Nel paese della “quasità”,
ove tutto è un “quasi” infinito ed ove non esiste certezza alcuna. Ove tutto, ma
proprio tutto, è divenuto una unica opinabile opinione anche quando opinione
non lo è più. Nel paese della “quasità”, divenuto nel tempo un
immenso campo di Agramante nel quale tutti lottano contro tutti, per finta,
fintantoché non ci sia da salvare anche uno solo degli appartenenti alla
cosiddetta “casta”. Nel paese della “quasità” ove tutti son detti uguali
– o “quasi” – ma c’è pur sempre uno che sia più uguale degli altri, al pari dei
maiali di orwelliana memoria presso i quali qualcuno era sempre più maiale
degli altri. Ebbene, nel paese della “quasità” esistono e girano liberi
azzeccagarbugli di chiara e rinomata fama che amorevolmente soccorrono con la “quasità”
della loro giurisprudenza il condannato di Arcore. Della quale loro “quasità”
ne rende contezza Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del trentuno di
agosto col titolo “L’arma segreta”: Intanto
c’è da preparare il ricorso alla Corte di Strasburgo per i diritti dell’uomo,
annunciato l’altro giorno alla giunta del Senato con una lettera a sua (dell’egoarca
di Arcore n.d.r.) firma che citava i “sensi
dell’art. 7 della legge 4/08/1955 N. 848”. Purtroppo, come ha scoperto Marco
Bresolin su La Stampa, la suddetta legge ha solo due articoli, dunque
l’esistenza di un “art. 7”
è altamente improbabile, anche nel diritto creativo seguito dagli onorevoli
avvocati e dai principi del foro che assistono il Cainano. Con quello che li
paga, potrebbero almeno evitargli certe figure barbine. E, già che ci sono,
potrebbero anche spiegargli che la Corte di Strasburgo non è un quarto grado di
giudizio, né il santuario di Lourdes con piscina di acqua miracolosa, dunque
non è in grado di ribaltare le sentenze definitive dei tribunali nazionali: al
massimo potrebbe risarcirlo per il danno inferto dai giudici ai suoi diritti
umani, ma è altamente improbabile che accada. Anche perché poi l’eventuale
danno dovrebbe rifonderlo lo Stato italiano: cioè la vittima delle colossali
frodi fiscali oggetto della sua condanna, che lui deve restituire. Ove
si parla per l’appunto di “diritti” umani per la qualcosa un
giureconsulto di antica data non si esime dal profferir parola dotta. Ma è la “quasità”
del miserevole paese a consentire al “quasi” giureconsulto di librarsi in
pindariche elucubrazioni invocando il rispetto dei “diritti alla difesa” del
condannato di Arcore. Come se fosse possibile, nel paese della “quasità”,
ove tutti sono eguali di fronte alla legge, anzi “quasi” eguali, conculcare i
“diritti” d’un appartenente alla “casta”. Donde il fine giureconsulto,
sottratto provvidenzialmente a suo tempo ai palazzi ove si amministra la
giustizia, invoca il rispetto di quei “diritti alla difesa” che a nessuno,
nel paese della “quasità” – ed è tanto dire - era parso essere stati negati. Ma
al fine - “quasi” - giureconsulto, sottratto per fortunosamente a quegli
austeri palazzi di giustizia per occupare gli scranni di ben diversi e più
sollazzevoli palazzi del potere, non poteva sfuggire l’enorme delitto che
venivasi a compiere nel paese della “quasità”. Donde la sua lacerante
invocazione a ché i “diritti alla difesa” siano riconosciuti ed accordati al
condannato di Arcore. E l’implorazione sua non poteva non suscitare esilaranti
osservazioni sol che si lasciassero le contrade ubertose del paese della “quasità”.
Ché con la penna arguta e graffiante di Curzio Maltese – sul quotidiano la
Repubblica del 2 di settembre, “Chi
crede ai trucchi del Cavaliere” – rivelava al popolo colto ed all’incolto
che “Per
settimane i media sono corsi dietro al bestiario di falchi e colombe e
pitonesse, prima di rendersi conto che era il solito teatrino di cortigiani
dove il padrone passa ogni tanto a distribuire le parti in commedia. La recita
è finita secondo la logica. Il governo va avanti e il Parlamento voterà la
decadenza di Berlusconi da senatore. La guerra o la guerricciola istituzionale
è finita. Peccato che la destra si sia dimenticata di avvisare qualche amico
del Pd. Nessuno per esempio ha avvertito Luciano Violante, che continua a
combattere nella jungla come un soldato giapponese la sua battaglia contro il
nemico che più l’ossessiona: l’antiberlusconismo. Per la verità sono molte le
cose delle quali il senatore sembra rimasto all’oscuro, (…). Il senatore
Violante ha ricordato il diritto alla difesa di Berlusconi contro le tentazioni
del Pd di trasformarlo in un nemico assoluto e ha esortato il proprio partito
ad ascoltare le ragioni dell’avversario. Violante non è stato informato che
Berlusconi oggi non è più il nemico assoluto e tecnicamente neppure un
avversario del Pd, ma il suo principale alleato di governo. Come tale le sue
ragioni sono ascoltate tutti i giorni dal partito di Violante e anzi, secondo
molti elettori del centrosinistra, perfino un po’ troppo. Altra informazione
non pervenuta al senatore è che il processo a Berlusconi si è già celebrato in
questi anni, in cui l’imputato ha potuto largamente usare e anche abusare del
diritto alla difesa dentro e fuori le aule, nel processo e dal processo. Ormai
non rimane, secondo Costituzione, che prendere atto della sentenza definitiva.
Berlusconi non intende farlo, ma ci vuole un bel coraggio per definire un
simile atteggiamento «diritto alla difesa». E già. Ma tutto ciò può
avvenire nel martoriato paese della “quasità”. Ove tutto è una libera
opinione e di una solo certezza non esiste traccia. Soccorre, nella
ricomposizione di un quadro di minime certezze, Liana Milella sul quotidiano la
Repubblica del 30 di agosto col titolo “Gioco
di specchi sugli illeciti”, ove con innegabile abilità traccia il quadro
delle certezze giudiziarie inoppugnabili conseguite riportando nel Suo scritto
i passi essenziali delle motivazioni della Corte di Cassazione. Se non si fosse
nel paese della “quasità” quei passi potrebbero essere come pietre tombali tanto
da seppellire ed interrompere l’inconcludente chiacchiericcio di questa
dannatissima stagione. (…). …ecco cosa si può leggere a pagina 186
del testo sottoscritto dai cinque giudici del collegio: «Le risultanze
processuali dimostrano la pacifica diretta riferibilità a Berlusconi dell'ideazione,
creazione e sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro
separato da Fininvest e occulto, cioè di quel meccanismo delle società facenti
capo a lui». (…). «Mediaset trattava gli acquisti, mediante suoi uomini di
fiducia, direttamente con le Major Usa. Linearità commerciale e fiscale avrebbe
dovuto comportare che quegli acquisti le venissero fatturati. Invece le fatture
che la società usava a fini di dichiarazione fiscale le erano rilasciate da
altro soggetto (la società Ims), all'uopo costituita all'estero. L'importo dei
costi in tali fatture indicato non era commisurato al prezzo d'origine, bensì
enormemente maggiorato in esito ai passaggi intermedi, privi di ragion d'essere
commerciale». La triangolazione è tutta qui. Mediaset da una parte, il socio
americano Frank Agrama dall'altra, i passaggi tra le società con il prezzo che
sale ogni volta. Alla fine della strada c'è la falsa dichiarazione fiscale allo
Stato italiano. Raramente, con parole così semplici ma efficaci, è stata
riassunta la truffa Mediaset. (…). Chi ha inventato, gestito e utilizzato il
«giro dei diritti»? Ovviamente il Cavaliere. Scrive la Cassazione: «I giudici
di merito, con una motivazione solida e coerente, hanno individuato le
caratteristiche del meccanismo riservato, direttamente promanante in origine da
Berlusconi e avente, sin dal principio, valenza strategica per l'intero apparato
dell'impresa che a lui fa capo». I giudici danno atto alla Corte di appello di
Milano di aver ragionato e scritto «con assoluta linearità logica». Soprattutto
quando hanno ricostruito la storia economicamente criminale di Berlusconi. Che,
a questo punto, la Cassazione fa sua e consegna alla definitività della
sentenza quando mette in evidenza «la continuità della gestione dei diritti di
sfruttamento delle opere televisive nella forma dell'acquisizione attraverso
passaggi di intermediazione fittizi, tutti accomunati dall'aumento
considerevole di prezzo lungo il percorso». Prima, durante e dopo c'è sempre il
Cavaliere, checché ne dicano gli avvocati quando cercano di cavarlo d'impaccio.
L'analisi della Cassazione è (…): «L' avvio del sistema in anni di diretto
coinvolgimento gestorio del dominus delle aziende coinvolte - Silvio BERLUSCONI
(volutamente riportato in caratteri maiuscoli, ndr.) - e, poi, l'evoluzione del
medesimo sistema secondo schemi adattati alle modifiche societarie e anche alle
necessità d'immagine esterna». (…). …nell' affaire Mediaset dove «i personaggi
vengono mantenuti sostanzialmente nelle posizioni cruciali anche dopo la
dismissione delle cariche sociali da parte di Berlusconi e sono in continuativo
contatto diretti con lui, di talché la mancanza in capo a Berlusconi di poteri
gestori e di posizione di garanzia nella società non è dato ostativo al
riconoscimento della sua responsabilità». (…). La Cassazione considera del
tutto inverosimile «l'ipotesi alternativa che vorrebbe tratteggiare una sorta
di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi da parte dei
personaggi da lui scelti e mantenuti nel corso degli anni in posizioni
strategiche». (…).
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