A lato: Dorothea Lange, migrante nella grande depressione americana.
Allungo 20 centesimi appena ad un ragazzetto che
nel grande parcheggio del supermarket offre ai frettolosi clienti accendini e cianfrusaglie
varie. È quanto da lui richiesto. Un istante dopo una giovine signora che sale
sulla sua auto mi apostrofa “e cosa daremo ai nostri figli?”. Trasecolo.
Le rispondo che i nostri figli hanno tanto, tutto, oltre il necessario. È un discorrere
inutile. Non tutti sanno che solo avantieri – 3 di ottobre - si è svolta la
prima “giornata nazionale per la memoria delle vittime dell’immigrazione”.
È pur vero che un senso di inutilità ci assale in ricorrenza di queste “giornate”
dedicate a tutto, giornata della “memoria”, giornata delle “foibe” ecc. ecc.
Ciascuno si ritaglia uno spazio per una “giornata di memoria”. Una “memoria” però
che è estranea alla “Storia” che dovrebbe illuminarne i chiaro-scuri, una
storia fatta di colonizzazioni feroci, di sfruttamento delle risorse naturali
ed umane altrui, di accettazione e sostegno di governi e regimi sovvenzionati convenientemente
ed ai quali non sono state negate tecnologie distruttive e quant’altro per l’occupazione
del “potere” in nome di imperscrutabili personaggi e disegni politico-economici
transnazionali. Ricordare ciò alla giovine signora del supermarket? Inutile. Il
parlamento la legiferato ed una nuova “giornata” si è aggiunta alle tante,
tantissime giornate che ci lasciano indifferenti se non ostili. Cosa vuole
ricordare la “giornata nazionale per la memoria delle vittime dell’immigrazione”?.
Che il 3 di ottobre dell’anno 2013 518 esseri umani traversavano il “mare
nostrum” per cercare una vita che tale si possa definire. Ne morirono 368 e
tutti i bambini sotto i 12 anni. I 150 superstiti furono accusati del reato di
immigrazione clandestina, in forza di una legge dello stato che ha legiferato poi
per una nuova “giornata della memoria”. Incredibile, ma vero! Eppure le più
accreditate agenzie internazionali che seguono il dramma – non il problema – delle
migrazioni asseriscono che da qui a pochi anni un miliardo di esseri umani
abbandoneranno il continente africano selvaggiamente depredato ed impoverito per
cercare una vita che si possa definire umana. Si ha consapevolezza del dramma
che continuerà ad abbattersi sul mondo progredito, arricchito anche grazie alle
selvagge politiche coloniali di ieri e di oggi, che non sono finite? Non esiste
una consapevolezza diffusa di tutto ciò, anche perché i media e le forze politiche
non hanno voluto rappresentare il dramma dei migranti in tutte le sue particolarità.
Ecco perché aver allungato solamente 20 centesimi ad un bimbo immigrato ha fatto
sentire impoverita la giovine donna carica delle sue buste di spesa. Ha sostenuto
Enzo Bianchi - priore della Comunità monastica di Bose - nel discorso che ha
pronunciato in Senato per la prima “Giornata nazionale per la memoria delle
vittime dell'immigrazione” – discorso in parte anticipato e riportato
sul quotidiano la Repubblica del 2 di ottobre col titolo “Io sono stato straniero” - che di seguito trascrivo, ha sostenuto che Il
titolo assegnato a questo mio intervento riecheggia una parola indirizzata a
più riprese nella Bibbia al popolo di Israele: “Ricorda che sei stato straniero
nel paese di Egitto”, oppure: “Tu agirai così perché anche tu sei stato
straniero!”. Parole che sono un invito a sentirsi stranieri e assumere la
responsabilità verso gli stranieri che giungono a noi nella loro irriducibile e
di primo acchito insondabile diversità. Per questo risuona il comandamento:
“Amate il gher (lo straniero) perché foste gherim, stranieri!” (Dt 10,19; 24,17;
Esodo 22,20; 23,9; Lev 19,34). Ecco il paradigma: ciascuno di noi è straniero
rispetto ad altri e proprio per questo può comportarsi rispetto allo straniero
come lui vorrebbe che altri si comportassero nei suoi confronti. Ma vorrei
affrontare questo tema usando come chiave interpretativa il testo attribuito a
Shakespeare che ci invita a “vedere gli stranieri”. Rievocando la minaccia di
espulsione dal paese di persone “diverse” per religione e nazionalità, il Bardo
invita a interrogarsi sui motivi di questa migrazione, poi esorta a
immedesimarsi nei fuggiaschi per trarne le conseguenze a livello di
comportamento etico. “Vedere gli stranieri” può allora declinarsi in diverse
modalità — vederli da lontano, vedere se stessi, vederli da vicino, vederli
come concittadini — e sfociare in una dimensione inattesa: gli stranieri come
dono.