“Ricami pietrosi” di Silvia Ripoll Lopez. “Fare arte” con i ciottoli del mare.
Ha scritto Curzio Maltese su “il Venerdì di
Repubblica” del 3 di luglio ultimo scorso - “Solo un’enciclica verde? No, il manifesto del papa contro il turbo
capitalismo” -: (…). Francesco è ormai il Che Guevara della nostra epoca, un mito
rivoluzionario. Naturalmente il cristianesimo è stato all’origine un pensiero
rivoluzionario. Gesù era un genio che osava pensare l’impensabile nella
Palestina di duemila anni fa e per questo fu crocifisso. Ma da allora nessun
successore di Pietro si era mai avventurato nel terreno dell’impensabile, cioè
del totale conflitto con i valori dominanti. Francesco l’ha fatto. La sua
enciclica, disinnescata dai media come un appello ecologista, è in realtà una
critica radicale dei valori dominanti del turbocapitalismo, (…). Ed è
affascinante per molti laici perché il campo dei valori di riferimento è lo
stesso della rivoluzione illuminista, per due secoli considerata dalla Chiesa
cattolica come l’origine di tutti i mali: libertà, uguaglianza, fraternità. Nel
punto di massimo successo, dopo il crollo dei muri e la globalizzazione, il
neocapitalismo produce società sempre più ingiuste, con incredibili
concentrazioni di ricchezza e spaventose masse di poverissimi, società sempre
meno libere e fraterne, non soltanto nelle periferie, ma nel cuore e nella
culla dell’impero, come illustra l’avanzare in Europa di movimenti razzisti e
di regimi sempre più autoritari e pratiche incostituzionali. La domanda che
percorre il ragionamento di Francesco è la stessa di molti intellettuali laici.
Quanto insomma questo sistema possa essere riformato, limitato, ricondotto al
rispetto dell’umanità e dell’ambiente, e quanto invece non sia inesorabilmente
avviato alla distruzione delle società umane. In altri termini, si chiede se
l’azione degli uomini, il sentimento di fratellanza universale, sia ancora in
grado di limitare gli eccessi folli della macchina produttiva, la dittatura
della finanza, la distruzione dell’ambiente, l’annichilimento del concetto
stesso di bene comune, la pretesa delle multinazionali di brevettare ogni
organismo vivente e di privatizzare tutto, a cominciare dalla fonte della vita,
l’acqua. O se piuttosto non dobbiamo prepararci all’apocalisse globale di un
sistema, sperando che non coincida con il collasso della vita stessa sul
Pianeta. Una risposta vera e propria Francesco non la mette in campo, si limita
a indicare una strada. Anche questo, per un papa, è rivoluzionario.
Siamo
or così giungi al punto massimo del disorientamento. Poiché sarebbe stato
impensabile sino a pochissimi anni addietro che la forza delle idee tornasse -
o rimanesse? – esclusivo appannaggio di quella chiesa di Roma che non poco spazio
e credito aveva sempre concesso alle “caste” governanti – di qualsivoglia
colore - del mondo occidentale. Non è per recriminare, ma la perdita di una
leadership che la politica - ed intendo dire di quella politica che ha parlato
per tanti e tanti anni alle coscienze ed agli intelletti degli uomini di buona
volontà - ha lasciato un vuoto che è stato all’origine di quel disorientamento
profondo al quale ho fatto cenno. E ben si sa che la natura ha paura del
“vuoto”. I temi, tanto cari alla cosiddetta politica della sinistra, non
trovano più spazio nelle agende di quei governi che a tale visione dicono vanamente
di ispirarsi, essendo questi ultimi divenuti tenutari e manutengoli di un
sistema di sfruttamento selvaggio delle risorse ambientali a tutto vantaggio di
un capitalismo che si conferma sempre più essere di “rapina”. La valanga umana
che attraversa il mare “nostrum” per riversarsi sulle poco accoglienti spiagge
del sud d’Europa è tutta una umanità che dallo sfruttamento intensivo
dell’ambiente globale non ha ricevuto altro se non le briciole per una vita
stentata e senza un futuro. È comprensibile come l’azione del vescovo di Roma
sia rimasta impregnata da quella dimenticata Storia che ha dato vita, in quel
continente sub-americano, a quella “teologia della liberazione” ritenuta
ed indicata per sì lungo tempo quale spettro di disordine sociale e politico per
il ben costruito assetto di potere delle “caste” politiche varie che hanno
contraccambiato concedendo un congruo “potere temporale” che la “casta”
vaticana ha amorevolmente accolto ed accresciuto a dismisura rendendo financo
poco credibile il messaggio “rivoluzionario” dell’ebreo di
Nazareth. Affermava il “prete” Hélder Câmara – tra i massimi esponenti di
quella “teologia della liberazione” inopinatamente approdata in
Vaticano -: «Quando do da mangiare a un
povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno
cibo, allora tutti mi chiamano comunista». Rivoluzionaria affermazione
mai ben riflettuta e che ha rappresentato per “quellichelasinistra” una
imprescindibile, inderogabile parola d’ordine. Ma il punto al quale si è or giunti
lascia intravedere una strada che è senza più ritorno nella storia della
umanità e che determinerà, per tutte le generazioni a venire, condizioni di
vita sempre più difficili e dagli sviluppi sempre più incontrollabili. Di
questi scenari epocali di impoverimento e di distruzioni ambientali – che la
cosiddetta “sinistra politica” ha cancellato dai suoi “impegni” ideali e
politici soggiacendo, senza tentare di correggerne la rotta, all’imperversare
della cosiddetta “crisi globale” - che saranno irreversibilmente planetari ne
ha scritto su “il Fatto Quotidiano” del 21 di agosto Ugo Mattei con un titolo
che non lascia scampo agli equivoci: “Il
debito ecologico è inestinguibile”. “Inestinguibile”, per l’appunto. Scrive Ugo Mattei – ed è tutto da leggere -: Il 13 agosto abbiamo
“festeggiato” il giorno del “sorpasso”, quello a partire dal quale viviamo a
credito ecologico fino alla fine dell’anno. Per oltre quattro mesi ogni anno
l’umanità sopravvive consumando un patrimonio di risorse che la terra non è più
in grado di rigenerare. Un debito ecologico che nessuno si preoccupa di
ripagare. Infatti, oggi la nostra impronta ecologica che fisiologicamente deve
essere 1 perché abbiamo un solo pianeta in grado di rigenerare le risorse che
noi estraiamo è già 1,4. Ci servirebbe la capacità rigenerativa di poco meno
che un altro mezzo pianeta. La cosa diventa gravissima se consideriamo che
l’impronta ecologica dei nord-americani è ormai vicina a 6. Se tutto il mondo
vivesse secondo l’American way of life, ci vorrebbero ormai oltre cinque
pianeti per sostenere l’umanità. Comunque l’impronta europea è ormai vicina a
4! Questi dati dimostrano che possiamo
vivere sul debito eco-logico ancora per qualche decennio (ma non molti perché il
pianeta creditore inizia a dare chiari segni di insofferenza) soltanto grazie
al sud globale, dove l’impronta ecologica è ben sotto lo 0,5 anche in virtù del
consumo davvero basso degli oltre 800 milioni di esseri umani che soffrono la
fame e del miliardo che soffre la sete. Sono condizioni ben note nelle
Cancellerie dei paesi ricchi, le quali lavorano alacremente e da molti anni per
mantenere questo scandaloso disequilibrio globale che consente di illudere gli
elettori occidentali vittime di disinformazione che sia possibile continuare le
politiche di estrattivismo predatorio (che chiamano crescita o sviluppo) per
sempre. Basterebbe tener conto che il Niger, il paese al mondo dove la massima
percentuale di cittadini soffre di fame cronica, è il secondo produttore
mondiale di uranio (estratto a prezzo vile da una multinazionale francese) o
che la Germania ha guadagnato quasi 100 miliardi offrendosi come rifugio per
gli investitori terrorizzati dal rischio di default greco (a fronte di circa 57
miliardi di debito greco verso la medesima!) per renderci conto appieno delle
menzogne con cui si fomentano gli istinti xenofobi che dominano il panorama
politico. I governanti occidentali provano a ridurre l’emergenza a quella dei
profughi “economici” o a quella dei greci “pigri” e seguitano a promettere
crescita, tecnologia (banda larga per tutti!) e sviluppo. Tuttavia pian piano
la cittadinanza si rende conto che ciascuna di queste emergenze è ecologica,
perché il pianeta non ce la fa più a sopportare l’estrazione capitalistica. La
cittadinanza che soccorre i profughi (senza chiede loro se sono economici) o
simpatizza coi Greci (rifiutando la retorica delle cicale e vedendoli come
vittime di 25 anni di speculazione neo liberale) sa benissimo che la sola
uscita possibile è quella di una
riconversione ecologica della nostra organizzazione sociale. Queste persone
possono facilmente cadere nella disillusione, pensare che non valga la pena di
far nulla, cedere, se minimamente privilegiata, alla seduzione del carpe diem
(vivere come se non ci fosse un domani). O possono diventare maggioranza. A
questa maggioranza che in massa oggi non vota più (ma vuol sapere che fare)
occorre offrire un percorso alternativo. Un percorso prima di tutto culturale,
autorevole e lungimirante, tracciato dai beni comuni nella loro attuale
solidità teorica e soprattutto nella loro prassi quotidiana di sensibilità
ecologica e attenzione per l’altro, sia esso vicino o lontano, umano o animale,
ecologicamente alfabetizzato oppure non ancora. Questo percorso “beni
comunista”ben conosce i limiti della rappresentanza. Sa che il voto è sempre
più corrotto dal potere economico che condiziona l’informazione e determina il
comportamento degli eletti. Tuttavia la rappresentanza è una delle strade da
percorrere (assolutamente non la sola) nella speranza di modificare il nostro
modo di vivere in questo mondo e di poter ripagare l’unico debito che davvero
non può esserci rimesso: quello ecologico. Gli eletti lasciati soli tradiscono,
consapevolmente o più spesso inconsapevolmente. (…).
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