizie in Brasile e in Argentina, mercati dove il gruppo italiano dava fastidio a Telefonica perché competeva alla pari sul mobile. Alla fine delle tre tappe fissate dall’operazione, Alierta ingoierà Telco, finalmente alleggerita dai debiti. Il tutto avverrà a un prezzo di 1,09 euro ad azione, di cui beneficeranno solo i «compagnucci della parrocchietta» milanese, messa in piedi dalla Galassia del Nord sei anni fa. Il 78% degli altri azionisti, comuni mortali che hanno comprato in Borsa, non vedranno un centesimo. (…). Ricordate dei cosiddetti “furbetti del quartierino”? Solamente dei principianti a confronto con lor signori. Poiché non vi sfuggirà che dei cosiddetti “capitani coraggiosi” ne spuntano copiosamente ad ogni stagione politica. Ce ne rende memoria Federico Fubini sul quotidiano la Repubblica del 25 di settembre con un pezzo, “L'aereo francese”, che è tutto un dire: Quando il 19 marzo del 2008 atterra a Roma Jean-Cyrille Spinetta, allora numero uno di Air France, per Alitalia si presentano buone notizie. La compagnia è alle soglie del fallimento, disertata dalla clientela, ma Spinetta rilancia: Air France è disposta a comprare Alitalia dal Tesoro per una somma fra 2,5 e 3 miliardi di euro, in più si accolla i tre miliardi di euro dei suoi debiti e si impegna a investirne altri sei in dieci anni. Un’operazione da circa sei miliardi a beneficio delle casse dello Stato (…), più altri sei in sviluppo futuro. Non se ne farà di niente. La Cgil in Alitalia osteggia la fusione e Berlusconi sposta l'ago della bilancia puntando la campagna elettorale di allora sull'«italianità» della compagnia. Oggi tutti i protagonisti di allora sono costretti a sperare che la stessa Air France prenda il controllo di Alitalia con appena 150 milioni: venti volte meno del prezzo rifiutato cinque anni fa. Ma questa è solo una parte della beffa, poi arrivano gli altri oneri. (…). Nell'estate 2008 infatti il governo Berlusconi favorisce una cordata di investitori privati italiani nella compagnia, spostando i tre miliardi di debiti di Alitalia su una nuova bad company  sotto il controllo del Tesoro. Cioè a carico dei cittadini. Inoltre, ottomila dipendenti vengono messi in mobilità, ancora una volta a carico dello Stato, e undicimila restano. (…). Qui sorge il primo problema perché, accollando ai cittadini i debiti della vecchia Alitalia, di fatto il governo concede alla cordata italiana un aiuto di Stato. Una violazione della parità di condizioni fra concorrenti. Meridiana e Ryanair presentano ricorso alla Commissione europea, ma sono sfortunati: il responsabile dei Trasporti all'epoca è Antonio Tajani, ex portavoce di Berlusconi, cioè del padre dell'operazione nuova Alitalia. «A Bruxelles ci presero a pesci in faccia», ricorda ora l'esperto di Antitrust e all'epoca consulente di Meridiana Roberto Pardolesi. (…). Potrà quella luce in fondo al tunnel, seppur esiste, resistere alla turbolenza dei mercati? E di lor signori - di melloniana memoria -, cosa ne dovremmo fare? Esiste per lor signori una cassa integrazione, una messa ai margini per incompetenza – lasciando al potere giudiziario di accertare eventuali operazioni delittuose - avendo dilapidato risorse, ricchezze e financo il buon nome di questo disastrato paese?

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