Ho visto e rivisto Palombella rossa innumerevoli volte ché mi riesce, ora, financo difficile riferire di questa mia “ossessione” e di tutte le volte che ho voluto affrontarla. Poiché il film di Nanni Moretti è un’”ossessione”. Contorto alquanto, difficile da individuarne una linea di racconto, è un continuo rimando a quelle situazioni anteriori dell’inconscio che oggigiorno vengono denominate, con un termine divenuto diffusissimo, “flash-back”. Poiché in quell’”ossessione” si consuma la ricerca di quella identità che ha sempre contraddistinto coloro i quali si sono definiti essere di “sinistra”. O a “sinistra”. Ed il definirsi di/a “sinistra” la dice lunga sul film e sul personaggio che Nanni Moretti ha voluto impersonare e proporre sugli schermi. Poiché definirsi tali, di/a “sinistra”, rappresenta gioco-forza una scelta che mal si combina con la linearità di una vita, della vita, con la semplicità della stessa e delle cose che essa offre. Quelli che si dicono di/a “sinistra” hanno gusto ad apparire tenebrosi, così come quello straordinario personaggio del film; contorti all’interno di sé, facilmente spinti all’autolesionismo se non fisico mentale almeno, per la qual cosa Michele Apicella, il protagonista del film, deputato di quello che fu il partito comunista, appassionato della pallanuoto che pratica, attraversa una crisi identitaria, crisi che lo spinge a mettere in discussione la scelta politica fatta ed anche il suo stesso stile di vita, poiché avendo subito un trauma a seguito di un incidente, non ha piena contezza del suo essere. E l’”ossessione” lo perseguita durante una importantissima trasferta in quel di Acireale, con quegli improvvisi “flash-back” che gli restituiscono, a brandelli, squarci della sua vita. E non può non riemerge dal suo inconscio turbato il Michele bambino, costretto dalla mamma a tuffarsi nella piscina, tuffo non voluto e che a distanza di anni rivive con il terrore vissuto allora, nonostante sia divenuto giocatore di pallanuoto. Il film si dipana come una matassa della quale si sia perduto il capo, l’inizio del filo, che ne consentirebbe un agevole utilizzo. E mentre tutto attorno la partita s’infiamma Michele si rivede ventenne, al tempo delle grandi scelte, comunista convinto, propagandista porta a porta del glorioso quotidiano di quel partito. Michele gioca, ma gioca male, e nel corso dei cambi interroga, ai bordi della piscina, le persone presenti, tra le quali un giovane cattolico assillato dalla sua condizione politica che cerca di conciliare con la scelta religiosa, giovane contorto (ciao Michele, sono Simone, sono cattolico, siamo tutti cattolici e ti vogliamo conoscere tutti. Tu la pensi come noi, siamo molto simili! Tu come ti definiresti? - Mi ricordo... ateo e materialista - Michele, io sono contento che tu esisti. Tu sei contento che io esista? - NO! NO!) al pari di Michele che lo respinge costantemente, ed una giornalista, che lo intervista con frasi fatte che lo indispettiscono assai ( - Lei la deve cambiare questa espressione! Trend negativo... Io non l'ho mai detto! Io non l'ho mai pensato! Io non parlo così! - Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!). Assalito dai suoi tormenti interiori Michele non si avvede che la partita sta per essere vinta dagli avversari, e quando la squadra tenta una difficile rimonta affida a Michele l'ultimo tiro, quello decisivo, una "palombella", uno di quei tiri insidiosi, lenti, a parabola, con il quale tenta di sorprendere il portiere lontano dai pali. Il tiro fallisce. Il film chiude con Michele bambino che scoppia in un irrefrenabile riso guardando, nel corso di una manifestazione politica di/a “sinistra”, un artificiale, simbolico sole rosso spuntare sulla sommità di una collina. Il “sol dell’avvenir”. Ancor oggi i miei figli, divenuti adulti - uno ora padre dei miei tre meravigliosi nipotini - benevolmente mi rimproverano di aver loro fatto “sorbire” quel contorsionismo mentale che pervade incessantemente il film di Nanni Moretti. Erano allora giovani, adolescenti. E ne ridono ancor oggi. Perché ne ho parlato? Forse per il fatto che di quel contorsionismo ne sono stati “infettati” per sempre quelli di/a “sinistra”. Noi, quelli che stanno a “sinistra”. Pensa una cosa di sinistra è il titolo di una interessante intervista che Barbara Spinelli ha ottenuto dal collega Federico Rampini in occasione della pubblicazione di un suo volume, per i tipi Mondadori – (2011) pagg. 228 € 18,00 - Alla mia sinistra, inteso il titolo non come una indicazione spaziale propria della prossemica, ma come adesione ad un’idea o, come un tempo soleva dirsi, ad una ideologia. A “sinistra” per l’appunto, intervista che è stata pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” e che di seguito trascrivo in parte.
“(…). Siamo abituati a parlare di recessione, dopo il collasso del 2007-2008, ma non tutti la vivono così. Per un´enorme parte della terra (i Bric, cioè Brasile, Russia, India, Cina) la crisi non è Grande Contrazione. È nuovo inizio, promesso a milioni di reietti. È una formidabile «redistribuzione della speranza», (…). Si accompagna a svolte geopolitiche di cui appena ci rendiamo conto: non si contraggono solo i nostri consumi, il nostro welfare. Si raggrinza l´America del Nord, come l´Europa dopo le guerre del ´900. Sono passati appena dieci anni, da quando Washington si autoproclamò nuova Roma imperiale: la malinconia cattura ora anche lei, come catturò l´Europa. Gli spiriti animali del capitalismo, euforici, hanno traslocato in Brasile, Cina, India. Lì la Storia ricomincia. C´è un interrogativo cruciale (…): «Poteva andare altrimenti?» Erano fatali, in Occidente, il naufragio delle speranze e della politica, il predominio di anonimi poteri finanziari cui per decenni è stata concessa la sregolatezza, la frode degli impuniti, il baratro infine che ha risucchiato il nostro capitalismo? Non era affatto ineluttabile, tutto poteva andare diversamente se avessero prevalso la legge, l´etica pubblica. Chi ha visto il terribile film di Charles Ferguson sulla crisi, Inside Job, sa di che parliamo. Non era fatale che la sinistra s´insabbiasse nel mimetismo, cedesse al caos del mercato: soprattutto l´osannata sinistra riformista di Clinton, Blair, che facilitò l´egemonia della destra e la sua letale deregolamentazione. (…). Quel che è osceno, nel potere della ricchezza, è l´uso che se ne fa: la disuguaglianza patologica che ha prodotto, l´arroganza imperiale, l´assenza di limiti, dunque di morale. La crisi ha rivelato una corruzione mentale profonda delle élite, e il declino della morale occidentale è l´evento del secolo. Il 29 gennaio 2002, poco dopo l´11 settembre, Paul Krugman scrisse un memorabile articolo sul New York Times (The great divide): non era stato l´11 settembre a «cambiare ogni cosa». Il punto di svolta che smascherò il nostro marciume, (…), fu lo scandalo Enron, la gloriosa società legata a Bush e Dick Cheney, travolta il 2 dicembre 2001 dal falso in bilancio. Tutto poteva andare diversamente: da quest´analisi autocritica urge partire. La storia non si fa con i se ma la coscienza storica sì. L´Europa sarebbe diversa, se fosse stato attuato il piano Delors su comuni investimenti, finanziati da euro-obbligazioni. Se l´euro non fosse restato senza Stato. Se qualcuno avesse voluto davvero «cambiare il gioco». (…). Se le cose potevano andare diversamente ieri, tanto più oggi. La scoperta della prospettiva (di un pianeta non più dominato dall´occidente) aiuta a escogitare modi di vivere diversi, adatti alla Grande Contrazione. Modi (…) basati sulla sottrazione, non sull´addizione del superfluo. Sono vie percorribili e non tristi, contrariamente a quel che si disse quando Berlinguer o Carter parlarono (nel ´77 e ´79) di austerità. Proprio i paesi emergenti inventano oggi crescite ecologicamente vigili. Il Brasile escogita l´automobile di biofibre, o il bioetanolo ricavato da canna da zucchero. Per scoprire nuove idee basta guardare dove la speranza rinasce. Basta inforcare gli occhiali cosmopoliti. (…) …l´egemonia culturale, dopo la crisi petrolifera del ´73, è la destra anti-Stato a conquistarla. E il fallimento non sembra intaccarla. È la vera sfida che la sinistra ha di fronte. Ma come nell´800 e ´900, la socialdemocrazia è forse la soluzione. È socialdemocratico il Brasile di Lula. È socialdemocratico il modello tedesco, austero custode dello Stato sociale anche quando governano i democristiani: unica alternativa alla Cina (…).”
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