Da “È più
pericoloso il clima o un incidente stradale?” di Anthony Giddens, su “il Fatto Quotidiano” del 25 di
giugno 2015: (…). Abbiamo compreso più a fondo i fattori che provocano il
riscaldamento globale e le probabili conseguenze di quest’ultimo. Gli ultimi
studi della Nasa, l’agenzia spaziale americana, che monitorano il livello di
biossido di carbonio e di altri gas serra nell’atmosfera, dimostrano che il
2014 è stato l’anno più caldo a livello globale dal 1880, quando ebbero inizio
le misurazioni. A parte il 1998, i dieci anni più caldi finora documentati si
sono registrati tutti dal 2000 in poi. Con ogni probabilità il riscaldamento
globale provocherà un numero crescente di eventi atmosferici estremi in tutto
il mondo, tra cui il peggioramento della siccità in alcune zone e inondazioni e
tempeste in altre. Gli scettici del cambiamento climatico (quelli che dubitano
persino che il fenomeno sia in atto o che reputano minime le sue conseguenze)
credono che la Terra sia resistente e inattaccabile. Niente di ciò che possono
fare gli esseri umani è in grado di influenzarla più di tanto. Gli
ambientalisti tendono a considerare gli ecosistemi terrestri intrinsecamente
fragili e ritengono che le attività umane li danneggino. Tuttavia, in merito a
ciò che stiamo facendo alla Terra esiste una terza ipotesi, ancora più
allarmante, sostenuta da alcuni scienziati, secondo i quali la natura è come un
animale selvaggio. Noi esseri umani continuiamo a pungolarlo con il bastone e
il risultato è che alla fine reagirà in modo violento. Eppure sembra che la
maggioranza dei cittadini si preoccupi dei pericoli legati al cambiamento
climatico meno di quanto facesse qualche anno fa. Come mai?
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
domenica 29 novembre 2015
sabato 28 novembre 2015
Sfogliature. 48 “L’Italia vincente che non ci piace”.
Il sabato 6 di giugno dell’anno 2009
compariva su questo blog – per la sezione “Zeitgeist” - il post n° 49 che
portava per titolo “L’Italia vincente che non ci piace”. Queste incursioni
ripetute nel passato mirano a vivificare una “memoria” che gli
accadimenti degli anni successivi sembra abbiano ammorbato nel senso di una
corruzione del pensiero che miri a svuotare di ogni significato le parole ed i
termini e le realtà sociali per come si sono andate configurando nei processi
storici, realtà che storicamente sono state sempre contrapposte ma dalle quali,
svuotandone pensieri ed idealità, si prefigge il traguardo di pervenire alla creazione
di una “melassa sociale” che dall’indistinto ideologico tragga il suo
essere. In quegli anni il processo di ammorbamento della dialettica sociale
muoveva speditamente i suoi passi stante il fatto che il quadro politico
offriva scenari di governo di una destra al tempo vincente. E sin da quel tempo
il tentativo di dare corso ad un indistinto trovava in quello specifico
schieramento politico la fonte ispiratrice e la necessaria forte spinta
affinché il processo intrapreso avesse rapido sbocco ed un buon fine. Trascorso
un lustro e più da quei giorni ci si ritrova in un condizione politica –
partiticamente parlando – che dovrebbe essere all’antitesi rispetto a quel
tempo, per ritrovarsi invece con gli attuali protagonisti della politica che, pur
professando una diversa matrice storica ed ideologica, realizzano in pieno quel
progetto di snaturamento sociale. Poiché nel progetto politico in corso si ha
la sensazione che l’obiettivo primo sia il superamento delle contrapposizioni
storiche che inevitabilmente la dialettica sociale concorre a stabilire. Risulta
essere pertanto salutare questa nuova incursione nella “memoria” con la
rilettura di un Autore autorevole quale è il linguista e sociologo Raffaele
Simone. Ri-sfogliamo quel post del 6 di giugno dell’anno 2009:
venerdì 27 novembre 2015
Sfogliature. 47 “Il fantasma necessario del disfattismo”.
Tenevo su questo blog una
rubrichetta di poco conto che aveva per titolo “Zeitgeist”, ovvero “lo
spirito del tempo”. Al lunedì 15 di giugno dell’anno 2009 registravo il numero
cinquantesimo della predetta rubrichetta col titolo “Del disfattismo e dintorni”. Ora si sa
bene che col termine “disfattista” si compie un salto
indietro di lustri e lustri, all’altro secolo, quando per la patria in armi l’“aratro
solca la terra e la spada la difende”. Ovvero quando soleva dirsi “credere,
combattere ed obbedire”, ovvero “taci, il nemico ti ascolta” ed altre
ancora simili facezie ed amenità. Sarebbe pertanto una grossissima forzatura
rinverdire quel termine tanto caro a quel sinistro tempo andato, quando si
soleva bollare con quel termine il dissenziente di turno, il “trinariciuto” che
“ipso facto” diveniva il nemico da abbattere. Oggigiorno la retorica si è
affinata tirando in ballo “gufi” e “rosiconi” come temibili nemici della patria
non più in armi. È l’assenza di una figura politica credibile lo scotto da
pagare, ovvero l’assenza di quelli che un tempo venivano definiti i “capi”
e per i quali Marco Travaglio ne ha tratteggiato il profilo nel Suo editoriale di
ieri 26 di novembre – “AAA leader
cercasi” – su “il Fatto Quotidiano”:
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