"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 31 marzo 2021

Leggereperché 71 «È come se fossimo tutti stanchi, tutti reduci. Bisogna restituire la speranza di una società più giusta, equa, migliore».

Il “tema” o il “problema”, terribilmente attuale ed urgente, di una “sinistra” che non c’è più. Della serie “Dov’è finita la sinistra” l’intervista di Concita De Gregorio - “Sembriamo tutti reduci, dobbiamo difendere la conoscenza” - a Cecilia Mangini – “la più grande documentarista e fotografa italiana, 91 anni” – pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 31 di marzo dell’anno 2018: (…). …eri una ragazza, volevi che Pier Paolo Pasolini vedesse il tuo documentario e l'hai chiamato. "Sì".

Come facevi ad avere il suo numero? "Ho cercato sull'elenco del telefono alla lettera P".

C'era, cognome e nome? "Certo".

E allora? "Ho chiamato, ha risposto lui. Mi sono presentata, ho detto quello che dovevo. Lui ha chiesto: dove posso venire? Ha preso l'autobus ed è arrivato".

Dove? "In moviola. Il documentario era ancora coi segnacci, le giunte, muto. Ci stavo lavorando. Lui ha detto, alla fine: lo posso rivedere? Poi è andato via".

E dopo? "Dopo due o tre giorni ha richiamato. Ha detto il testo è pronto, te lo posso portare in moviola? (…)".

(…). Parliamo di politica? "Sì, sì. Di cinema, di fatti del mondo, di teatro. Di quello che vuoi: tutto è politica".

Sei stata comunista? "Mai iscritta al Pci. Sono di sinistra, ma nel cuore. Ho un animo anarchico. Refrattaria al potere: il potere è escludente".

martedì 30 marzo 2021

Paginedaleggere. 09 «La pandemia ha reso palpabile quanto sia ormai a rischio l’intero ecosistema del pianeta».

A lato. "Little town" (2020), penna ed acquerello di Anna Fiore.

Ha scritto Wlodek Goldkorn in “Potere politico” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 21 di marzo 2021: Anni fa, Zygmunt Bauman, amava rimarcare quanto i politici fossero in grado di fare «soltanto promesse che sapevano di non poter mantenere». Intendeva dire che la globalizzazione aveva reso poco rilevante la politica appunto, a favore di altri poteri, meno trasparenti, sottratti a ogni controllo democratico, più arbitrari quindi e difficilmente intellegibili. Le vere decisioni avvenivano altrove, in luoghi difficilmente definibili come il mercato, le borse, la finanza. Insomma, la globalizzazione (scambiata spesso dalla generazione del Sessantotto per il compimento del sogno internazionalista) avrebbe avuto come suo effetto collaterale e pericoloso il successo della retorica populista e delle nostalgie di stampo nazionalista e identitario, come risposta - sbagliata - allo smarrimento delle persone e dell’opinione pubblica dovuti anche all’impotenza dei politici. Ora, il potere si manifesta, in genere, non nella presenza dei capi in talk show in tv, quanto nella capacità di decidere. Decidere per indicare i traguardi da raggiungere a medio e lungo termine. E nel saper organizzare un’agenda, subordinata a una visione strategica. Ecco, la pandemia ha reso palpabile quanto sia ormai a rischio l’intero ecosistema del pianeta. Per questo, perfino per «gli spiriti animali» del capitalismo (parafrasando Keynes) è evidente la necessità di un potere politico in grado di tentare e indirizzare i processi della globalizzazione, la natura dei mercati e via elencando. In parole povere: dalla crisi non si esce come se fosse stata una spiacevole parentesi della storia. L’esempio viene dal paese guida dell’Occidente, gli Stati Uniti. Joe Biden, in tutto quello che sta facendo, sta restaurando la centralità della politica, del potere politico. Stessa operazione è in atto in Italia, con Mario Draghi alla presidenza del Consiglio e con Enrico Letta, che da segretario del Pd parla di politica e di potere, intesi come progetto di un futuro e non come tattica elettorale. Semplicemente. Tratto da "Attenti il populismo non è morto", intervista di Federico Rampini all'economista Dani Rodrik pubblicata sul quotidiano “la Repubbòica” del 14 di febbraio 2021: «Donald Trump ha perso ma il trumpismo non è scomparso. Le sue radici sono nell’impoverimento di tanti lavoratori, negli errori compiuti dalla sinistra che hanno accentuato la polarizzazione. Se scompare il ceto medio, viene meno una base della democrazia». (…).

Trump non è più alla Casa Bianca ma le cause strutturali del trumpismo, sia economiche che culturali, sono ancora in mezzo a noi? Quali considera più importanti: l’ideologia o le condizioni materiali? «C’è un legame fra i due aspetti e bisogna partire dagli shock economici tremendi degli ultimi decenni. Lo shock della competizione cinese. Lo shock dell’austerity europea. Lo shock della crisi finanziaria scoppiata in America nel 2008. La politica identitaria si nutre su questo terreno».

lunedì 29 marzo 2021

Virusememorie. 67 «Questa è l'Età dell'invidia, del risentimento, del sovranismo psichico. Ma è stato il Covid a farla esplodere».

A lato. L'"Invidia" del pittore Jacques Backer.

Ha scritto Indro Montanelli in “Soltanto un giornalista” – Rizzoli editore (2003), pagg. 368, euro 10 - : (…). Questo Paese è quello che è – ignorante, superficiale, capace di qualche effimero furore, ma non di veri e propri sentimenti e risentimenti morali - perché così l’ha fatto la scuola ed è la politica che ha fatto la scuola così. (…). "Sentimenti e/o (ri)sentimenti al tempo della “pandemia”. Tratto da “L’invidia ai tempi della pandemia” della scrittrice Elvira Seminara, pubblicato sull’inserto di Palermo del quotidiano “la Repubblica” del 25 di marzo 2021: