"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 3 settembre 2020

Leggereperché. 35 «Sono arrivato ad avere pensieri che non condivido: la politica non serve a niente».

Tratto dalla introduzione al volume “La politica non serve a niente” – pagg. 210, euro 17, Rizzoli editore (2015) con sottotitolo “Perché non sarà il palazzo a salvarci” - di Stefano Feltri, riportato su “il Fatto Quotidiano” del 3 di settembre dell’anno 2015: Dalla grande recessione che ha travolto l’Italia e l’Europa nel 2009, tutti abbiamo potuto misurare nella vita quotidiana la portata delle sfide che le nostre società devono affrontare. Risalire la china in cui è sprofondata la nostra economia. Accogliere migliaia di profughi che arrivano da Paesi vicini. Dalla caduta del muro di Berlino a oggi mai si era avvertito tanto un bisogno di politica, di leadership, nazionale e globale. Di idee, di visioni, di scelte, di qualcuno che si prenda la responsabilità di decidere. Invece ci troviamo di fronte sempre più spesso al vuoto. Di contenuti, di decisioni, di potere. Gli slogan della politica nazionale si accumulano nei titoli dei giornali, fanno discutere in qualche talk show e poi svaniscono, privi di conseguenze. In Italia parliamo sempre delle stesse cose: la burocrazia che strozza la crescita, l’assenza di meritocrazia, i costi della casta, è tutta colpa dell’euro, le siringhe che al Sud costano dieci volte più che al Nord. Tutto qua. E chiediamo a qualcuno – ai politici – di fare qualcosa. E loro non lo fanno. Magari non ci provano, magari hanno altre meno nobili priorità, ma anche quando ci provano non ci riescono. Sono quindi arrivato, per citare Altan, ad avere pensieri che non condivido: la politica non serve a niente. O meglio, non serve più a niente. Il politologo britannico Matthew Flinders sostiene che noi detestiamo la politica perché ci siamo dimenticati che ha una natura “specifica e limitata”, cioè che non può fare tutto. Vediamo tutti i giorni che le decisioni dei nostri governi non sono più in grado di incidere sulle scelte di fondo della nostra vita, eppure è sempre a loro che continuiamo a rivolgerci in cerca di aiuto. Noi elettori chiediamo sempre di più ai nostri politici che si sentono incentivati a promettere risultati mirabolanti, riforme radicali, prosperità per tutti. Ci sono due sole soluzioni per ristabilire un rapporto sostenibile tra cittadini e governi: o aumentare l’offerta, o ridurre la domanda. I politici devono imparare a promettere meno, possibilmente soltanto quello che possono realizzare, e i cittadini devono ridimensionare le loro aspettative. Ma il mondo sembra andare in un’altra direzione, perché le domande del pubblico sono insaziabili, i problemi della società sempre più complessi, le risorse disponibili sono insufficienti e migliorare un po’ l’efficienza del settore pubblico non basterà mai a sistemare tutto. Se la politica non serve a niente, dobbiamo tutti rassegnarci al declino? È il caso di iniziare a ragionare anche sull’ipotesi che la risposta a questa domanda sia semplicemente: “Sì”. Ma all’orizzonte si vede una forza in grado di compensare lo svaporamento di autorità dei governi: la tecnologia, portatrice di un cambiamento epocale che sta sconvolgendo gli equilibri e spostando il potere dai governi alle imprese. E alle persone. È la prima volta che i grandi cambiamenti della società sfuggono così completamente alle scelte della politica. Il processo decisionale è troppo lento per inseguire e indirizzare i cambiamenti dell’innovazione, lo spazio in cui si crea il valore aggiunto troppo impalpabile, i protagonisti del cambiamento troppo potenti e globali per essere affrontati da piccoli Stati nazione. Ma il fatto che la politica sia diventata inutile non è detto che sia una cattiva notizia.

mercoledì 2 settembre 2020

Leggereperché. 34 «Nietzsche: vince chi, pur riconoscendo l'inganno dell'esistenza, gioiosamente lo accetta».


A lato: "Villaggio portoghese" (2020) "acquarello e penna" di Anna Fiore.
Tratto da “Sì ad illusioni e maschere, se ci aiutano a vivere” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 2 di settembre dell’anno 2017:  Lo diceva anche Nietzsche: vince chi, pur riconoscendo l'inganno dell'esistenza, gioiosamente lo accetta. (…). Noi, al pari di tutti i viventi, siamo funzionari della specie. E siccome non ci rassegniamo, abbiamo inventato niente meno che la storia, per sentirci autori e soggetti delle azioni che compiamo. Gli uomini più delle donne le quali, vincolate com'erano fino a pochi anni fa a una sessualità sostanzialmente riproduttiva, non hanno avuto tempo, a differenza degli uomini privi di questo vincolo, di giocare, come hanno fatto gli uomini, prima alla caccia, poi alla guerra; appena più evoluti, hanno inventato i miti, poi le religioni, in seguito le ideologie, da ultimo la scienza e la tecnica al momento al servizio del mercato, dettando le leggi che decidono come deve andare il mondo. Un mondo tutto inventato e contrapposto alla natura, ridotta a materia prima da utilizzare, in vista della costruzione del mondo come da loro concepito. "Il mondo come rappresentazione", direbbe Schopenhauer, per sfuggire alla vera realtà costituita dal "mondo come volontà". "Volontà di vita" che si esprime ovunque trova le condizioni, senza ragione e senza perché, quindi "volontà irrazionale", a proposito della quale Schopenhauer scrive: "Il soggetto del gran sogno della vita è in un certo senso uno soltanto, la volontà di vivere".

martedì 1 settembre 2020

Lalinguabatte. 98 «Resta instillata nella memoria dei telespettatori non tutta la sequenza razionale ma solo frammenti di informazione».


Tratto da “Discutere è un'arte. Marziale”, colloquio tra la giornalista Simonetta Fiori e lo scrittore – ed ex magistrato – Gianrico Carofiglio pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 28 di agosto 2020: (…). Processo ai talk show da parte d’un ex giudice che non li disdegna? «In realtà non sono tutti eguali (…). Talvolta l’obiettivo dichiarato è scatenare la zuffa con disprezzo totale della verità. In altri casi prevale il tentativo di approfondire anche se l’esito non è sempre felice. Ma quel che è interessante è il sentimento con cui in molti partecipano, che è poi lo Zeitgeist contemporaneo, lo spirito del tempo: l’idea che la comunicazione politica sia soprattutto manipolazione, contraffazione, imbroglio.  Di fronte a questa grave stortura sono possibili due strade. Uno potrebbe anche decidere: non ci vado e non vedo i programmi. Ma è una soluzione? Io ho scelto di accettare questa ineluttabile conflittualità e di scommettere sulle infinite possibilità dell’intelligenza».