"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 26 dicembre 2011

Strettamentepersonale. 2 Il natale e l’orgia dei consumi.


24 di dicembre. Diario della vigilia. In casa di *********, in attesa dell’evento. Anzi dell’avvento secondo la catechesi. I più piccoli, ad una certa ora, scartano gli innumerevoli doni posati sotto lo scintillante albero artificiale. Scartano con la consueta frenesia dei piccoli: ne scartano tanti che, alla fine, alcuni pacchetti-dono rimangono intonsi lì, nelle loro buste e con i loro fiocchetti colorati, abbandonati al loro destino. I più piccoli si sono presto stancati di tanta esagerata abbondanza, nulla più li attrae. I grandi approntano una grande tavola per l’immancabile cenone. La tavolata è allegra, si chiacchiera del più e del meno con accordata attenzione. La compagnia è piacevole assai. Non mancano i riferimenti alla “crisi”, ma è d’obbligo non calcare i toni. È pur sempre il natale dei cristiani. Le pietanze meritano gli elogi della allegra, godereccia tavolata. La gente attorno è simpatica. Molto. La chiacchiera è rilassante. Nella serata tarda qualcuno accende il televisore. Immagino perché si debba attendere lo scoccare del minuto primo della mezzanotte. Entro in uno stato di contenuta agitazione. Mi capita sempre. Alla mezzanotte è di prassi stappare una qualsivoglia bottiglia e brindare, ed attorno al grande tavolo scambiarsi auguri e baci sulle guance. È la prassi consolidata. Anche se consolidata mi genera l’agitazione di cui sopra. La mezzanotte scocca. La chiacchiera ci ha distratti. Qualcuno stappa l’immancabile bottiglia. Ma avviene un miracolo. Un miracolo a natale. Si rimane al proprio posto continuando a chiacchierare come se nulla fosse. Nessuno scambio augurale, nessun bacio sfiorato sulle guance. Un miracolo, dicevo. Mi rilassa, mi reca sollievo. Accade per la prima volta. Forse la “crisi” ci cambierà, o forse ci ha cambiati di già senza che ce ne accorgessimo. Si sparecchia la tavola. Seduti sul divano si segue distrattamente la trasmissione del dopo la mezzanotte. Tutto come sempre: la solita melensaggine di una debosciata televisione pubblica. Che con il natale dei cristiani non c’entra nulla. Dicevo del miracolo di questa trascorsa ultima mezzanotte. Incredulo, traggo un sospiro di sollievo, mi sento leggero e come d’incanto quella certa agitazione svanisce. È la prima volta che mi accade. È che, la consuetudine degli auguri – per cosa poi? – mi ha lasciato sempre di un umore teso. Che sia l’avvento di un’era nuova in cui viene riconosciuta, finalmente, la libertà di non augurarsi ciò che le proprie convinzioni non accettano? Ho letto in questi giorni una corrispondenza di Giampaolo Visetti dalla Cina, corrispondenza pubblicata sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica”. Scrive Visetti che in Cina fanno affari d’oro col natale. Sì, proprio loro, i cinesi, che col natale dei cristiani non hanno nulla da spartire. Affari d’oro, copiando tutto ciò che fa parte dell’orgia dei consumi dell’Occidente cristianizzato. Loro, i cinesi, nella grande maggioranza, con il bambino di Betlemme non hanno nulla da spartire. Suol dirsi, però, che “pecunia non olet”. Ho ripescato tra i miei ritagli una riflessione del teologo dell'Università san Raffaele di Milano Vito Mancuso che ha per titolo “Un’orgia di consumi che nasce anche dal marketing teologico”. È stata pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 24 di dicembre dell’anno 2010. Ve la propongo di seguito. Buona lettura e buone feste ancora. Quelle che rimangono da festeggiare. “È abbastanza frequente ascoltare dagli uomini di Chiesa una netta contrapposizione tra il Natale quale festa religiosa e il Natale quale festa della società, nel senso che il primo sarebbe semplice e povero, il secondo artificiale e consumistico, il primo all'insegna della sobrietà e della verità, il secondo all'insegna dell'opulenza e della falsità. C'è indubbiamente del vero in questa analisi, né ci sono dubbi che molti aspetti del Natale quale grande kermesse commerciale costituiscano una vera e propria profanazione dell'evento religioso: se l'autentico spirito natalizio è quello interpretato da Francesco d'Assisi con il suo presepe contadino che invita all'essenziale e al silenzio, appare evidente quanto contrastino con esso le nostre città e i nostri media con il loro ininterrotto e suadente invito al consumo, alle spese, al rumore, alle chiacchiere. Facendo peraltro un'ipotesi per assurdo, ho l'impressione che se si impedisse la Messa e la benedizione urbi et orbi del papa si avrebbe una sollevazione popolare meno intensa rispetto a un'ipotetica abolizione dello shopping di massa e delle luminarie di contorno, perché proprio in questa dimensione consumista risiede il senso effettivo del Natale dei nostri giorni. Chiedendomi il motivo di tale fenomeno mi è sorto però il dubbio se non sia proprio la teologia del Natale, così come tradizionalmente concepita e insegnata dalla Chiesa cattolica, all'origine di questa gigantesca evasione dalla realtà. Il Natale di Gesù infatti può essere interpretato all'insegna del miracoloso e dell'inaudito, oppure della normalità e dell'universalità. Può diventare la celebrazione di un singolo evento storico avvenuto una volta sola, mai avvenuto prima né mai più ripetibile in futuro; oppure la celebrazione di un singolo evento storico quale simbolo concreto di eventi accaduti innumerevoli volte e che ancora oggi avvengono innumerevoli volte. La teologia tradizionale ha seguito la prima via, caricando la nascita di Gesù di luminarie e festini colorati al fine di renderla una meraviglia mai vista e di farne un prodotto efficace per il mercato dell'anima. La cosmesi inizia presto, già nei vangeli canonici: mentre infatti per il più antico di essi Gesù nasce a Nazaret, oscuro paese mai citato nella Bibbia ebraica (vedi Marco 6,1), per il secondo e terzo vangelo nasce a Betlemme, la città di Davide indicata dalla profezia di Michea come luogo nativo del Messia. E mentre per San Paolo Gesù nasce da una donna del tutto normalmente, per Matteo e Luca si tratta di un concepimento verginale. Ma è soprattutto con i vangeli apocrifi e con la tradizione successiva che il processo di decorazione raggiunge il vertice, quando dal concepimento verginale si passa a una nascita verginale, nel senso che il bambino Gesù sarebbe uscito dall'utero della madre senza deflorarne l'imene (credenza ora dogma di fede del cattolicesimo che sostiene la verginità di Maria «ante partum, in partu, post partum»). Se a questo aggiungiamo che a partire dal IV secolo la data della nascita di Gesù viene appositamente collocata il 25 dicembre per «soppiantare la festa pagana del «Natalis solis invicti» (Dizionario di Liturgia delle Edizioni Paoline),  il processo di marketing teologico e liturgico appare in tutta la sua evidenza. Dal che consegue che quando i predicatori tuonano contro il consumismo dello shopping, vanno invitati a dare per primi essi stessi l'esempio, rendendo più autentica e più aderente alla verità la narrazione del Natale religioso.  Naturalmente il necessario processo di purificazione e di ritorno all'essenziale della dottrina cattolica sarà lungo e doloroso, ma solo così l'evento di un bambino che nasce potrà tornare a interpellare la coscienza contemporanea distogliendola dalle false luci della ribalta dei consumi e concentrandola sull'unica vera luce del mondo.”

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