"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 28 febbraio 2014

Eventi. 16 “Un appello ai cristiani d'Europa: cacciare i mercanti dal Tempio”.



Agios Nikolaos (Creta). "Ratto d'Europa".
Scrivono Francesca Delfino, Antonello Miccoli, Antonio De Lellis, Rosa Siciliano, Antonello Rustico, Vincenzo Pezzino, Cristina Mattiello, Carlo Montedoro, Elsa Monteleone, Antonio Di Lalla (prete), Gianni Dalena, Tiziana Casentino, Giorgio Buggiani, Giuliana Mastropasqua, Giuseppe Castorina, Rosaria Costanzo, Alessio Di Florio, Francamaria Bagnoli nel loro appello Ai cristiani d'Europa: cacciare i mercanti dal Tempio”: “È la nostra luce, non la nostra ombra a spaventarci di più. Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo”. Con queste parole di Nelson Mandela apriamo questo appello a tutti i cristiani d’Europa affinché considerino le prossime consultazioni per il rinnovo del Parlamento Europeo come decisive per la storia di una Europa democratica dei popoli. Non abituiamoci a questa schiavitù del debito per cui nulla è possibile, colpevoli, senza colpa, per “aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità” ed ora obbligati a fare i compiti a casa. Crediamo che i soldi per il lavoro, per l’esercizio dei diritti fondamentali,  per la tutela dei beni comuni ci siano. In Italia, ad esempio, ci sono e sono tanti, solo che stanno dalla parte sbagliata e sono gestiti non per il territorio, per gli impoveriti, per i giovani, per le famiglie o comunità, ma per assicurare e sostenere “un’economia che uccide”. Crediamo di dover lavorare ad un nostro manifesto che sancisca ufficialmente un diverso modo di intendere la politica da parte dei cristiani: un documento che dica, partendo dal vangelo e dalla dottrina sociale della chiesa, che il liberismo è causa dell'attuale disordine. Già nei documenti di Leone XIII e del suo successore si parla di anarchia liberale. La sfida si pone dunque in questi termini: i cristiani d'Europa e non solo, avvertono la necessità di cacciare i mercanti dal tempio? Alla luce di questo, il problema è in quale misura la nostra identità e i nostri valori siano in grado di incidere nella discussione collettiva. Cosa si può fare per non divenire residuali? La causa di questa condizione può trovarsi, almeno in parte, nell'istituzionalizzazione della fede e, nella conseguente incapacità di essere un punto di riferimento per i bisogni politici della comunità. Abbiamo dunque bisogno di un'elaborazione teorica che consenta di superare lo smarrimento e di elaborare progetti concreti audaci che coinvolgano i partiti e individuino le vie politiche per un cambiamento di sistema proporzionato alla esigenza di superare e battere la società dell'esclusione. Ciò premesso non possiamo dimenticare di aver ascoltato il tintinnio delle catene proveniente dalla Grecia ed ora proprio dalla nazione dei grandi filosofi e della grande scuola di democrazia, abbiamo udito di una lotta dal basso per un Mediterraneo accogliente, per spezzare le catene del debito, per una Europa dei popoli e non delle banche, che “appaghi la sete di giustizia feconda di bene per tutti”. Non appoggeremo se non persone portatrici di idee liberanti e al servizio di tutti i cittadini. La grande aspirazione dei popoli è la pace ovvero “la convivialità delle differenze”. “Non ci potrà mai essere pace finché i beni della terra sono così ingiustamente distribuiti”. Lavoriamo insieme per una Europa disarmata, per una economia di pace, che include oltre alle risorse materiali e finanziarie anche e soprattutto le risorse umane. In questa Europa della recessione economica e dell’ossessione per la crescita  proponiamo una economia della sobrietà per tutti, del lavoro vero per tutti e della tutela dei beni comuni. Invece di limitare le migrazioni, limitiamo i costi improduttivi della politica, ma mai la rappresentanza, diminuiamo l’eccesso degli stipendi e promuoviamo la qualità umana che inventa un futuro sostenibile per tutti. L’Europa è prima di tutto un grande sogno di Pace e di armonia ove la cultura, l’ambiente umano e naturale vengono rispettati e valorizzati, a cui il mondo intero dovrebbe guardare con ammirazione e non con sospetto. Invece rischia di diventare anche spazio per accordi sovranazionali che incatenano i popoli per garantire i profitti alle più grandi organizzazioni mondiali economiche. Non abbiamo un programma politico, ma abbiamo il dovere di vivere la carità politica al servizio della giustizia. Ed è per questo che dobbiamo avere il coraggio di sostenere chi nel proprio programma vuole liberare i popoli dalla “tirannia invisibile” dei mercati, prefigurando il Giubileo degli esclusi e del debito. Ci sembra che la figura di Alexis Tsipras, candidato alla carica di presidente della Commissione Europea alle prossime elezioni europee di maggio, sostenuto da una lista civica nazionale “L’altra Europa”, incarni le aspirazioni più profonde dei cristiani. Tuttavia crediamo che una politica fatta da cristiani non possa esaurirsi nell'individuazione di una candidatura. Abbiamo imparato dall’impegno con i movimenti sociali per l’acqua bene comune e per una nuova finanza pubblica e sociale che, come scriveva Giovanni XXIII, “quando sei per strada e incontri qualcuno, non gli chiedere da dove viene,  ma chiedigli dove va, e se va nella stessa direzione, cammina insieme a lui». Stiamo sognando un periodo di grazia in cui gli ultimi possano sentirsi riconosciuti come persone, in cui le pietre scartate dai costruttori possano diventare fondamento di una nuova umanità. “Il futuro ha i piedi scalzi” e perché si avveri deve “aggregare i sogni dei poveri”. Mi sento in pieno d’aderire all’appello in nome di una solidarietà che travalichi i limiti della confessionalità (che non mi appartiene) per farsi esigenza e desiderio universali. Vado da tempo maturando l’idea di appoggiare la lista di Alexis Tsipras pensata dalla generosità dei tanti intellettuali italiani con in testa Barbara Spinelli. È di Barbara Spinelli l’ultimo grido d’allarme lanciato dalle colonne del quotidiano la Repubblica – Gli invisibili d’Europa” -  del 26 di febbraio sugli effetti nefasti della politica europea dell’austerità: Lancet non è un giornale di parte: è tra le prime cinque riviste mediche mondiali. Il suo giudizio sulla situazione ellenica, pubblicato sabato in un ampio dossier (…), è funesto: la smisurata contrazione dei redditi e i tagli ai servizi pubblici hanno squassato la salute dei cittadini greci, incrementando il numero di morti specialmente tra i bambini, tra gli anziani, nelle zone rurali. Nella provincia di Acaia, il 70 per cento degli abitanti non ha soldi per comprare le medicine prescritte. Emergency denuncia la catastrofe dal giugno 2012. Numerose le famiglie che vivono senza luce e acqua: perché o mangi, o paghi le bollette. Nel cuore d'Europa e della sua cultura, s'aggira la morte e la chiamano dolore produttivo. "Siamo di fronte a una tragedia della sanità pubblica", constata la rivista, "ma nonostante l'evidenza dei fatti le autorità responsabili insistono nella strategia negazionista". Qualcuno deve spiegare a chi agonizza come sia possibile che il dolore e la morte siano "efficaci" e salvifiche per le riforme strutturali fin qui adottate. (…). Difficile dar torto alle "forti resistenze sociali", se solo guardiamo le cifre fornite su Lancet dai ricercatori delle università britanniche di Cambridge, Oxford e Londra. A causa della malnutrizione, della riduzione dei redditi, della disoccupazione, della scarsità di medicine negli ospedali, dell'accesso sempre più arduo ai servizi sanitari (…) le morti bianche dei lattanti sono aumentate fra il 2008 e il 2010 del 43%. Il numero di bambini nati sottopeso è cresciuto del 19 %, quello dei nati morti del 20. Al tempo stesso muoiono i vecchi, più frequentemente. Fra il 2008 e il 2012, l'incremento è del 12,5 fra gli 80-84 anni e del 24,3 dopo gli 85. E s'estende l'Aids, perché la distribuzione di siringhe monouso e profilattici è bloccata. Malattie rare o estinte ricompaiono, come la Tbc e la malaria (…). La rivista inglese accusa governi e autorità europee, ed elogia i paesi, come Islanda e Finlandia, che hanno respinto i diktat del Fondo Monetario o dell'Unione. (…). Il popolo sopravvive grazie all'eroismo di Ong e medici volontari (…): i greci che cercano soccorso negli ospedali "di strada" son passati dal 3-4% al 30%. S'aggiungono poi i suicidi, in crescita come in Italia: fra il 2007 e il 2011 l'aumento è del 45%. In principio s'ammazzavano gli uomini. Dal 2011 anche le donne. (…). La Grecia prefigura il nostro futuro prossimo, se le politiche del debito non mutano; se scende ancora la spesa per i servizi sociali. (…). La luce in fondo al tunnel è menzogna impudente. Senza denunciarla, Renzi ha intronizzato (…) la banalità: "L'Europa non dà speranza se fatta solo di virgole e percentuali" - "l'Italia non va a prendere la linea per sapere che fare, ma dà un contributo fondamentale". Nessuno sa quale contributo. (…). È questo lo stato delle cose in quella terra madre della civiltà. E quello stato delle cose prefigura un possibile coinvolgimento di altri paesi e di altre genti in quell’assurda sperimentazione che il capitalismo della finanza va conducendo insensibile a tutti i risvolti negativi che la sperimentazione oggigiorno pone sotto gli occhi di tutti. È bene che nel bel paese si cominci a discutere dell’Europa e delle prossime elezioni di maggio poiché da quel risultato, non più remoto ma sempre più prossimo, sarà possibile scacciare i “mercanti dal tempio” della solidarietà e della fratellanza. Il tempo è venuto. È questo. E forse non ci sarà dato un altro tempo ancora.

mercoledì 26 febbraio 2014

Storiedallitalia. 41 Quel latinorum renziano che non dice nulla.



Un tempo c’erano dei poveri “cristi” alla Renzo Tramaglino. Tutto gli andava storto. Ma la cosa che più mandava in “bestia” quel poveraccio era quello stramaledetto “latinorum” che i potenti del tempo utilizzavano per intimorire, incantare ed imbonire i “cristi” come lui. Sappiamo come è andata al “latinorum” in uso in quei tempi tristi. È che il “latinorum” d’oggi non è che sia da meno quando vuole intimorire, incantare e raggirare i “cristi” dell’era presente. Basti pensare a quel moderno “latinorum” che fa dire agli illusionisti di turno dei cosiddetti “jobs act”. Cosa saranno mai? Certo, se l’han detto devono essere per forza una cosa importante assai. E così si torna al “latinorum” tanto inviso a quel povero “cristo” del Renzo Tramaglino. È che quel Renzo viveva in un’età particolare, ché fosse vissuto oggi ed avesse letto Marcello De Cecco – “Non basta un “act” per creare “jobs” – sul settimanale Affari&Finanza del 24 di febbraio si caverebbe più di una soddisfazione. Scrive infatti l’illustre studioso ed opinionista che “se segue allo slogan del jobs act davvero ciò che esso suggerisce a chi conosce quel che vuol dire negli Stati Uniti questa espressione, abbiamo seri motivi di preoccupazione. A un paese ormai affamato di occupazione, a giovani disoccupati per una metà del loro totale, ai famosi due milioni di giovani che non hanno e non cercano lavoro, non si può da parte di un governo che chieda rispetto e che voglia farsi votare alle elezioni, contrastando i facili richiami dei populisti, dei razzisti e tra poco anche degli estremisti religiosi, fornire solo una prospettiva di riforme di lungo periodo. Bisogna affrontare il problema del lavoro come variabile macroeconomica, e non solo quelli di lunga lena (i famosi jobs). Questo si fa con interventi potenti, certi e immediati di politica macroeconomica, sia fiscale che monetaria”. Ma forse il significato del “latinorum” di questi perigliosi anni è perfino oscuro a colui che se ne è servito spericolatamente e con sufficienza spavalderia. E questo è un male imperdonabile. Chiarisce ancor meglio gli aspetti non chiariti del “latinorum” renziano Marcello De Cecco quando scrive: (…). …si è visto che le imprese del made in Italy cedute alle multinazionali sono state rilanciate perché passate nelle mani di manager competenti e inseriti in filiere internazionali potenti e di capitalisti disposti a fare il loro mestiere, quello di impiegare nuovi capitali dove il capitalista italiano non aveva saputo, potuto o voluto farlo. Il governo del dottor Renzi, che si prepara a prendere la barra del timone e a prendere il mare, sembra fidare in un programma che fino ad ora non è apparso se non sotto forma di scadenze del tutto irrealistiche e di slogan vaghi e allusivi. Sul problema della disoccupazione e del lavoro in generale, che pareva posto come primo tra tutti quelli di cui farsi carico da parte del nuovo leader, ci è stata da tempo fornita una espressione americana, che dovrebbe suggerire come affrontarlo, mediante ricorso ad un Jobs Act. (…). Il lavoro e l'occupazione regrediscono dunque dall'essere il portato delle condizioni che il governo e le istituzioni economiche riescono ad assicurare al paese con opportune misure macroeconomiche (che agiscono sulla domanda e l'offerta aggregate) a essere invece una congerie di interventi settoriali e microeconomici. Ogni categoria di jobs - questo è il messaggio - ha il suo mercato, con condizioni di domanda e offerta peculiari sulle quali si deve intervenire partitamente. E poi l’opinionista porta la sua stoccata finale ed affonda quando afferma: (…). …è certo che, per intervenire adeguatamente un governo e un parlamento che si rispettino devono affrettarsi a porre in essere profonde riforme strutturali nel sistema educativo italiano. Chiunque abbia confrontato 150 anni di statistiche italiane con quelle dei paesi coi quali aspiriamo da due secoli a misurarci, sa che, al contrario della retorica comune, la performance italiana in materia di educazione è stata tutt'altro che ammirevole. Siamo partiti arretrati e siamo restati indietro, scivolando in basso rispetto anche a paesi, come la Finlandia, che partivano dietro di noi e ci hanno surclassato, pur dovendo far fronte a problemi immensi come il cambiamento strutturale della propria produzione e del proprio commercio estero. (…). E se dovessero servire quelle – secondo l’autorevole opinionista - “profonde riforme strutturali” che si invocano da decenni e decenni senza che siano mai state realizzate, quale destino avrà il lavoro invocato ed adombrato nel “latinorum” d’oggi per la moltitudini giovanili? Quali tempi biblici occorreranno per l’avvio a risoluzione dell’annoso problema? Ed ancor più, quali tempi saranno necessari per quel rilancio delle attività produttive che da sole consentirebbero di mitigare la terribile stretta indotta dalla persistente “crisi”?  Domande pressanti alle quali il moderno “latinorum” non riesce a dare risposte. Alla data della stesura del Suo “pezzo” Marcello De Cecco non poteva immaginare l’irrilevanza che la presentazione del nuovo governo impietosamente – e spavaldamente - metteva in mostra.

sabato 22 febbraio 2014

Cosecosì. 69 “Due generazioni allo streaming”.



La cosa che stupisce assai è che Matteo e Beppe possano piacere al contempo. E che questa rivelazione o scoperta da contezza della intuita mancata crescita di un pubblico che poi si reca alle urne e determina risultati elettorali strabilianti, come quelli della ultima votazione per le politiche. Strabilianti nel senso che diviene difficilissimo trovarci una ragione, un umore, un senso che sia, donde ne deriva l’indecoroso scenario di un paese che si barcamena nell’eterno “vogliamoci bene” o peggio ancora del “tengo famiglia”. Da un buonismo da strapazzo e da un familismo amorale non c’è che attendersi risultati del genere, ovvero che Matteo e Beppe possano piacere allo stesso tempo. Ed ho potuto constatarlo chiacchierandone amorevolmente con giovani cittadini elettori che sono cresciuti e sono vissuti all’ombra dei moderni partiti “personali” o “padronali”. E la vicenda dello streaming ne è la prova lampante. A sorreggermi nella personale convinzione che ci sia un oscillare a fasi alterne, confuso, poco ragionato, frutto di quella che vado da tempo definendo la “scarnificazione del pensiero” collettivo, del pendolo del consenso tra i due punti estremi presi in considerazione – Matteo e Beppe – è stata la lettura della acuta analisi – “Due generazioni allo streaming” – che Massimo Recalcati ha fatto sul quotidiano la Repubblica dopo la sceneggiata che passerà alla storia come lo scontro dello streaming. Ed è avvenuto che in quella amorevole chiacchierata il pendolare del consenso ora verso l’uno ora verso l’altro mi ha dato la misura della scomparsa dall’orizzonte di quella idea di partito o di partiti che hanno concorso a sorreggere le nostre certezze giovanili, i nostri sogni e le nostre idealità per essere sostituita, quell’idea, da una rappresentazione della politica – si veda il caso della defenestrazione di Enrico Letta avvenuta fuori dal parlamento o si veda il caso delle espulsioni dei recalcitranti onorevoli M5S decise dai padroni della piattaforma web – che non potrà in alcun modo concorrere alla realizzazione di una democrazia più matura e più compiuta. Ha scritto Massimo Recalcati, che è uno psicoterapeuta di scuola lacaniana, nella Sua analisi: (…). …l’attimo che costituisce il focus di tutta la scena è quando Grillo dà del “ragazzo” al Presidente incaricato. Soffermiamoci un momento su questo passaggio ai miei occhi decisivo. «Sei solo un ragazzo, certe cose non le sai, lascia fare a me che ho quarant’anni di esperienza». Questo, più che la dichiarazione di non essere democratico, che non ha stupito nessuno, deve davvero colpire. Ma come? Un leader che ha saputo mobilitare con forza i giovani restituendo a loro il sogno del cambiamento, si rivolge al Presidente incaricato definendolo con tono chiaramente paternalistico e, insieme, come spesso accade a chi assume toni paternalistici, dispregiativo. Questo è un punto di grande interesse clinico nel dialogo tra i due, o, meglio, nel monologo soverchiante di Grillo. Chi viene chiamato ragazzo è un uomo di 39 anni, padre di tre figli, capace di assumersi responsabilità istituzionali enormi, di guidare una grande città e un grande partito. Chiamarlo “ragazzo” non svela solo una megalomania di fondo del leader del M5S, ma manifesta inconsciamente il fantasma padronale che lo anima profondamente. Questo padre dichiara che non ha tempo da perdere per discutere coi figli. Non solo coi figli d’altri - tale è Matteo Renzi -, il che potrebbe anche essere plausibile, ma nemmeno con i propri. Per questo usa il mandato ricevuto democraticamente dal suo popolo per fare uno show che sarebbe semplicemente fuori luogo se non avesse una ricaduta politica che coinvolge fatalmente le sorti del nostro paese. «Sei solo un ragazzo!», urla il padre orco a chi immagina non sia degno di interloquire con lui. «Sei solo un ragazzo, taci! Lascia che parli Io!». Quante volte abbiamo ascoltato dai nostri pazienti questa rappresentazione sadicamente autoritaria della paternità. “Sei solo un ragazzo!” è sempre il pensiero inconscio (o conscio?) del padre-padrone che nutre nel profondo di se stesso un odio radicale della giovinezza e che mostra con orgoglio di fronte all’entusiasmo di chi comincia una nuova avventura («ti spiego cosa vorremmo fare» prova a dire Matteo Renzi) le medaglie che gli danno il diritto di oscurare la parola del suo giovane interlocutore («Taci! Ho quarant’anni di esperienza più di te!»). (…). Da buon padre-padrone travestito da adolescente rivoltoso, Grillo ha rivelato pubblicamente non solo la sua estraneità nei confronti delle consuetudini e delle regole democratiche, ma il fatto che può fare quello che vuole della volontà del suo stesso popolo costituito, in gran parte, di “ragazzi”. Vogliono che vada a discutere di politica e di programmi con Renzi per provare a dare una mano per salvare il nostro paese? Sono solo dei ragazzi, non hanno quarant’anni di esperienza. Lasciate fare a me. Lasciate che sia io a mostrarvi come me ne fotto della democrazia. (…). E questo solo per dire di quel Beppe del quale non ho mai nutrito stima o considerazione alcuna. Un padre-padrone che finge l’ascolto dei più giovani ma che non rinuncia ad essere il “dominus” indiscusso ed incontrastato. E volendo non essere troppo di parte mi corre l’obbligo di sottoporre alla cortese vostra attenzione qualcosa che riguarda l’altro polo di oscillazione del pendolo del cosiddetto consenso, quel Matteo che, a detta dell’antropologa Amalia Signorelli - intervistata da Antonello Caporale per “il Fatto Quotidiano” - “Fate attenzione, è un baby Berlusconi”: (…). “Comprendo che sia venuto il momento di imboccare una via d’uscita, tentare almeno di intravederla. L’analisi dei disastri italiani conta una grandissima bibliografia e non se ne può più. Siamo stanchi dei nostri difetti, della nostra precaria etica pubblica, dei nostri scandali. Ed è anche vero che specialmente noi intellettuali subiamo il costante pessimismo, l’insoddisfazione perenne. E sto zitta quando mi dicono: finalmente questo Renzi è un portatore sano di energia, è giovane, ha la linfa vitale e ci prospetta un futuro senza i vincoli, i retaggi del passato. È un fenomeno politico da osservare con attenzione, non c’è dubbio”.
Da quel che intuisco adesso arriva la mazzata che lo annienta. “Ah ah! Il fatto, semplice e insieme straordinario, è che ancora non abbiamo capito nulla dei programmi. Queste riforme mensili oggettivamente fanno ridere per la loro banalità, la superficialità e anche l’inadeguatezza di un tempo di gestazione così modesto. E la squadra di governo che ha formato non appare affatto monumentale. E se tutto questo è vero affidiamo a lui la salvezza in virtù di cosa?”.
È il governo del Ghe Renzi mì, un po’ come successe con Berlusconi. E ci sono modalità espressive di una personalità straripante che lo fanno assurgere almeno come un “vice unto del Signore”. “Concordo col suo pensiero. E mi pare che Renzi abbia subìto così densamente l’egemonia culturale berlusconiana da vederlo nutrito prevalentemente di quella”.
È andato alla Ruota della Fortuna, ha gareggiato con Mike di fronte! “Uno che va alla Ruota della fortuna conferma la sua attrazione per quel modello di successo, che passa dalla televisione, e che si fa modello di vita”.
Il ventennio berlusconiano non si chiude mai. Davvero siamo a un clone? “Mi faccia fare un passo indietro. Non mi è piaciuta neanche un po’ la conduzione della crisi da parte del presidente Napolitano. Perché tenerla fuori dalle aule del Parlamento? Perché farla gestire nei sotterranei di un partito? Perché dare a lui ciò che non si è concesso agli altri?. Ora vengo alla sua domanda. Mi dicono che Renzi innova, e cosa innova?”.
Non le sembra già tanto che abbia rotto gli schemi, abbia prosciugato la palude, abbia disarticolato un potere immobile: “Non contesto, però riduciamo la portata della dimensione della rottura. Finora ha contrattato i posti con Alfano e Schifani. Ha inchiodato Berlusconi a una profonda sintonia. Mi dia ancora qualche giorno di dubbio sull’annunciata palingenesi, credo proprio di meritarlo”.
Non le garba il nuovo presidente del Consiglio. “Bah! Diciamo che Renzi ha ottenuto una primazia conquistata con le armi tipiche delle società post-moderne: alla visibilità è corrisposto il successo, al successo il consenso. I fattori dovrebbero invece avere un ordine diverso: illustro le mie idee, guadagno il consenso e poi ottengo il successo. Prima c’era l’ideale come carattere collettivo. Si stava col Pci, non con Togliatti. E si poteva cambiare l’Italia solo stando in quel partito. Oggi esiste l’unica proiezione individuale: non c’è gruppo, comunità, partito. Ieri si combatteva per una causa oggi per una persona. E così siamo giunti alla fine senza conoscere l’inizio, abbiamo applaudito il film senza averlo visto. Ci è bastata una suggestione, una promessa, una intuizione”.