"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 5 ottobre 2016

Lalinguabatte. 21 “Avvicìnati, dice lo straniero”.



A lato: Dorothea Lange, migrante nella grande depressione americana.

Allungo 20 centesimi appena ad un ragazzetto che nel grande parcheggio del supermarket offre ai frettolosi clienti accendini e cianfrusaglie varie. È quanto da lui richiesto. Un istante dopo una giovine signora che sale sulla sua auto mi apostrofa “e cosa daremo ai nostri figli?”. Trasecolo. Le rispondo che i nostri figli hanno tanto, tutto, oltre il necessario. È un discorrere inutile. Non tutti sanno che solo avantieri – 3 di ottobre - si è svolta la prima “giornata nazionale per la memoria delle vittime dell’immigrazione”. È pur vero che un senso di inutilità ci assale in ricorrenza di queste “giornate” dedicate a tutto, giornata della “memoria”, giornata delle “foibe” ecc. ecc. Ciascuno si ritaglia uno spazio per una “giornata di memoria”. Una “memoria” però che è estranea alla “Storia” che dovrebbe illuminarne i chiaro-scuri, una storia fatta di colonizzazioni feroci, di sfruttamento delle risorse naturali ed umane altrui, di accettazione e sostegno di governi e regimi sovvenzionati convenientemente ed ai quali non sono state negate tecnologie distruttive e quant’altro per l’occupazione del “potere” in nome di imperscrutabili personaggi e disegni politico-economici transnazionali. Ricordare ciò alla giovine signora del supermarket? Inutile. Il parlamento la legiferato ed una nuova “giornata” si è aggiunta alle tante, tantissime giornate che ci lasciano indifferenti se non ostili. Cosa vuole ricordare la “giornata nazionale per la memoria delle vittime dell’immigrazione”?. Che il 3 di ottobre dell’anno 2013 518 esseri umani traversavano il “mare nostrum” per cercare una vita che tale si possa definire. Ne morirono 368 e tutti i bambini sotto i 12 anni. I 150 superstiti furono accusati del reato di immigrazione clandestina, in forza di una legge dello stato che ha legiferato poi per una nuova “giornata della memoria”. Incredibile, ma vero! Eppure le più accreditate agenzie internazionali che seguono il dramma – non il problema – delle migrazioni asseriscono che da qui a pochi anni un miliardo di esseri umani abbandoneranno il continente africano selvaggiamente depredato ed impoverito per cercare una vita che si possa definire umana. Si ha consapevolezza del dramma che continuerà ad abbattersi sul mondo progredito, arricchito anche grazie alle selvagge politiche coloniali di ieri e di oggi, che non sono finite? Non esiste una consapevolezza diffusa di tutto ciò, anche perché i media e le forze politiche non hanno voluto rappresentare il dramma dei migranti in tutte le sue particolarità. Ecco perché aver allungato solamente 20 centesimi ad un bimbo immigrato ha fatto sentire impoverita la giovine donna carica delle sue buste di spesa. Ha sostenuto Enzo Bianchi - priore della Comunità monastica di Bose - nel discorso che ha pronunciato in Senato per la prima “Giornata nazionale per la memoria delle vittime dell'immigrazione” – discorso in parte anticipato e riportato sul quotidiano la Repubblica del 2 di ottobre col titolo “Io sono stato straniero” - che di seguito trascrivo, ha sostenuto che Il titolo assegnato a questo mio intervento riecheggia una parola indirizzata a più riprese nella Bibbia al popolo di Israele: “Ricorda che sei stato straniero nel paese di Egitto”, oppure: “Tu agirai così perché anche tu sei stato straniero!”. Parole che sono un invito a sentirsi stranieri e assumere la responsabilità verso gli stranieri che giungono a noi nella loro irriducibile e di primo acchito insondabile diversità. Per questo risuona il comandamento: “Amate il gher (lo straniero) perché foste gherim, stranieri!” (Dt 10,19; 24,17; Esodo 22,20; 23,9; Lev 19,34). Ecco il paradigma: ciascuno di noi è straniero rispetto ad altri e proprio per questo può comportarsi rispetto allo straniero come lui vorrebbe che altri si comportassero nei suoi confronti. Ma vorrei affrontare questo tema usando come chiave interpretativa il testo attribuito a Shakespeare che ci invita a “vedere gli stranieri”. Rievocando la minaccia di espulsione dal paese di persone “diverse” per religione e nazionalità, il Bardo invita a interrogarsi sui motivi di questa migrazione, poi esorta a immedesimarsi nei fuggiaschi per trarne le conseguenze a livello di comportamento etico. “Vedere gli stranieri” può allora declinarsi in diverse modalità — vederli da lontano, vedere se stessi, vederli da vicino, vederli come concittadini — e sfociare in una dimensione inattesa: gli stranieri come dono.

martedì 4 ottobre 2016

Primapagina. 01 “Deutsche Bank, la caduta del gigante”.



Ora che, come suol dirsi, i “buoni sono scappati”, torna interessante ed istruttiva la ri-lettura di un dossier a firma di Tonia Mastrobuoni. Da “Deutsche Bank, la caduta del gigante”, pubblicato sul settimanale “Affari&Finanza” del 15 di febbraio 2016: (…). L'intreccio tra banche e Stato in Germania è da sempre fortissimo. Prima di imporre all'Europa il bail in, il principio per cui, per dirla con Schaeuble, non devono essere più i contribuenti a salvare le banche, Berlino ha riempito di soldi i suoi traballanti istituti di credito, che rischiavano di essere risucchiati dal gorgo della Grande crisi. Oltre 240 miliardi di euro sfilati dalle tasche dei contribuenti tedeschi che sono serviti a mettere a riparo non solo le medie e le piccole, le Landesbanken, le Sparkassen, la Ikb o la Hypo Real Estate, banche coi bilanci divorati dai derivati ormai senza prezzo per il crollo dei mutui spazzatura americani. Nel 2009 il governo Merkel fu costretto a tirare fuori più di 18 miliardi di euro per salvare la seconda maggiore banca del suo Paese, Commerzbank, dal fallimento. (…). …oggi è il caso di chiedersi dove sono finiti quei miliardi. Soprattutto: che fine avrebbe fatto la "tripla A" tedesca, se la prima e la seconda banca del Paese avessero accettato un salvataggio pubblico? Che la Germania abbia sempre preferito "spazzare davanti alla propria porta" - un'espressione rubata a Goethe con cui Merkel respinse nel 2008 la richiesta del presidente francese Sarkozy di trovare una soluzione comune per il terremoto bancario europeo - è noto. Persino quando l'Europa trovò miracolosamente la quadra per l'Unione bancaria, il 29 giugno del 2012, all'apice della crisi dell'euro, Schaeuble riuscì a tenere fuori dalla Vigilanza europea le banche tedesche più piccole, quei potentati locali, gelosamente controllati dalla politica, che sono le Landesbanken, ma anche le Sparkassen. Adesso che torna a vacillare Deutsche, è il caso di chiedersi se un gigante così grande potrà essere, nella peggiore delle ipotesi, fatto fallire come impongono le nuove regole europee. O se Merkel e Schaeuble, ancora una volta, interverranno, infischiandosene del corsetto che hanno fatto indossare a tutti gli altri. Per capire la potenza, la credibilità, anche l'arroganza dei suoi top manager, basti pensare che con una sola frase è stata in grado per decenni di affossare imperi.

domenica 2 ottobre 2016

Paginatre. 50 “Le parole non sono neutre”.



Da “L’insostenibile ambiguità delle parole che usa la politica” di Gustavo Zagrebelsky, sul quotidiano la Repubblica del 24 di settembre 2016: (…). …viviamo in un mondo nel quale non è nemmeno possibile stabilire con precisione quanti sono gli esseri umani che non conoscono questo elementare diritto che possiamo chiamare “diritto al segno” o, leopardianamente, “diritto all’ orma”. Si misurano a milioni, cioè a numeri approssimativi, senza che – ovviamente – a questi numeri possano associarsi nomi. Milioni di anonimi, che giungono a noi come fantasmi, mentre le loro sono esistenze concrete, anche se durano spesso lo spazio d’ un mattino o di pochi mattini, consumandosi in fretta in condizioni disudigmane, in luoghi dove la lotta per la mera sopravvivenza materiale sopravanza qualunque possibilità di relazioni, dove i neonati vengono al mondo sotto la maledizione di leggi statistiche che li condannano alla sparizione entro pochi giorni o settimane di vita. Ciò che ci interpella inderogabilmente è che non possiamo dire, come forse si sarebbe potuto un tempo, nel mondo diviso per aree, storie, politiche separate e indipendenti le une dalle altre: sono fatti loro, loro è la responsabilità, il nostro mondo non è il loro, ognuno pensi per sé alle proprie tragedie. Non possiamo dirlo, perché il mondo, come ci ripetiamo tutti i momenti, è diventato uno solo, grande, globale. Noi, in un tale mondo, osiamo parlare kantianamente, senza arrossire, di “dignità” come universale diritto al rispetto. Il “diritto all’ orma” detto sopra è legato a tutti gli altri diritti come loro premessa e condizione: è davvero quello che è stato definito da Hannah Arendt, con una formula che ha avuto successo (Rodotà), il “diritto di avere diritti”. C’è un diritto che potremmo dire essere un altro modo d’ indicare il diritto di avere diritti, ed è il diritto al nome: un diritto al quale i trattati di diritto costituzionale, se non l’ ignorano, dedicano poche righe. La nostra Costituzione, all’ art. 22, tra i diritti umani fondamentali stabilisce che nessuno può essere privato del suo nome perché i Costituenti sapevano il valore di quel che dicevano. “Nominando” si specifica, si riconosce, si creano le premesse per creare un rapporto. Questo non accade, oggi, alle centinaia di migliaia e, in prospettiva, dei milioni di migranti che sono, per noi, milioni non solo di senza nome, ma anche di senza terra.