I segnali c’erano tutti. E se solo oggi la Cina
diviene - all’improvviso - il “casus” della finanza globale, non è
proprio da credere. Oggi, a pagare saranno i milioni e milioni di cinesi che
indebitandosi, invitati a fare ciò dal loro stesso governo, hanno concorso a
creare la “bolla” azionaria speculativa che va sgonfiandosi velocemente.
Da “Pil cinese dietro la frenata il
mancato decollo dei consumi interni” di Giampaolo Visetti, sul settimanale
“Affari&Finanza” del 16 di marzo 2015: Davanti all’Assemblea nazionale del popolo,
il premier cinese Li Keqiang ha fissato al 7% l’obiettivo di crescita del Pil
di Pechino nel 2015. È il target più basso da un quarto di secolo, quasi mezzo
punto in meno del 7,4 dello scorso anno, già record negativo. Quella che i
leader comunisti chiamano «nuova normalità» di una «crescita sostenibile»,
produrrà un incremento annuo del Pil di oltre 800 miliardi di dollari,
superiore a quello di cinque anni fa, quando ancora la crescita cinese
viaggiava a doppia cifra. Il più 7% della Cina di oggi consentirà di creare 10
milioni di nuovi posti di lavoro nel Paese, di mantenere la disoccupazione
sotto il 4,5% e di confermare che il Dragone è la super-potenza economica con
il passo più veloce del G20. In Occidente però le previsioni cinesi allarmano i
mercati e vengono sintetizzate con il termine «frenata». La sensazione è che
anche la Cina, in crisi come il Giappone e parte dell’Europa, soffochi la
ripresa Usa. Per i numeri è esatto, il rallentamento c’è. Non uno dei governi
delle grandi economie, avanzate o in via di sviluppo, rifiuterebbe però di
firmare per chiudere il 2015 con una crescita pari a quella di Pechino. In
febbraio l’export cinese ha sfiorato il record del quinquennio, con una
crescita del 48,3%. L’avanzo commerciale è stato di 60,6 miliardi di dollari. A
preoccupare l’economia globale non deve essere l’atterraggio del Pil di
Pechino, ma i problemi nuovi che la Cina è costretta ad affrontare. Li Keqiang
ha ammesso che gli investimenti rallentano e che la domanda di consumi interni
è ben lontana dal riempire il vuoto scavato dall’austerity occidentale. Per le
autorità il vero allarme è la crescente difficoltà nel rimuovere ostacoli e
interessi che cercano di far naufragare le riforme strutturali. Il premier
cinese le ha definite «le tigri in mezzo alla strada». «Problemi sistemici,
istituzionali e strutturali – ha detto – si aggiungono a catene mentali e
interessi costituiti per fermare lo sviluppo». Queste «tigri» sono i funzionari
centrali e locali, regioni e città sommerse dai debiti, nuovi miliardari,
banche e imprese di Stato, massa maggioritaria che sopravvive grazie a
corruzione e rendite di posizione. La sfida di Pechino non è il Pil, ma il
mercato. L’Occidente che si dispera per la «frenata» è quello che
inconfessabilmente fa il tifo perché si trasformi in uno «stop». Questo sì
disastroso.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
giovedì 27 agosto 2015
lunedì 24 agosto 2015
Lalinguabatte. 3 “Il beni-comunista”.
“Ricami pietrosi” di Silvia Ripoll Lopez. “Fare arte” con i ciottoli del mare.
Ha scritto Curzio Maltese su “il Venerdì di
Repubblica” del 3 di luglio ultimo scorso - “Solo un’enciclica verde? No, il manifesto del papa contro il turbo
capitalismo” -: (…). Francesco è ormai il Che Guevara della nostra epoca, un mito
rivoluzionario. Naturalmente il cristianesimo è stato all’origine un pensiero
rivoluzionario. Gesù era un genio che osava pensare l’impensabile nella
Palestina di duemila anni fa e per questo fu crocifisso. Ma da allora nessun
successore di Pietro si era mai avventurato nel terreno dell’impensabile, cioè
del totale conflitto con i valori dominanti. Francesco l’ha fatto. La sua
enciclica, disinnescata dai media come un appello ecologista, è in realtà una
critica radicale dei valori dominanti del turbocapitalismo, (…). Ed è
affascinante per molti laici perché il campo dei valori di riferimento è lo
stesso della rivoluzione illuminista, per due secoli considerata dalla Chiesa
cattolica come l’origine di tutti i mali: libertà, uguaglianza, fraternità. Nel
punto di massimo successo, dopo il crollo dei muri e la globalizzazione, il
neocapitalismo produce società sempre più ingiuste, con incredibili
concentrazioni di ricchezza e spaventose masse di poverissimi, società sempre
meno libere e fraterne, non soltanto nelle periferie, ma nel cuore e nella
culla dell’impero, come illustra l’avanzare in Europa di movimenti razzisti e
di regimi sempre più autoritari e pratiche incostituzionali. La domanda che
percorre il ragionamento di Francesco è la stessa di molti intellettuali laici.
Quanto insomma questo sistema possa essere riformato, limitato, ricondotto al
rispetto dell’umanità e dell’ambiente, e quanto invece non sia inesorabilmente
avviato alla distruzione delle società umane. In altri termini, si chiede se
l’azione degli uomini, il sentimento di fratellanza universale, sia ancora in
grado di limitare gli eccessi folli della macchina produttiva, la dittatura
della finanza, la distruzione dell’ambiente, l’annichilimento del concetto
stesso di bene comune, la pretesa delle multinazionali di brevettare ogni
organismo vivente e di privatizzare tutto, a cominciare dalla fonte della vita,
l’acqua. O se piuttosto non dobbiamo prepararci all’apocalisse globale di un
sistema, sperando che non coincida con il collasso della vita stessa sul
Pianeta. Una risposta vera e propria Francesco non la mette in campo, si limita
a indicare una strada. Anche questo, per un papa, è rivoluzionario.
venerdì 21 agosto 2015
Oltrelenews. 57 “Fattore umano”.
Da “Renzi,
il nuovo potere in camicia bianca” di Furio Colombo, su “il Fatto
Quotidiano” del 12 di ottobre dell’anno 2014: (…). Gli uomini con la camicia
bianca sono molto vicini al potere, e il potere è cambiato. Non vi starò a dire
chi sposta i pezzi perché non lo so, ma i pezzi sono stati spostati. In
pochissimo tempo siamo passati da una lotta politica interna a un partito, per
il temporaneo controllo della segreteria, alla guida, ben ferma e non
discutibile, di un partito-nazione che non ha e non accetta confini, non ha e
non accetta dissenso, non ha e non accetta alternative. Questo nascente
partito-nazione non è interessato ai confini istituzionali (se questo compito
tocchi all’esecutivo oppure al Parlamento), non accetta e anzi ridicolizza
confini ideologici (se questa sia o non sia sinistra). Quei limiti – e tutti i
limiti – sono disprezzati con l’espediente di rovesciare la scena e trascinare
la folla. Non sono io che travalico linee sacre. Ma sono io che, da solo, ho il
coraggio di salvarvi e questo è il percorso.
Il dovere dell’obbedienza è implicito in questa formula di governo che
tende a sbarazzarsi di inciampi e ribelli. Sembra chiaro che, in questa
improvvisa e drammatica riorganizzazione di ciò che dobbiamo intendere per
politica, non ci sono improvvisazioni. Ciascun designato sa qual è il compito e
qual è il percorso e perché la scrupolosa osservanza, e non la competenza, è il
requisito essenziale. Salvo che in strettissimi ambiti tecnici, la competenza è
anzi considerata una distrazione o una ambizione che limita la fedeltà. Il
patto è fra pochissimi, qualcosa come “la prima ora”. Altri, in numero
destinato a essere crescente, seguono e seguiranno, ma destinati a restare
sostenitori e seguito, più o meno ignoti, persino in Parlamento. Ci sono ancora
aree di disordine e zone di ribellione (stiamo parlando dell’interno dell’ex
Pd). Quanto siano rare è un indizio che persino i presunti leader di
alternative sanno, pur essendo stati tenuti fuori dal progetto, che non ci sono
varchi possibili. Appaiono deboli (non tutti) perché si sono resi conto in
ritardo che esclusione e inclusione non erano più materie trattabili. Sappiamo
poco del progetto, ma il progetto c’è. Per questo, assembramenti e
manifestazioni di contrasto avvengono sempre in un vuoto che non ha conseguenze
politiche. E questo è anche il rischio della “occupazione delle fabbriche”
imprudentemente annunciato da Landini, sulla base di un altro tempo e un altro
luogo. (…).
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