Da “La metamorfosi del Leviatano” di Franco Cordero, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 30 di maggio dell’anno 2012: 1 Il
berlusconismo è anche fenomeno religioso, molto volgare. Da qualche settimana
era nell'aria una rivelazione (in greco, apocalisse). Narra la Bibbia che Iddio
comunicasse col suo popolo attraverso gli angeli, e nel Pdl esiste l'omonimo,
addolcito dal diminutivo, segretario privato, indi guardasigilli, infine dubbio
condottiero del partito, flebile futuro leader. Nell'epifania a Palazzo Madama,
venerdì 25 maggio, sala Koch, Dominus fa quasi tutto da solo. Siedono in due al
tavolo. Finalmente riapparso dopo lunga latenza, ha l'aria grave. Sentiamo cosa
rivela: l'Italia soffre perché manca l'uomo munito d'adeguati poteri; ed esiste
il rimedio, mediante emendamento al ddl sulle riforme; gl'italiani eleggano in
due turni un presidente ai cui ordini il governo lavori, obbediente comitato
d'affari; se no, finiamo nell'abisso greco. L'evento era conferenza stampa. Gli
domandano chi sia il candidato Pdl al posto supremo: lo designerà il partito,
risponde, sottintendendosi pronto; e biascica una frase, da intendere nel senso
che incombano scelte estreme. La parola passa all'angelo, nella cui parlata
Berlusco Magnus presiede già la Repubblica. Lapsus o profezia? Confonde anche
«presidenzialismo» e «federalismo». Qualunque sia il senso della battuta,
gliel'applaudono. A corte regna una severa disciplina della comunicazione; i
singoli parlanti mettono ugola, faccia, mimica, imbeccati dal cervello
ventriloquo collettivo che ogni mattina detta frasi da compitare: niente esclude,
quindi, l'happening calcolato. (…).
2 (…). Dopo la vittoria monstre (aprile 2008) lo pseudouomo nuovo, formatosi nelle pieghe del cronico morbus italicus, sbaglia ogni mossa: otto anni d'una gestione piratesca portano l'infelice paese a due dita dalla bancarotta; gli dava a intendere d'essere ricco e fortunato. Negli ultimi 12 mesi incassa disfatte elettorali da rompere la schiena: le borse l'hanno costretto a dimettersi, riluttante fino all'ultimo; emergono scenari guignoleschi dai processi che tentava d'impedire schierando gli onorevoli pretoriani, impavidi uomini e donne del sì. Sappiamo chi sia, predone, corruttore, plagiario. Sotto pose e maschera allegre (invecchiando le lascia cadere) da trent'anni impersona Leviathan, coccodrillo biblico davanti al quale Giobbe inorridisce. Potente figura belluina, finché gli duri l'anima appetitiva. Quel colossale bottino presuppone squame, fauci, stomaco senza fondo, ossia una struttura incompatibile con i sentimenti elementari d'ogni morale (vergogna e colpa): viene da ridere all'idea d'un B. malinconico, riflessivo, penitente (la parola greca è «metánoia»); caimani e squali non sentono rimorsi, macchine viventi perfette. Come ogni animale, decade: i sintomi sono chiari ma il genus dura; nuotereste nella piscina abitata da un vecchio alligatore intorpidito? Con quel fondo organico ed enormi interessi in ballo, non è pensabile l'uscita quieta. Gli costava cara la parte dimessa in cui sconfitte elettorali, figure penose, congiuntura terribile lo tengono acquattato dall'autunno. La sortita a Palazzo Madama vuol essere rentrée: l'aveva nelle ghiandole; gliela chiedevano poiane e falchi, insofferenti della lunga eclissi. Non che dipenda da costoro, autocrate nato, ma gli forniscono bande della morte e in qualche misura deve assecondarli: se li portava ad sidera, regalando carriere miracolose; quanto meno meritata fosse l'ascesa, tanto più s'aggrappano alla scala; gli soffiano sul collo; sapendosi senza futuro in ogni alternativa politica normale, contano sul feroce avventuriero. Se mirava al coup de théatre, dev'essere deluso. Gli avversari sogghignano: non perda tempo in futili diversivi; vuol cambiare qualcosa?; sarebbe tanto una riforma elettorale che sottragga i parlamentari al padrone, e lì risulta sordo. Non incute paura né gli concedono credito. Interviste nel Pdl, poi, producono risposte caute, dubitose, evasive. Nessuno le osava ai bei tempi: la stella quindi sembra affievolita, sebbene eruttino fiamme i molto motivati, pronti a tutto, squadrismo e scempio istituzionale inclusi; l'interesse connette una prassi amorale paragonabile alle compagnie di ventura tre o quattrocentesche. Soffia cattivo vento sulla casa d'Arcore, ma sarebbe scommessa rischiosa darla cadente. Leviathan rimane gran bestia, anche segnato dai colpi, ormai vecchio, meno sicuro nei riflessi, incupito: gli portava voti a valanga l'ottimismo ciarliero; ha cambiato look, sia difetto tecnico nella confezione dell'immagine o la metamorfosi patita da Dorian Gray; talvolta figura decisamente male, come negli specchi deformanti. Gli restano risorse molto temibili: tanti soldi da sbancare ogni concorrente, l'apparato mediatico, abilità senza scrupoli nel cavare il peggio dalle viscere della platea; e ha delle chances in due contesti. Immaginiamo un'Italia post crisi, incline a euforica amnesia: dopo i tempi calamitosi, cade la tensione; predicando vita facile il pifferaio ritrova le folle. «Avevo ragione o no? E quanto meglio staremmo se m'aveste seguito, ma eravate in mano alla clique trappista». Peggio ancora l'ipotesi contraria: che la sventurata vada a picco; lui non perda niente, anzi s'arricchisca, mago d'affari oscuri; e nel collasso dei metri razionali, regolati dalla materia grigia, devasti i circuiti midollari. V'era riuscito in tempi tranquilli inoculando ai «moderati» lo spavento d'inesistenti «comunisti». Nella dialettica elementare amico-nemico insegna qualcosa al dottor Ioseph Goebbels e dispone d'ordigni meno rudimentali. Eventualità remote o almeno speriamolo: le battaglie ipotetiche (in tedesco Kriegsspiele) sono utile esercizio intellettuale, coltivato dagli stati maggiori; e se l'ipotetica Italia imbarbarita fa paura, non è buon motivo per chiudere gli occhi.
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