“(…). Con un formidabile fiuto populista, il berlusconismo aggredì sin dal primo momento il linguaggio pubblico distorcendone il lessico, le regole e la pragmatica. Si cominciò dal linguaggio del capo, che con la complicità dei media impose in un lampo i suoi manierismi (il famoso mi consenta), le sue metafore sportive (soprattutto calcistiche: Scendere in campo, mettere in campo, fare un passo indietro…), le sue mediocri formule e tormentoni (una scelta di campo, odio e invidia personale, non mi hanno lasciato lavorare, il partito dell´amore). Poi furono aggredite le regole della conversazione politica, come si manifestano specialmente nei talk show televisivi. Molti di noi ricordano attoniti il momento in cui, all´inizio di questa storia, fecero la loro prima comparsa le tecniche di aggressione verbale: dare pesantemente sulla voce, silenziare l´interlocutore alzando sfacciatamente il volume, battibeccare in modo selvaggio solo per lasciarlo tramortito, intimare col dito puntato un ossessivo ‘si vergogni, si vergogni, si vergogni’ a chiunque sostenesse idee difformi, lanciarsi in imperdonabili semplificazioni. Quel che si diceva perdeva intanto importanza: contava solo imporsi sull´interlocutore, lasciarlo steso e pesto, in modo che il pubblico (anche quello relativamente alfabeta dei dibattiti politici) fosse colpito, più che dagli argomenti, dalla clava usata per agitarli. Dall´involucro si passò poi alla sostanza: fiumi di dati citati a sproposito, numeri e percentuali inventati, argomenti improvvisati, fonti falsificate, continue rettifiche di affermazioni innegabili (con la gag del sono stato frainteso). (…). A quasi vent´anni di distanza, un mese fa, il (…) capo, imperterrito nel vortice della crisi economica, le sparava grosse da Cannes sostenendo che in Italia non c´è crisi perché i ristoranti sono pieni, gli aerei prenotati e i luoghi di vacanza invasi di gente. Infine, la rappresentazione dell´altro, l´avversario trasformato in nemico malvagio e incorreggibile. Dopo il fascismo non s´era mai vista una così becera denigrazione dell´avversario, ottenuta attribuendogli intenzioni maligne (odio personale) o sentimenti volgari (invidia e gelosia) e rivolgendogli inconcepibili epiteti e gesti ingiuriosi. Neanche la sfera personale fu risparmiata: basta ricordare quando Storace propose nel 2007 di portare stampelle ai senatori a vita più anziani; gli insulti personali e i gesti osceni usati in tante occasioni da Bossi e vari leghisti; le volte che si sono usati argomenti interdetti dal codice etico tacito delle democrazie moderne, come l´allusione a difetti fisici, all´età avanzata, al colore della pelle o ad altre proprietà personali. La lista delle truci barzellette berlusconiane è talmente vasta che ormai in più Paesi se ne fanno raccolte commentate… (…). Ma se la tecnica di interrompere il discorso altrui, di dare violentemente sulla voce e di insultare gli oppositori ha prosperato per tutto questo tempo, è perché ha potuto contare sul passivo assenso di gente dei media, giornalisti e conduttori della più varia propensione politica. Sono loro che, per procurarsi il favore dell´auditel o di una parte del ceto politico, hanno permesso che le loro trasmissioni si trasformassero in oscene corride. (…).”
“Doveravatetutti” è luogo “virtuale” ove provvedere a risanare le ferite purulenti inferte al bel paese dalla sciagurata “discesa in campo” di una combriccola di buontemponi, improvvisatori e di indefessi negatori della realtà. Solipsisti esasperati, per i quali l’unica realtà è quella creata dalla loro (in)coscienza e che per tale debba ritenersi essa, la loro percezione, percezione condivisa e generale, han menato per decenni il loro primitivo pensare con sfrontata, audace fortuna tanto da stravolgere la lingua ed il linguaggio comune sì da renderlo incomprensibile ai più. è venuto il tempo in cui “medicare” le parole, per come Barbara Spinelli propugna, diviene l’impresa prima per la ricostruzione del “vivere” sano del bel paese. Sul quotidiano “la Repubblica” Raffaele Simone sembra voler cogliere al volo la sollecitazione della Spinelli e lo ha fatto con un editoriale che ha per titolo “Il linguaggio da bonificare”, che ho trascritto in parte. Ma ancor prima della “sollecitazione” recente a “medicare” le parole ed il linguaggio tutto, altri contributi e riflessioni non sono mancati da parte di illustri e responsabili pensatori, contributi e riflessioni caduti sempre nella disattenzione e nell’indifferenza generale. Ne parlò dottamente a Firenze, il 16 di ottobre dell’anno 2010, il professor Gustavo Zagrebelsky con un Suo intervento nell’ambito di un convegno sul tema “Società e Stato nell’era del Berlusconismo”. Ne trascrivo di seguito le prime due voci.
“(…). «Scendere» (in politica). Qual è la via che conduce alla politica? O dal basso o dall´alto. Dal basso, vuol dire dall´interno di un´esperienza politica che, mano a mano si arricchisce e porta all´assunzione di sempre più vaste responsabilità e di più estesi poteri. Ciò equivale a una carriera politica e corrisponde all´idea della politica come professione, nel senso classico di Max Weber. La legittimità dell´aspirazione al potere politico è interna alla politica stessa, alle sue esperienze, alle sue procedure e ai suoi rituali. Oppure la via può essere la discesa, quando si fanno valere storie, competenze e virtù maturate in altre e più alte sfere. La politica non è, allora, una professione, ma una missione. La legittimità dell´aspirazione politica è esterna alla politica come professione, anzi sta proprio nel suo essere estranea, aliena. (….) Trasferita dalla salvezza delle anime alla salvezza delle società, è la sempiterna figura della missione redentrice che un «salvatore» assume su di sé, lasciando la vita beata in cui stava prima lassù, scendendo a sacrificarsi per gli infelici che stanno quaggiù. Teologia politica allo stato puro, cioè trasposizione di schemi mentali e suggestioni dalla teologia alla politica. C´è poco da ridere o anche solo da sorridere. È cosa seria. È una forma mentale perenne e universale, ricorrente nella storia delle irruzioni in politica di tutti i salvatori che si accollano compiti provvidenziali. I «re nascosti», gli «unti del Signore» che gli uomini comuni devono riconoscere, fanno la loro apparizione nella storia dei popoli in ogni momento di difficoltà; gli «uomini della provvidenza», comunque li si denominino e quale che sia la forza provvidenziale che li manda e dalla quale sono «chiamati» (un Dio, la Storia, il Partito, la «Idea», la Libertà, il Sangue e la Terra, in generale il Bene dell´umanità) sono appena alle nostre spalle, anzi sono tra noi. La secolarizzazione del potere, premessa della democrazia, non li ha affatto scacciati. (…). Ma c´è da scommettere che, se un tale personaggio, dal mondo della finanza, dell´industria o dell´accademia, farà la sua apparizione, questa sarà circondata dagli stessi caratteri: anche lui «scenderà» in politica e il suo non sarà un «ingresso» ma una «discesa». Si renda o non si renda conto del significato di questo linguaggio che, ormai entrato nell´uso, gli sembrerà del tutto naturale, ovvio. La parola-chiave è dunque «scendere». Scendere da dove? Da una vita superiore. Scendere dove? In una vita inferiore. Per quale ragione? Per rispondere a un dovere, al quale sacrificarsi. Quale dovere? Salvare un popolo avviato alla perdizione. Con quali mezzi? Mezzi politici. Dunque: «scendere in politica». (…).
«Contratto». Da dove si scende, è ben detto fin dall´inizio, in quel volumetto del 2001, intitolato Una storia italiana, dove la vita del protagonista, prima della «discesa», è rappresentata come un idillio familiare, intriso di buoni sentimenti, di felicità nel suo rapporto con la natura, come una sequela di successi professionali, come una dedizione, già allora, al bene di tutti coloro che hanno a che fare con lui. Ma ora, c´è un popolo intero che ha bisogno di soccorso. Non rispondere alla chiamata, sarebbe un atto d´egoismo. Noi miscredenti pensiamo che la politica sia il luogo del potere, necessario ma pericoloso. No: è il mezzo per portare soccorso, da agevolare dunque. Resistere alla chiamata o opporsi al chiamato significa volere il male del bisognoso (…). Questi concetti, ripetuti poi infinite volte, dovrebbero essere analizzati uno per uno. Non sono detti a caso. Ci deve essere una mente: la condizione beata di partenza, il sacrificio personale consacrato al paese infelice e bisognoso d´aiuto, il soccorso, la chiamata, l´altruismo, le armi. C´è già in nuce tutto quanto seguirà. Compreso il rito elettorale, inteso non come laico confronto tra persone e programmi, ma come una sorta di giudizio di Dio affidato al popolo (vox populi, vox dei). Il programma elettorale diventa qualcosa di diverso da una proposta di governo. Diventa rivelazione della propria missione salvifica, «buona novella» che deve essere annunciata tramite «apostoli della libertà». L´investitura elettorale è la risposta all´annuncio. Il «contratto con gli Italiani» è cosa assai meno ingenua di quel che appare. È la sanzione dell´avvenuto riconoscimento del salvatore da parte dei salvati, da parte del suo popolo. La funzione mistica attribuita a questo «contratto», presentato come tavola fondativa d´un patto indistruttibile e sacro, è completamente al di fuori della logica della democrazia rappresentativa. Si spiega nella logica del disvelamento e del riconoscimento, della discesa dall´alto che incontra un bisogno e un´invocazione dal basso. (…).”
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