"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 19 settembre 2013

Eventi. 12 “Fratelli Caruso fotografi”.



Ha lasciato scritto Norberto Bobbio nella Sua “Autobiografia”: E il passato rivive nella memoria. Il grande patrimonio (…) è nel mondo meraviglioso della memoria, fonte inesauribile di riflessioni su noi stessi, sull’universo in cui siamo vissuti, sulle persone e gli eventi che lungo la via hanno attratto la nostra attenzione. C’è tutto quel “mondo meraviglioso della memoria” e tant’altro ancora nell’amorevole, appassionata, paziente “ricerca” delle radici individuali e familiari nonché di una comunità nel pregevole lavoro di documentazione fotografica “Fratelli Caruso fotografi” curato da “Rosellina” Caruso e da “Pippo” Librizzi e presentato nei tre volumi indivisibili “Dal fotografo”, “Gli eventi” e “La vita” – editi da Davision (2013), € 30 – che concorrono a ricreare per l’appunto la “magia” propria della “memoria” quasi come una moderna, contemporanea “ricerca” proustiana condotta con altri mezzi. È che andando per le immagini del pregevole lavoro la “memoria” riemerge quasi d’incanto spaziando dalla fisicità propria delle persone, divenute personaggi d’una rappresentazione senza tempo, in quello che è stato l’”atelier” dei “Fratelli Caruso”, alle immagini della vita comunitaria che pare tornare a riprendere magicamente forme e passioni, incontri e sguardi tanto nelle liete, festose ricorrenze documentate quanto nelle circostanze di dolore individuale che, nella comunanza del vivere, diviene dolore collettivo. E l’incanto ed il lirismo delle immagini, che sono propri come nell’opera del grande parigino, prorompono inarrestabili scorrendo il volume dedicato alla “vita” laddove scolaresche di un tempo che è stato, cerimonie religiose o laiche sembrano rendere esse la “vita” allo sfondo immobile del paesaggio che diviene e si trasforma quasi in un palcoscenico nuovamente e d’improvviso animato, adagiato com’è sugli ultimi bassi contrafforti dei Nebrodi boscosi che, in questo luogo di “memoria”, sembra vogliano quasi congiungersi od immergersi nel mare  che ha, in queste giornate di settembre, il colore di un dolce turchese, quel colore che l’autunno immancabilmente regala in questi luoghi alla prospiciente distesa marina, a quello che è stato per lungo, immemorabile tempo – un quarantennio almeno - il luogo nel quale quegli infaticabili, creativi “Fratelli Caruso” hanno mirabilmente operato per lasciare testimonianze di persone, di eventi nonché di vita. Sarà stata la scelta felice del luogo di presentazione del lavoro, in quella che è tutt’oggi la piazza “Duca degli Abruzzi”, con ai suoi lati le arboree fitte colonne ed a chiuderla la pacifica “maestosità” del cosiddetto “Monte”, per come amabilmente viene denominata la modesta altura che accoglie resti di un maniero antico diroccato ed un santuario di preghiera e di costante devozione, sarà stata dicevo quella “scelta felice” ché è parso come di risentire, per il tramite degli intervenuti alla presentazione, le voci di quel tempo lontano, gli odori forti degli aranci selvatici che numerosi sopravvivono nelle vie circostanti la piazza del piccolo centro urbano, i rumori ed i suoni di quelle che sono state le attività di lavoro, di vita e di svago di una intera comunità che, attraverso il pregevole lavoro di “Rosellina” Caruso e di “Pippo” Librizzi proverà a recuperare “memoria” ed un senso più compiuto della propria esistenza. Scriveva ancora quel grande “Maestro” che è stato Norberto Bobbio a proposito della “memoria” che è “vita” dei singoli e delle comunità: Meraviglioso, questo mondo, per la quantità e la varietà insospettabile e incalcolabile delle cose che ci sono dentro: immagini di volti scomparsi da tempo, di luoghi visitati in anni lontani e non mai più riveduti, personaggi di romanzi letti quando eravamo adolescenti, frammenti di poesie imparate a memoria a scuola e mai più dimenticate; e quante scene di film e di palcoscenico e quanti volti di attori e attrici dimenticati da chi sa quanto tempo ma sempre pronti a ricomparire nel momento in cui ti viene il desiderio di rivederli e quando li rivedi provi la stessa emozione della prima volta; e quanti motivi di canzonette, arie di opere, brani di sonate e di concerti, che ricanti dentro di te (…). È il riandare alle immagini di un tempo che è stato, è il ricantare “dentro” di ciascuno o, allorquando è il ricantare di un’intera comunità, il cantare tutti assieme che rende alla “vita” quel tanto di felicità alla quale aspirano tutte le creature che abbiano anime nobili e dolci.

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