Ha lasciato scritto Norberto
Bobbio nella Sua “Autobiografia”: E il
passato rivive nella memoria. Il grande patrimonio (…) è nel mondo meraviglioso
della memoria, fonte inesauribile di riflessioni su noi stessi, sull’universo
in cui siamo vissuti, sulle persone e gli eventi che lungo la via hanno
attratto la nostra attenzione. C’è tutto quel “mondo meraviglioso della memoria”
e tant’altro ancora nell’amorevole, appassionata, paziente “ricerca”
delle radici individuali e familiari nonché di una comunità nel pregevole
lavoro di documentazione fotografica “Fratelli Caruso fotografi” curato
da “Rosellina” Caruso e da “Pippo” Librizzi e presentato nei tre volumi
indivisibili “Dal fotografo”, “Gli eventi” e “La vita” – editi da
Davision (2013), € 30 – che concorrono a ricreare per l’appunto la “magia”
propria della “memoria” quasi come una moderna, contemporanea “ricerca”
proustiana condotta con altri mezzi. È che andando per le immagini del
pregevole lavoro la “memoria” riemerge quasi d’incanto spaziando dalla fisicità
propria delle persone, divenute personaggi d’una rappresentazione senza tempo, in
quello che è stato l’”atelier” dei “Fratelli Caruso”, alle
immagini della vita comunitaria che pare tornare a riprendere magicamente forme
e passioni, incontri e sguardi tanto nelle liete, festose ricorrenze
documentate quanto nelle circostanze di dolore individuale che, nella comunanza
del vivere, diviene dolore collettivo. E l’incanto ed il lirismo delle
immagini, che sono propri come nell’opera del grande parigino, prorompono
inarrestabili scorrendo il volume dedicato alla “vita” laddove
scolaresche di un tempo che è stato, cerimonie religiose o laiche sembrano
rendere esse la “vita” allo sfondo immobile del paesaggio che diviene e si
trasforma quasi in un palcoscenico nuovamente e d’improvviso animato, adagiato
com’è sugli ultimi bassi contrafforti dei Nebrodi boscosi che, in questo luogo
di “memoria”,
sembra vogliano quasi congiungersi od immergersi nel mare che ha, in queste giornate di settembre, il
colore di un dolce turchese, quel colore che l’autunno immancabilmente regala in
questi luoghi alla prospiciente distesa marina, a quello che è stato per lungo,
immemorabile tempo – un quarantennio almeno - il luogo nel quale quegli
infaticabili, creativi “Fratelli Caruso” hanno mirabilmente
operato per lasciare testimonianze di persone, di eventi nonché di vita. Sarà
stata la scelta felice del luogo di presentazione del lavoro, in quella che è
tutt’oggi la piazza “Duca degli Abruzzi”, con ai suoi lati le arboree fitte colonne
ed a chiuderla la pacifica “maestosità” del cosiddetto “Monte”, per come
amabilmente viene denominata la modesta altura che accoglie resti di un maniero
antico diroccato ed un santuario di preghiera e di costante devozione, sarà
stata dicevo quella “scelta felice” ché è parso come di risentire, per il
tramite degli intervenuti alla presentazione, le voci di quel tempo lontano,
gli odori forti degli aranci selvatici che numerosi sopravvivono nelle vie
circostanti la piazza del piccolo centro urbano, i rumori ed i suoni di quelle
che sono state le attività di lavoro, di vita e di svago di una intera comunità
che, attraverso il pregevole lavoro di “Rosellina” Caruso e di “Pippo” Librizzi
proverà a recuperare “memoria” ed un senso più compiuto
della propria esistenza. Scriveva ancora quel grande “Maestro” che è stato
Norberto Bobbio a proposito della “memoria” che è “vita” dei singoli e
delle comunità: Meraviglioso, questo mondo, per la quantità e la varietà insospettabile
e incalcolabile delle cose che ci sono dentro: immagini di volti scomparsi da
tempo, di luoghi visitati in anni lontani e non mai più riveduti, personaggi di
romanzi letti quando eravamo adolescenti, frammenti di poesie imparate a
memoria a scuola e mai più dimenticate; e quante scene di film e di
palcoscenico e quanti volti di attori e attrici dimenticati da chi sa quanto
tempo ma sempre pronti a ricomparire nel momento in cui ti viene il desiderio
di rivederli e quando li rivedi provi la stessa emozione della prima volta; e
quanti motivi di canzonette, arie di opere, brani di sonate e di concerti, che
ricanti dentro di te (…). È il riandare alle immagini di un tempo che è
stato, è il ricantare “dentro” di ciascuno o, allorquando
è il ricantare di un’intera comunità, il cantare tutti assieme che rende alla
“vita” quel tanto di felicità alla quale aspirano tutte le creature che abbiano
anime nobili e dolci.
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