"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 13 luglio 2013

Sfogliature. 19 “Il crimine dell’indifferenza”.



Scriveva Karen Greenberg – ricercatrice presso il Center on Law and Security della New York University -, in una riflessione - “Qual è il punto di equilibrio tra sicurezza e libertà” - pubblicata sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 5 di settembre dell’anno 2009: Qual è il punto di equilibrio tra sicurezza e libertà. La questione della sicurezza non si risolve a colpi di pacchetti legislativi e decreti d'emergenza. Non si risolve affidandosi allo Stato, ma facendo i conti soprattutto con il fattore umano. Con la paura e la fragilità delle nostre vite. La garanzia della sicurezza non esiste, così come quella della libertà. Ci si può solo avvicinare a entrambe, per approssimazione. Il punto di equilibrio si misura più attraverso le emozioni che nei fatti. La paura del terrorismo, per esempio: è un sintomo dell'ansia generalizzata che ci attanaglia, lo specchio della percezione individuale e collettiva. Sentiamo ripetere che proteggere i cittadini è il compito fondamentale di ogni governo ma spesso dimentichiamo che è nostra responsabilità negoziare quali rischi siamo disposti a correre in cambio e cosa siamo disposti a sacrificare. La storia recente degli Stati Uniti ci insegna che cosa accade quando ci si abbandona alla paura: si lascia che un governo violi la legge, che faccia un uso spropositato della segretezza in nome della sicurezza e imponga dei limiti severi alle libertà civili. (…). E se tutto questo all'inizio ci ha rassicurati, nel lungo termine ci ha reso infinitamente più vulnerabili. (…). Che lezione impariamo da questo? Lo Stato non detiene il monopolio della sicurezza. Deve aprire la conversazione e stabilire un tono, ma poi sta a noi cittadini e alle comunità locali portarlo avanti. Il punto di partenza migliore è creare un senso di solidarietà interno. Come trovare quella compassione, intesa in senso non religioso, che leghi le persone e le spinga oltre paura, egoismo, individualismo sfrenato e sospetto verso l'altro? Sicurezza e libertà nascono anche da qui. Scrivevo la domenica 3 di aprile dell’anno 2011 in un post rinvenuto alla pagina 2452 di quell’e-book che ha fatto sopravvivere la “memoria” di questo blog: Non occorre spendere molte parole per “contestualizzare” l’annoso problema. Sull’onda della “emotività” e della “percezione”, categorie molto care ai “tromboni” reggitori della cosa pubblica nel bel paese, e bandendo per sempre dagli orizzonti della comunicazione sociale la “consapevolezza” che dovrebbe essere propria del “cittadino riflessivo”, tanto per prendere a prestito un concetto sociologico – in verità del “ceto medio riflessivo” - tanto caro allo storico Paul Ginsborg, il problema della sicurezza è stato un asso nella manica per vincere le elezioni politiche, falsando i dati sulla criminalità ed adombrando la possibilità che dietro ad ogni “cristo in Terra” che tenti di sfuggire alla miseria ed alle persecuzioni, si celi a tutti gli effetti un potenziale “terrorista”, islamico per giunta. Questo aspetto miserevole d’affrontare il problema dei moderni “migranti” è emerso con forza in tutte quelle occasioni che abbiano consentito nel bel paese di parlare di “migranti”, alterando realtà e dati statistici sempre, per legiferare in termini di totale chiusura verso i disperati del secolo ventunesimo, ed accogliendo utilitaristicamente soltanto quelle persone che soddisfacessero alle necessità d’impresa o familiari (raccoglitori, stallieri, badanti e contorno). Anche in occasione delle rivolte del nord d’Africa si è coltivata e propalata la più egoistica delle paure, adombrando, ancora una volta e irresponsabilmente,  dietro quei giovanili sommovimenti, condotti in nome della libertà e per una speranza di vita diversa e migliore, il rimontante pericolo del terrorismo islamico. Come suol dirsi, “il lupo perde il pelo ma non il vizio”, vizio che diviene sempre più oneroso nei termini della difesa dei diritti e delle libertà costituzionali dei singoli cittadini anche nel bel paese. Uno spettro s’aggira nelle ubertose contrade del bel paese: lo spettro del “prossimo” nostro, lo spettro di tutta quella umanità che tenta, con difficoltà, di spezzare le catene dell’oscurantismo, della miseria e della ingiustizia planetaria. Evitare che le masse emarginate ed affamate spezzino le loro secolari catene di fame e miserie rappresenta l’impegno massimo a livello di tanti governi di un Occidente oramai scristianizzato per garantire un oramai indifendibile stato di benessere e di privilegio pagato, “consapevolmente”,  e senza l’ipocrisia del dire “io non sapevo”, con la miseria nera dei più della Terra. Ebbene, oggi il nuovo vescovo di Roma, Francesco, rendendo la “memoria” persa - in un tempo nel quale solo il presente ha valore – a quell’immenso sterminio consumato nel mar Mediterraneo, sbugiarda con coraggio ed al contempo condanna una politica tutta che, nella risoluzione muscolare verso i deboli e gli inermi dei problemi della migrazione nel secolo ventunesimo, ha cercato quel consenso  che oscurasse e facesse meglio digerire gli insuccessi di governo nel mentre che la “crisi”, negata a più riprese, avrebbe fiaccato e disperse le residue fantasiose elucubrazioni degli inadeguati reggitori della cosa pubblica nel bel paese. E sì che i mercati avrebbero, da lì a pochi mesi da quel 3 di aprile dell’anno 2011, preteso la “cacciata” di un premier millantatore ed illusionista. I mercati e non la politica resasi impotente e lontana assai dai problemi della “gente”. Ha scritto Barbara Spinelli commentando sul quotidiano la Repubblica di mercoledì 10 di luglio – “Il crimine dell’indifferenza” – il primo viaggio del nuovo vescovo di Roma Francesco: Gesù non scolpisce leggi divine sulla pietra, quando assiste al processo dell`adultera: urge fermare un linciaggio. In un primo momento tace, si china a terra, e scrive sulla sabbia un`altra legge, che non si fissa perché sulla sabbia passa il vento. Importante è che la sua parola s`incammini nelle menti, aprendo un vuoto e facendo silenzio tutto intorno. Dicono che non è teologia: in realtà è teologia diversa. Gianfranco Brunelli lo spiega bene, in un articolo sul Regno: esiste uno stile cristiano (lo stile di Gesù), non meno sofisticato delle dottrine, e il Papa lo fa proprio quando proclama: «Il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita» (18 maggio 2013). La Parola è centrale nel cristianesimo, e nelle religioni del Libro. Non la parola scritta dottamente. Ma quella che dici all`altro: ai sommersi, sofferenti; ai «cari immigrati musulmani», cui il Papa augura un Ramadan ricco di «abbondanti frutti spirituali»; e ai tanti che di fronte al soffrire dicono al massimo poverino! e impassibili passano oltre. Francesco non passa oltre, anzi mette se stesso fra i colpevoli d`indifferenza: «Tanti di noi, mi includo anch`io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. (...). Ci siamo abituati alla sofferenza dell`altro, non ci riguarda, non è affare nostro!». La Chiesa romana è peccatrice, proprio come nella Commedia di Dante è responsabile del mondo uscito dai cardini, disastrata dal potere temporale. E colpevoli sono i sovrani d`Occidente, che tollerano quelle povertà estreme, e un Mediterraneo funebre, e l`immondo commercio di chi «sfrutta la povertà degli altri, facendone fonte di guadagno». Ecco: il messaggio vuole essere nuovo nell’indifferenza dilagante nella quale sono state buttate le nostre vite. Si dirà: ma è il messaggio del cristianesimo! Sì, ma era divenuto afono, poiché quel messaggio stava, in termini e parole diversi, anche sulla bocca di coloro che oggigiorno possono essere considerati i responsabili dell’immane tragedia nel mar Mediterraneo. E Francesco ha parlato in questo senso. Solo che lo si voglia ascoltare. E capire.

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