“Chi è l’Impostore” si chiedeva Clotilde
Buraggi, psicoterapeuta, all’inizio della campagna elettorale dell’anno 2001, figura
molto diffusa fra il personale politico del bel paese che ha fatto scadere la
politica gettando i cittadini nell’assoluto sconforto? “Chi è l’Impostore”, che
al tempo nel quale il breve saggio fu scritto – “L’impostore e il suo pubblico: un rapporto perverso” - aveva “in
analisi” ben altro personaggio della politica, personaggio privato oggigiorno
dei diritti politici per una grave condanna per frode fiscale? Il “chi
è l’Impostore” al tempo d’oggi è domanda assillante e che cerca lumi e
risposte che possono arrivare solamente dalle menti scientifiche e dai cultori
delle dottrine psicoanalitiche. Dai cosiddetti “professoroni”, così
tanto in antipatia agli arrembanti reggitori della cosa pubblica. Allora…
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
lunedì 7 luglio 2014
sabato 5 luglio 2014
Cosecosì. 84 “La missione di Telemaco”.
"A fianco: Telemaco e Calipso".
Rubo l’incipit di un pensiero del bravissimo Gianni
Mura che si può sempre leggere a pie’ di pagina di questo blog: “mettiamola
così”. “Mettiamola così”, ma dal Renzi Matteo non mi è mai pervenuto
un refolo di simpatia. Non so per voi. È che il suo parlare, o sproloquiare, continua
nello stesso verso del ventennio tenebroso che siamo stati chiamati a subire. È
che il suo irridente idioma fatto di “professoroni”, “rosiconi” e facezie
varie mi rimanda a quella benemerita pubblicazione che è “Il Vernacoliere” che, come riportato in testata, è un “Mensile
di satira, umorismo e mancanza di rispetto in vernacolo livornese e in italiano”.
Ecco, avrei pensato ad un Renzi Matteo molto ben inserito in quella redazione
gloriosa. Ché del resto condivide, con l’arrembante primo ministro, la
regionalità. È chiaro che il Renzi Matteo debba necessariamente affidarsi ad
una squadra di “ghostwriter”, lautamente ricompensati, affinché il suo parlare
si ammanti di una conoscenza profonda che suppongo non gli appartenga. Ma come
quel cavaliere che lo ha preceduto nel ventennio decorso utilizza linguaggi ed
atteggiamenti che non hanno nulla con quel “cambiamento di verso” che vanagloriosamente
ed impudentemente assicura di aver impresso al bel paese. Poiché al bel paese
un Renzi Matteo che mandi cultura e garbo a quel paese è figura sempre ben
accolta.
giovedì 3 luglio 2014
Sfogliature. 27 “Il treno del sole”.
Non c’è più il treno del sole.
TreniItalia, da qualche giorno, l’ha soppresso. Passa oramai alla storia il
primo collegamento continuo dal Sud al Nord. Erano gli anni ’50 del secolo
scorso, e le ferrovie dello Stato inventarono il treno del sole. Fu una
necessità per soddisfare “meglio” il viaggio dalla Sicilia all’ambito Nord. Il
treno era soprattutto utilizzato dagli emigranti. Voglio ricordare che gli anni
’50, ’60 e parte dei ’70, hanno registrato il grande boom dell’emigrazione
interna. Dalla Sicilia, Calabria, Lucania, Campania a migliaia scappavano dalla
miseria e povertà del Sud. Interi nuclei familiari salivano sul treno del sole
per raggiungere Torino, Milano Genova o altre destinazioni del Nord. Erano in
gran parte braccianti e contadini, molti analfabeti o semianalfabeti, che
disperati ma con tanta speranza cercavano un futuro. Scappavano dalla fame e
dalle profonde ingiustizie sociali. Scappavano salendo sul treno del sole, laceri
e con null’altro che le braccia e la valigia di cartone. I bambini dal viso
tenero, sparuto, preoccupato, stavano in braccio alle mamme, che erano, quando
si trovava posto, sedute su i sedili di legno (terza classe). Partiva la gente
del Sud, con il pianto, non solo nel cuore, ma sul viso. Andava verso quell’avvenire
che la loro terra non gli aveva dato. Il treno del sole rappresentava la corsa
verso la vita. Una corsa che durava, quando andava bene, circa ventisei ore. Il
treno partiva da Siracusa per un viaggio pieno di sofferenze e disagi. Il treno
del sole degli anni 50/60 era in sostanza privo di ogni confort. Si saliva “all’arrembaggio”,
e conquistare un posto era difficile, molto difficile. In tanti, per tutto il
tempo del viaggio, restavano in piedi o buttati a terra. Ma il treno del sole
era il mezzo di fuga dalla non vita. Ma quella non vita che si lasciava erano,
però, gli affetti, i luoghi vissuti, gli amici. Il treno del sole, che ora non
c’è più, è, in ogni caso, parte importante della storia del Sud. In quelle
carrozze la sofferenza umana si materializzava e solidarizzava, ma si concretava
anche una speranza. È stato per tanti anni una “tradotta” che portava al lavoro,
al pane. Ma gli emigranti, i “terroni”, anche attraverso quel treno hanno tenuto
un legame profondo con le proprie radici, che si materializzava soprattutto a
Natale e ad Agosto; periodi in cui si tornava al Paese per rincontrare i nonni,
i genitori, la sposa, gli amici. Un’altra
occasione per la quale gli emigrati salivano sul treno del sole; era per venire
a votare. Non ricordo bene in quale occasione elettorale, certamente negli anni
’70, andammo a ricevere alla stazione di Sant’Eufemia, oggi Lamezia Terme, di
sera gli emigrati che scendevano sul treno del sole per votare. Dai finestrini
dei vagoni stracarichi sventolavano le bandiere rosse e forti erano i canti
degli inni della sinistra. Noi dirigenti e militanti del Partito Comunista
eravamo lì con un grande striscione sul quale avevamo scritto, “Torna per
votare e vota per tornare”. (…). Addio treno del Sole. Avete appena letto
la testimonianza che l’amico carissimo Sabatino Nicola Ventura, Consigliere
Comunale di Catanzaro e Presidente dell’Associazione “Pensiero Contemporaneo”, mi ha fatto
pervenire e che con grande piacere ho posto a prologo di questa “sfogliatura”.
Il venerdì 15 di aprile dell’anno 2005 postavo su questo blog un mio racconto
breve, “L’emigrante”, la stesura del
quale risale all’anno 1967. Lo ripropongo di seguito.
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