Un tempo c’erano dei poveri
“cristi” alla Renzo Tramaglino. Tutto gli andava storto. Ma la cosa che più
mandava in “bestia” quel poveraccio era quello stramaledetto “latinorum” che i
potenti del tempo utilizzavano per intimorire, incantare ed imbonire i “cristi”
come lui. Sappiamo come è andata al “latinorum” in uso in quei tempi tristi. È
che il “latinorum” d’oggi non è che sia da meno quando vuole intimorire, incantare
e raggirare i “cristi” dell’era presente. Basti pensare a quel moderno
“latinorum” che fa dire agli illusionisti di turno dei cosiddetti “jobs act”.
Cosa saranno mai? Certo, se l’han detto devono essere per forza una cosa
importante assai. E così si torna al “latinorum” tanto inviso a quel povero
“cristo” del Renzo Tramaglino. È che quel Renzo viveva in un’età particolare,
ché fosse vissuto oggi ed avesse letto Marcello De Cecco – “Non basta un “act” per creare “jobs” – sul settimanale
Affari&Finanza del 24 di febbraio si caverebbe più di una soddisfazione.
Scrive infatti l’illustre studioso ed opinionista che “se segue allo slogan del jobs
act davvero ciò che esso suggerisce a chi conosce quel che vuol dire negli
Stati Uniti questa espressione, abbiamo seri motivi di preoccupazione. A un
paese ormai affamato di occupazione, a giovani disoccupati per una metà del
loro totale, ai famosi due milioni di giovani che non hanno e non cercano
lavoro, non si può da parte di un governo che chieda rispetto e che voglia
farsi votare alle elezioni, contrastando i facili richiami dei populisti, dei
razzisti e tra poco anche degli estremisti religiosi, fornire solo una
prospettiva di riforme di lungo periodo. Bisogna affrontare il problema del
lavoro come variabile macroeconomica, e non solo quelli di lunga lena (i famosi
jobs). Questo si fa con interventi potenti, certi e immediati di politica
macroeconomica, sia fiscale che monetaria”. Ma forse il significato del
“latinorum” di questi perigliosi anni è perfino oscuro a colui che se ne è servito
spericolatamente e con sufficienza spavalderia. E questo è un male
imperdonabile. Chiarisce ancor meglio gli aspetti non chiariti del “latinorum”
renziano Marcello De Cecco quando scrive: (…). …si è visto che le imprese del made in
Italy cedute alle multinazionali sono state rilanciate perché passate nelle
mani di manager competenti e inseriti in filiere internazionali potenti e di
capitalisti disposti a fare il loro mestiere, quello di impiegare nuovi
capitali dove il capitalista italiano non aveva saputo, potuto o voluto farlo.
Il governo del dottor Renzi, che si prepara a prendere la barra del timone e a
prendere il mare, sembra fidare in un programma che fino ad ora non è apparso
se non sotto forma di scadenze del tutto irrealistiche e di slogan vaghi e
allusivi. Sul problema della disoccupazione e del lavoro in generale, che
pareva posto come primo tra tutti quelli di cui farsi carico da parte del nuovo
leader, ci è stata da tempo fornita una espressione americana, che dovrebbe
suggerire come affrontarlo, mediante ricorso ad un Jobs Act. (…). Il lavoro e
l'occupazione regrediscono dunque dall'essere il portato delle condizioni che
il governo e le istituzioni economiche riescono ad assicurare al paese con
opportune misure macroeconomiche (che agiscono sulla domanda e l'offerta
aggregate) a essere invece una congerie di interventi settoriali e
microeconomici. Ogni categoria di jobs - questo è il messaggio - ha il suo
mercato, con condizioni di domanda e offerta peculiari sulle quali si deve
intervenire partitamente. E poi l’opinionista porta la sua stoccata
finale ed affonda quando afferma: (…). …è certo che, per intervenire
adeguatamente un governo e un parlamento che si rispettino devono affrettarsi a
porre in essere profonde riforme strutturali nel sistema educativo italiano.
Chiunque abbia confrontato 150 anni di statistiche italiane con quelle dei
paesi coi quali aspiriamo da due secoli a misurarci, sa che, al contrario della
retorica comune, la performance italiana in materia di educazione è stata tutt'altro
che ammirevole. Siamo partiti arretrati e siamo restati indietro, scivolando in
basso rispetto anche a paesi, come la Finlandia, che partivano dietro di noi e
ci hanno surclassato, pur dovendo far fronte a problemi immensi come il
cambiamento strutturale della propria produzione e del proprio commercio
estero. (…). E se dovessero servire quelle – secondo l’autorevole
opinionista - “profonde riforme strutturali” che si invocano da decenni e
decenni senza che siano mai state realizzate, quale destino avrà il lavoro
invocato ed adombrato nel “latinorum” d’oggi per la moltitudini giovanili?
Quali tempi biblici occorreranno per l’avvio a risoluzione dell’annoso
problema? Ed ancor più, quali tempi saranno necessari per quel rilancio delle
attività produttive che da sole consentirebbero di mitigare la terribile
stretta indotta dalla persistente “crisi”?
Domande pressanti alle quali il moderno “latinorum” non riesce a dare
risposte. Alla data della stesura del Suo “pezzo” Marcello De Cecco non poteva
immaginare l’irrilevanza che la presentazione del nuovo governo impietosamente
– e spavaldamente - metteva in mostra.
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