“Quellichelasinistra” può
essere uno dei tanti modi di dire. Si sarebbe potuto anche dire “quelli a
sinistra”. Mi è parso che avrebbe avuto tanto della “prossemica” ovvero di
quella moderna disciplina che afferisce al campo della semiologia e che si
prende cura di studiare gesti sì, il comportamento pure, lo spazio anche ma che
focalizza la propria indagine sulle distanze e sulla occupazione degli spazi al
momento di quell’atto tipicamente e sommamente umano che è la comunicazione che
sia verbale o non verbale. “Quellichelasinistra” per l’appunto
sono quelli che non gradiscono una visione riduttiva del proprio stato, del
proprio essere. Che è come dire “quelli a sinistra” così come “quelli a
destra”. Che dietro l’essere tra “quelli a sinistra” spesso vi è il vuoto più
assoluto. Così come si sarebbe potuto dire “quelli di sinistra”. Ma chi sono
poi “quelli di sinistra”? Domanda terribile, oziosa forse, che esige risposte
precise. Impossibile da trovare. Ed allora “quellichelasinistra” per l’appunto.
Che la cosiddetta “sinistra” la possono tenere nel cuore o nella mente. Dipende
dai punti di vista. Ma superano i limiti di “quelli a” e di “quelli di”. Di “quellichelasinistra”
ne ha incontrati l’amico carissimo il “compagno” Giovanni Torres La
Torre. Giovanni Torres La Torre è un pittore, è uno scrittore, è un poeta. Ho
avuto modo di proporre tante creazioni del Suo genio artistico. Me ne parla, di
“quellichelasinistra”,
al tavolino del “Fellini café” in quel di Capo d’Orlando, mentre un caffè
fumante ed odoroso assai spande i suoi effluvi per tutto d’intorno. Ha memoria
cara ed anche struggente di un tempo vissuto nel paese natio su per i Nebrodi
boscosi e di tutti quelli che oggigiorno potrebbero sentirsi pienamente tra “quellichelasinistra”.
Ed in particolare ha memoria cara di un manovale di quei luoghi,
analfabeta, che nella frequentazione del “Salone” – l’opificio del barbiere
di quel tempo - del paese natio trovava modo di dare concretezza alla sua appartenenza
a “quellichelasinistra”
commissionando al giovanissimo Giovanni l’acquisto del quotidiano
l’Unità con il conseguente impegno che quel giovanissimo di allora lo leggesse
per tutti coloro che ne avessero interesse e bisogno. Era il desiderio di quel manovale
analfabeta di esercitare la sua militanza e la sua formazione politica. Ricorda
con affetto Giovanni Torres La Torre la ricompensa che gliene derivava: una,
una sigaretta “Nazionale senza filtro”, che segnava il passaggio alla età
maggiore del giovanissimo Giovanni. Ha chiesto Michele Smargiassi
nell’intervista a Mario Tronti – sul quotidiano la Repubblica del 5 di
settembre, "La lotta di classe c'è
ancora" -: Ha mai detto di se stesso "sono un uomo di sinistra"?
Qualcosa mi fa supporre di no... "Ha indovinato. Non lo direi mai, mi
sembra banale. Penso che "sinistra" sia qualcosa di cui c'è necessità
forse più che in passato, per quel che ha significato e può significare ancora.
Ma vede, io sono un teorico della forza e non posso non vedere la debolezza
della parola". Ecco il punto: la debolezza delle “parole”, il loro
snaturamento, quel dire e quel non dire, quel non riuscire a stabilire nessi e
contenuti certi. Ecco l’incertezza di e per “quelli a” o di “quelli di”.
Fermiamoci allora a “quellichelasinistra”. Chiede Michele Smargiassi a
Mario Tronti: È sopravvissuta a parole che sembravano eterne, una sua forza l'avrà
pure... "Sì, quella che dovrebbe avere. Metodologicamente sono contrario
ad abbandonare una definizione vecchia prima di trovarne una nuova che la
sostituisca. Mantengo questa, allora, consapevole dei limiti, perché per adesso
non ne ho un'altra. La vado cercando".
Ipotesi? "(…). Ecco, la
sinistra dovrebbe coltivare qualcosa che va al di là del presente, ricostruire
una narrazione, ma io preferisco dire visione, di quel che può esistere dopo la
forma sociale e politica del mondo che abbiamo".
Non è sempre stata questo? Un
movimento che "abolisce lo stato di cose presente"? "A questo si
erano dati nomi più forti, socialismo, comunismo, e più efficaci, perché
dicevano immediatamente anche all'uomo più semplice che si andava verso
qualcosa al di là dell'orizzonte".
Mentre sinistra è uno "stato
in luogo"? "Di certo non ha la stessa capacità di evocazione, serve
magari a criticare il presente ma non contiene il futuro. È rimasta in campo,
ma non è riuscita a creare quella grande appartenenza umana, antropologica, che
le vecchie parole suggerivano. Forse "sinistra" riflette proprio
questo passaggio dalla prospettiva all'autodifesa, dal movimento alla
trincea". Ecco la necessità di superare uno o lo "stato
in luogo”, d’essere compiutamente solamente “quellichelasinistra”. E
basta.
Ma si diventa di sinistra? O ci
si nasce? "Ognuno ha la propria risposta. Non amo parlare di me, ma posso
dirle che nel mio caso è stato quasi un fatto naturale, da giovanissimo,
diventare comunista. Perché quella è stata la mia parola, subito. Ha contato
molto l'estrazione popolare della mia famiglia, mio padre comunista col quadro
di Stalin sopra il letto, mi sono immesso in quell'orizzonte in modo naturale,
ovviamente da lì è partito un percorso lungo e critico...".
(…). Lei ha scritto anche: basta
con gli aggettivi, torniamo ai sostantivi. Cosa voleva dire? "La parola
sinistra è stata aggettivata tantissimo. Questo capita alle parole deboli. La
differenza tra socialismo e comunismo è che il primo a un certo punto sentì il
bisogno di aggiungere "democratico". Il comunismo non lo fece mai.
Non so se sia stato un bene o un male, forse è stata una delle cause del suo
fallimento".
Ma quale strada porta all'oltre?
Fare qualcosa di sinistra oggi sembra ridursi a una deontologia civica di
onestà, rispetto... "Da un po' di tempo dico che si è aperta nel mondo
contemporaneo una grande questione antropologica: il senso dell'essere qui, in
un mondo allargato e transitorio, in questo disagio di civiltà che non è solo
politico e sociale o economico. Come essere donne e uomini in questo mondo? La
domanda vera è questa. Rispondo così: è importante avere un punto di vista,
partire da una posizione. Che può essere soltanto parziale. In una società
profondamente divisa non è possibile essere d'accordo con tutti. Certo una
volta era più semplice, le parti erano chiare e distinte, erano le classi. La
parte ora te la devi andare a cercare".
E come si riconosce? "Per
essere riconoscibile come parte, la sinistra dovrebbe dire una cosa
semplicissima: siamo gli eredi della lunga storia del movimento operaio. Lunga
storia, ho detto. Abusivamente ridotta a pochi decenni, quelli del socialismo realizzato,
mentre viene dalla rivoluzione industriale, si diversifica nell'Ottocento
grande laboratorio, affronta nel Novecento la sfida della rivoluzione...".
(…). Cosa resta di quella storia?
"Una parzialità. La parte del popolo attorno a un concetto che non è sparito
con la fine del movimento operaio: il lavoro. Una sinistra del futuro non può
che essere la sinistra del lavoro come è oggi, complicato frantumato in figure
anche contraddittorie, il dipendente l'autonomo il precario, il lavoro di
conoscenza, quello immateriale... La sinistra dovrebbe unificare questo
multiverso in un'opzione politica. Ma essendo anche un teorico del pessimismo
antropologico, la vedo difficile".
(…). Può spiegare meglio?
"La cosiddetta sinistra dei diritti, maggioritaria oggi. Quella che si
limita a difendere un certo elenco di diritti civili, presentandoli come valori
generali. Finisce per essere un intellettualismo di massa, un consolatorio
scambio al ribasso. Basta qualche battaglia contro l'immoralità e ti senti a
posto dentro questa società".
La rivolta contro la
"casta" sembra verbalmente forte e gratificante. "La famosa
antipolitica... La sinistra non ha messo a fuoco il pericolo vero, la sua
violenza, il suo obiettivo vero, che è deviare lo scontento popolare su una
base che per il potere è sicura perché non minaccia davvero le basi della
diseguaglianza. Se non trovi lavoro è perché i ministri hanno le auto
blu?".
Un'arma di distrazione di massa?
"Un disorientamento politico di massa. Le grandi classi non ci sono più,
il conflitto frontale non c'è più, i grandi partiti neppure, ma la lotta di
classe c'è ancora. Di questo mi permetto di essere ancora sicuro".
Uno che sarebbe stato bene, anzi benissimo, oggigiorno, tra “quellichelasinistra”
scriveva al figlioletto Dante in un’ultima lettera: "...possono bruciare i
nostri corpi, non possono distruggere le nostre idee. Esse rimangono per i
giovani del futuro, per i giovani come te. Ricorda, figlio mio, la felicità dei
giochi... non tenerla tutta per te... Cerca di comprendere con umiltà il
prossimo, aiuta il debole, aiuta quelli che piangono, aiuta il perseguitato,
l'oppresso: loro sono i tuoi migliori amici". Era un ciabattino.
Si chiamava Nicola Sacco.
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