Hanno un che da gioire, da postare
e da twittare i manutengoli dell’uomo venuto da Arcore. C’è un giudice di
sorveglianza a Milano che asserisce non esserci ostacolo al reintegro nella
vita pubblica del reo. È sempre cosa buona e giusta, come suol dirsi tra eminenti
legulei, attendere di leggere ciò che quel giudice ha scritto nella sua
disposizione a proposito di quell’uomo. Probabilmente quel giudice vive in un
altro mondo che non è per i comuni mortali e di conseguenza non gli saranno
giunte le notizie che le procure della Repubblica, da più parti d’Italia,
invitano quell’uomo a presentarsi nei tribunali per rispondere dei reati più
vari. C’è un giudice di sorveglianza a Milano che in cuor suo avrà considerato
il dispositivo della Corte di Cassazione esagerato laddove quella Corte ha a
suo tempo scritto essere quell’uomo una persona soggiogata e turbata da una "naturale
capacità a delinquere". Più di così. E proprio oggi 17 di maggio
dell’anno 2018 un altro giudice di Roma preposto alla cosiddetta udienza preliminare
– il gup - ha rinviato quello stesso uomo a processo nel tribunale di quella
città. E quel giudice di sorveglianza a Milano avrà meditato e pensato che
siano cosucce – la corruzione di testimoni e quant’altro attinente alla non
proprio commendevole vita di quell’uomo - che non possano di conseguenza condizionare
la sua sofferta (?) decisione. Scriveva Barbara Spinelli in “L'altro pianeta del Cavaliere”
pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 31 di ottobre dell’anno 2012: (…).
La giustizia, i processi, le leggi, esistono in primo luogo per l'innocente,
per il senza-potere: non per il reo da condannare. Se c'è desiderio che sia
fatta luce su chi vilipende il bene comune (…), è perché l'innocente non sia
confuso con il colpevole, sprofondando in una melma dove non distingui nulla. È
questo bisogno di giustizia che l'ex Premier (l’uomo venuto da Arcore
n.d.r.) offende, (…). Ogni processo è ritenuto veleno, che ammorba la
democrazia e la spegne. La magistratocrazia si sostituirebbe eversivamente alla
democrazia, contro il popolo sovrano. Il dubbio che i processi siano al
servizio soprattutto degli indifesi non lo sfiora: lui, condannato per truffa
ai danni dello Stato, si presenta come vittima, perfino capro espiatorio. Non
sa che per definizione il capro è innocente: che proprio per questo il rito è
barbarico. Avrà meditato quel giudice di sorveglianza di Milano su
questa prosa? La conosce? L’avrà letta? Quale idea se ne sarà fatta? Ed all’uomo
della strada chi spiegherà che quel giudice di sorveglianza non ha potuto cancellare,
non avendone per fortuna la prerogativa, la condanna per la quale quell’uomo di
Arcore è stato condannato da un tribunale della Repubblica per frode fiscale? A
breve, anzi brevissima distanza da quella decisione, che la si potrebbe dire inconsueta
stanti le notizie che continuano a portare quel “delinquente naturale”
alla ribalta della cronaca peggiore, a breve anzi a brevissima distanza sarà
cosa facile, facilissima, per i manutengoli di quell’uomo, far passare quella sentenza
come lavacro che tutto cancella. È sulla mancanza della “memoria” del popolo
italiota, sul suo mancato collettivo esercizio, che i bellimbusti di tutte le
risme fanno leva affinché il furbo di turno torni mondato anche dei peggiori
misfatti. Che dire? C’è un giudice di sorveglianza a Milano. Che fiuta forse l’aria
dei nuovi rivolgimenti e che spera forse di stare nel solco giusto tracciato dagli
accadimenti che verranno. Ha scritto ancora Barbara Spinelli in quell’ottobre
dell’anno 2012:
Non c'è, nel capro, la "naturale capacità a delinquere" che i giudici di Milano ravvisano in Berlusconi: non sarebbe agnello sacrificale, se avesse questa capacità. È importante che gli italiani sappiano che l'idea stessa di giustizia - pietra angolare della pòlis - è negata, ignorata, da chi parla del pianeta giustizia quasi estromettendola dall'orbita terrestre. Che sappiano quel che spinge Berlusconi condannato ad aborrire le sentenze che lo riguardano ma anche, d'un sol fiato, quelle che giudicano colpevoli di incuria gli scienziati che tranquillizzarono gli abitanti dell'Aquila e dintorni, raccomandando di restarsene in casa perché la grande scossa del 6 aprile 2009 era invenzione della paura. Non è escluso che la stessa ripugnanza tocchi alle sentenze del giudice per le indagini preliminari a Taranto, che ha punito la disinvoltura, all'Ilva, con cui la salute dei cittadini è stata per anni messa a repentaglio. (…). La lotta a chi froda impunemente, la protezione dalle catastrofi naturali o da acciaierie tossiche, ma anche la custodia della nostra ricchezza che è il patrimonio artistico: sono mansioni che dovrebbero competere allo Stato, non ai magistrati. I quali non sono giudici vendicatori, e nemmeno chirurghi che guariscono alla radice i mali dell'incuria cialtrona. Possono intervenire solo a danno o crimine compiuto, e non per cambiare le leggi, selezionare onesti amministratori, presidiare il bene pubblico prima che il malaffare lo sfasci. (…). Cambiare classe dirigente non significa cambiar facce, o rottamare. Significa interrogarsi severamente sulla giustizia omessa, sul vuoto di politica che moltiplica le sentenze, e porre rimedio premurandosi del bene comune. Compreso il bene europeo, altro bersaglio di Berlusconi (perché dobbiamo tener conto delle inquietudini dei tedeschi? si chiede stupito). Significa riconoscere che non solo governanti e politici debbono apprendere la responsabilità e la giustizia, ma anche la classe dirigente non schierata. Anche chi, specialista o manager, ha poteri d'influenza: tecnico della scienza, dell'economia, delle imprese. (…). Se a fare le cose con senso di giustizia fossero i politici, i comitati scientifici, gli imprenditori, non avremmo questa riduzione d'ogni gesto all'aspetto penale. Ma è anche vero che senza sentenze, oggi, l'uomo diverrebbe lupo per l'uomo. Perché la catarsi della politica e delle classi dirigenti ancora non c'è. (…). C’è quel giudice di sorveglianza a Milano.
Non c'è, nel capro, la "naturale capacità a delinquere" che i giudici di Milano ravvisano in Berlusconi: non sarebbe agnello sacrificale, se avesse questa capacità. È importante che gli italiani sappiano che l'idea stessa di giustizia - pietra angolare della pòlis - è negata, ignorata, da chi parla del pianeta giustizia quasi estromettendola dall'orbita terrestre. Che sappiano quel che spinge Berlusconi condannato ad aborrire le sentenze che lo riguardano ma anche, d'un sol fiato, quelle che giudicano colpevoli di incuria gli scienziati che tranquillizzarono gli abitanti dell'Aquila e dintorni, raccomandando di restarsene in casa perché la grande scossa del 6 aprile 2009 era invenzione della paura. Non è escluso che la stessa ripugnanza tocchi alle sentenze del giudice per le indagini preliminari a Taranto, che ha punito la disinvoltura, all'Ilva, con cui la salute dei cittadini è stata per anni messa a repentaglio. (…). La lotta a chi froda impunemente, la protezione dalle catastrofi naturali o da acciaierie tossiche, ma anche la custodia della nostra ricchezza che è il patrimonio artistico: sono mansioni che dovrebbero competere allo Stato, non ai magistrati. I quali non sono giudici vendicatori, e nemmeno chirurghi che guariscono alla radice i mali dell'incuria cialtrona. Possono intervenire solo a danno o crimine compiuto, e non per cambiare le leggi, selezionare onesti amministratori, presidiare il bene pubblico prima che il malaffare lo sfasci. (…). Cambiare classe dirigente non significa cambiar facce, o rottamare. Significa interrogarsi severamente sulla giustizia omessa, sul vuoto di politica che moltiplica le sentenze, e porre rimedio premurandosi del bene comune. Compreso il bene europeo, altro bersaglio di Berlusconi (perché dobbiamo tener conto delle inquietudini dei tedeschi? si chiede stupito). Significa riconoscere che non solo governanti e politici debbono apprendere la responsabilità e la giustizia, ma anche la classe dirigente non schierata. Anche chi, specialista o manager, ha poteri d'influenza: tecnico della scienza, dell'economia, delle imprese. (…). Se a fare le cose con senso di giustizia fossero i politici, i comitati scientifici, gli imprenditori, non avremmo questa riduzione d'ogni gesto all'aspetto penale. Ma è anche vero che senza sentenze, oggi, l'uomo diverrebbe lupo per l'uomo. Perché la catarsi della politica e delle classi dirigenti ancora non c'è. (…). C’è quel giudice di sorveglianza a Milano.
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