Ci fu in un tempo, molto lontano,
un uomo a Nazareth che scelse di finire ignominiosamente sulla croce, una forma
di giustizia di quei barbari di romani degradante assai, per realizzare, a suo
dire, la volontà di un dio che questo esito finale tragico e cruento assai
aveva previsto, scritto e puntigliosamente perseguito e realizzato. Il sogno di
quell’uomo morto in croce era evidentemente quello di suscitare tante attese attorno
alla venuta, sul pianeta chiamato Terra, di una nuova forma di essere “pensante”
ed “umano” che rispondesse sommamente al suo canone prediletto, ovvero porgere “l’altra
guancia”. Che quell’uomo di Nazareth ci sia riuscito diffonde serissime
perplessità attorno, trascorsi oramai duemila anni dai suoi insegnamenti e da
quegli avvenimenti cruenti. Di quell’uomo nuovo dalla guancia sempre esibita,
evangelicamente parlando, se ne rincorrono ancora le tracce, disperse sempre ai
cosiddetti quattro venti. Avvenne poi
che di un “uomo nuovo” o di un “nuovo uomo” ebbe a parlarne un
movimento politico di ben diversa ispirazione e sostanza. E venne fuori il
cosiddetto “socialismo reale”. Non mi sovviene con esattezza se quel
movimento di anime e corpi proclamasse l’avvento dell’”uomo nuovo” o di un “nuovo
uomo”. Ché non ci sia poi una grande differenza tra le due “cose”
è cosa che filosoficamente e faticosamente bisognerà approfondire. Il dramma di
quel “socialismo
reale” è stato che, a seguito delle sue declamazioni, non si siano
visti esemplari né di un “uomo nuovo” né tantomeno di un “nuovo
uomo”. Non è che, messianicamente parlando, bisognerà attendere ancora
quella novella creatura del “socialismo reale”? Oramai morto e
sepolto sotto le sue macerie a testimonianza di quel fallimento storico? Intanto
non mi pare di poter dire che abbiano fallito in “toto” sia l’uomo di Nazareth
quanto il “socialismo reale”, poiché una piccola rivoluzione, in questi
ultimissimi lustri, la si intravede all’orizzonte e la si registra pure. È pur
vero che è una rivoluzione che abbandona nettamente i canoni proposti dall’uomo
di Nazareth come quelli proposti dal “socialismo reale”. Questa piccola
rivoluzione, piccola ma pur sempre rivoluzionaria è, abortisce un “uomo
nuovo” o un “nuovo uomo” – ma non voglio impantanarmi nella sottilissima disquisizione
- che è la negazione assoluta dell’uomo
pensato dall’ebreo di Nazareth quanto dell’uomo pensato dal “socialismo
reale”. Un obbrobrio della natura. L’ebreo di Nazareth, quanto le
faconde menti del “socialismo reale”, si staranno rivoltando nelle loro tombe; almeno
queste ultime, le menti faconde, ché l’altro sembra abbia preso la via del
cielo dopo aver reso l’anima sua al padre suo, padrone dei cieli.
Il capolavoro della presente rivoluzione è dovuto ad un essere umano piccolo piccolo divenuto “sultano” – prendendo a prestito la chiarissima immagine resa dall’indimenticato professor Sartori - del bel paese. Ha scritto Pierre Musso nel Suo “Sarkoberlusconismo” – alle pagine 66 e 67 –: (…). Conformandosi al modello dell’azienda di servizi e di comunicazione, guidata dagli studi di mercato, dagli indici d’ascolto e dai sondaggi d’opinione, nel campo della rappresentazione politica il (…) berlusconismo segue le regole del marketing, che consistono nel rispondere alle attese degli elettori, quando non nel precederle per il tramite della costruzione di sogni. E ciò è possibile grazie alla commistione sincretica dei molti referenti tratti dal mondo dell’azienda, della televisione e dello sport, incarnati dalle star e dai personaggi simbolo di cui si circondano Sarkozy e Berlusconi per catturare e incantare il loro pubblico. Il miracolo dell’”uomo nuovo” o del “nuovo uomo” è fatto. Senza l’intervento di divinità alcuna, senza l’intervento e l’elaborazione collettiva di grandissimi pensatori. Una rivoluzione così, terra terra. Quanto basta. Ne ha parlato da par suo Andrea Camilleri su di un trascorso – 25 di gennaio dell’anno 2011 - numero della rivista “Micromega”. Il titolo della Sua riflessione, ripresa in parte da “il Fatto Quotidiano” e che di seguito trascrivo integralmente, è “Il trionfo dell’homo berlusconensis”. Buona lettura a tutti gli uomini di buona volontà: Ci sono due statuine che non mancano mai in ogni presepe che si rispetti. La prima è quella del contadino che davanti alla grotta col bambinello appena nato, alza, meravigliato e stupito, le braccia al cielo. In Sicilia è chiamato ‘u spavintatu do presepiu, perché la meraviglia che esprime è tale da sfiorare lo spavento. La seconda è quella di un altro contadino che, poco lontano dalla grotta, se ne sta beatamente a dormire disteso per terra, dopo avere assistito al grande evento. Dalle mie parti è detto l’addrummisciutu do presepiu. Queste due statuine le prendo a prestito perché plasticamente raffigurano due diffusissimi tipi di homo berlusconensis. Il primo è sempre pronto ad esprimere, con partecipata emozione, alte meraviglie qualsiasi cosa faccia il suo Idolo, sia che mostri le corna in una foto ufficiale di gruppo (come sa fare le corna lui, nessun altro!) sia che racconti una barzelletta stantia (nessuno è capace di raccontarle come lui!) sia che presieda una riunione di governo (nemmeno il mio preside a scuola). Tutto quello che Egli fa viene definito dall’entusiasta con superlativi assoluti e un sorriso beato sulla faccia. Questo tipo d’homo berlusconensis è trasversale, nel senso che va dal beota puro al docente universitario proposto per il Nobel. A ben considerare, l’homo berlusconensis sempre e comunque acclamante, insomma colui che pratica il culto cieco della personalità, è la clonazione più borghese e sciamannata del fascista osannante, in prima fila sotto il balcone di Palazzo Venezia. A proposito. L’entusiasta ascolta il Verbo rapito, ad occhi chiusi, in stato di trance. Se è a casa, pretende il silenzio assoluto dai familiari. Al bar, fa lo stesso. Insomma, non vuole perdersi una parola. Ma attenzione: dopo, è assolutamente incapace di riferire quanto ha sentito. Al massimo, esclamerà, balbettando sconvolto dal piacere: - Ha parlato per quattro ore e mezzo filate! -. Per lui conta la quantità delle parole, non la qualità. Il secondo tipo, il dormiente, può abbandonarsi al sonno perché Egli è nato alla politica, anzi, come ama dire, è disceso in campo. Quello è stato il suo Natale. Probabilmente ha dovuto sloggiare da quella grotta che era la sua abitazione per far posto all’evento, ma in compenso gli è stato promesso un villino munito di tutti i comfort. Al risveglio, ne è certo, quel villino sarà suo. Intanto, dorme (...) Il barone di Münchhausen, il personaggio creato alla fine del Settecento dallo scrittore tedesco Raspe, raccontava d’aver compiuto imprese mirabolanti come salire al volo sopra una palla di cannone e viaggiare con essa o come aver sentito crescere l’erba poggiando l’orecchio a terra. La nota più caratteristica del personaggio era che credeva alle storie che raccontava pur sapendo di essersele inventate di sana pianta. Vi ricorda qualcuno? Attenzione però. Mentre il barone non raccontava le sue storie mirando a un fine pratico e immediato, ma solo per il gusto di stupire, le storie del nostro piccolo Münchhausen sono tutte finalizzate a un unico scopo: creare consenso. Quindi egli non racconterà d’avere camminato sulle acque, ma di essere il miglior capo di governo mai avutosi in Italia, il più amato (- io, quando cammino per strada, blocco la circolazione -), il più presente negli eventi tragici da L’Aquila a Viareggio, magnificherà d’essere uno statista che dà consigli indifferentemente a Putin e a Bush e via di questo passo. Nel suo piccolo, l’homo berlusconensis si considera e vuole che gli altri lo considerino come il meglio in tutto: il miglior padre di famiglia (anche se ha tre amanti), il miglior cliente della banca (anche se ha firmato assegni a vuoto), il miglior amico (anche se è pronto a tradire l’amicizia se ci trova un tornaconto) eccetera. E tale profondamente si crede. L’homo berlusconensis quale sottoprodotto del piccolo Münchausen vive e opera in una fittizia realtà di comodo. In ogni paese d’Italia da sempre c’è un personaggio locale, che si chiami Gigetto, Toni, Efisio, Pippuzzu, Carlìn, non importa, soprannominato il pallonaro. È quello che le spara grosse per il gusto di farlo. Non ne può fare a meno, fa parte della sua natura. Mentre della sua natura non fa parte la verità, anche quella più piccola, più insignificante. Il pallonaro costituisce una sottocategoria della precedente. L’homo berlusconensis è naturaliter pallonaro sempre e comunque. Sottocategoria collaterale è quella di colui che mente sempre sapendo di mentire. La menzogna in Italia è stata istituzionalizzata. Il più recente esempio è costituito dalla mendace affermazione del premier che un’extracomunitaria minorenne senza documenti, accusata di furto, già frequentatrice di festini presidenziali, era in realtà la nipote del presidente egiziano Mubarak e che perciò andava liberata subito e affidata a una consigliera regionale che altri non era che la bella ex igienista dentale del premier stesso. Un intrigo da operetta da Belle époque nel quale l’homo berlusconensis si è immediatamente riconosciuto e immedesimato, invidiandone il protagonista. Ah, che uomo furbo! Come sa cavarsela sempre! Ah, poter fare lo stesso! (...).
Il capolavoro della presente rivoluzione è dovuto ad un essere umano piccolo piccolo divenuto “sultano” – prendendo a prestito la chiarissima immagine resa dall’indimenticato professor Sartori - del bel paese. Ha scritto Pierre Musso nel Suo “Sarkoberlusconismo” – alle pagine 66 e 67 –: (…). Conformandosi al modello dell’azienda di servizi e di comunicazione, guidata dagli studi di mercato, dagli indici d’ascolto e dai sondaggi d’opinione, nel campo della rappresentazione politica il (…) berlusconismo segue le regole del marketing, che consistono nel rispondere alle attese degli elettori, quando non nel precederle per il tramite della costruzione di sogni. E ciò è possibile grazie alla commistione sincretica dei molti referenti tratti dal mondo dell’azienda, della televisione e dello sport, incarnati dalle star e dai personaggi simbolo di cui si circondano Sarkozy e Berlusconi per catturare e incantare il loro pubblico. Il miracolo dell’”uomo nuovo” o del “nuovo uomo” è fatto. Senza l’intervento di divinità alcuna, senza l’intervento e l’elaborazione collettiva di grandissimi pensatori. Una rivoluzione così, terra terra. Quanto basta. Ne ha parlato da par suo Andrea Camilleri su di un trascorso – 25 di gennaio dell’anno 2011 - numero della rivista “Micromega”. Il titolo della Sua riflessione, ripresa in parte da “il Fatto Quotidiano” e che di seguito trascrivo integralmente, è “Il trionfo dell’homo berlusconensis”. Buona lettura a tutti gli uomini di buona volontà: Ci sono due statuine che non mancano mai in ogni presepe che si rispetti. La prima è quella del contadino che davanti alla grotta col bambinello appena nato, alza, meravigliato e stupito, le braccia al cielo. In Sicilia è chiamato ‘u spavintatu do presepiu, perché la meraviglia che esprime è tale da sfiorare lo spavento. La seconda è quella di un altro contadino che, poco lontano dalla grotta, se ne sta beatamente a dormire disteso per terra, dopo avere assistito al grande evento. Dalle mie parti è detto l’addrummisciutu do presepiu. Queste due statuine le prendo a prestito perché plasticamente raffigurano due diffusissimi tipi di homo berlusconensis. Il primo è sempre pronto ad esprimere, con partecipata emozione, alte meraviglie qualsiasi cosa faccia il suo Idolo, sia che mostri le corna in una foto ufficiale di gruppo (come sa fare le corna lui, nessun altro!) sia che racconti una barzelletta stantia (nessuno è capace di raccontarle come lui!) sia che presieda una riunione di governo (nemmeno il mio preside a scuola). Tutto quello che Egli fa viene definito dall’entusiasta con superlativi assoluti e un sorriso beato sulla faccia. Questo tipo d’homo berlusconensis è trasversale, nel senso che va dal beota puro al docente universitario proposto per il Nobel. A ben considerare, l’homo berlusconensis sempre e comunque acclamante, insomma colui che pratica il culto cieco della personalità, è la clonazione più borghese e sciamannata del fascista osannante, in prima fila sotto il balcone di Palazzo Venezia. A proposito. L’entusiasta ascolta il Verbo rapito, ad occhi chiusi, in stato di trance. Se è a casa, pretende il silenzio assoluto dai familiari. Al bar, fa lo stesso. Insomma, non vuole perdersi una parola. Ma attenzione: dopo, è assolutamente incapace di riferire quanto ha sentito. Al massimo, esclamerà, balbettando sconvolto dal piacere: - Ha parlato per quattro ore e mezzo filate! -. Per lui conta la quantità delle parole, non la qualità. Il secondo tipo, il dormiente, può abbandonarsi al sonno perché Egli è nato alla politica, anzi, come ama dire, è disceso in campo. Quello è stato il suo Natale. Probabilmente ha dovuto sloggiare da quella grotta che era la sua abitazione per far posto all’evento, ma in compenso gli è stato promesso un villino munito di tutti i comfort. Al risveglio, ne è certo, quel villino sarà suo. Intanto, dorme (...) Il barone di Münchhausen, il personaggio creato alla fine del Settecento dallo scrittore tedesco Raspe, raccontava d’aver compiuto imprese mirabolanti come salire al volo sopra una palla di cannone e viaggiare con essa o come aver sentito crescere l’erba poggiando l’orecchio a terra. La nota più caratteristica del personaggio era che credeva alle storie che raccontava pur sapendo di essersele inventate di sana pianta. Vi ricorda qualcuno? Attenzione però. Mentre il barone non raccontava le sue storie mirando a un fine pratico e immediato, ma solo per il gusto di stupire, le storie del nostro piccolo Münchhausen sono tutte finalizzate a un unico scopo: creare consenso. Quindi egli non racconterà d’avere camminato sulle acque, ma di essere il miglior capo di governo mai avutosi in Italia, il più amato (- io, quando cammino per strada, blocco la circolazione -), il più presente negli eventi tragici da L’Aquila a Viareggio, magnificherà d’essere uno statista che dà consigli indifferentemente a Putin e a Bush e via di questo passo. Nel suo piccolo, l’homo berlusconensis si considera e vuole che gli altri lo considerino come il meglio in tutto: il miglior padre di famiglia (anche se ha tre amanti), il miglior cliente della banca (anche se ha firmato assegni a vuoto), il miglior amico (anche se è pronto a tradire l’amicizia se ci trova un tornaconto) eccetera. E tale profondamente si crede. L’homo berlusconensis quale sottoprodotto del piccolo Münchausen vive e opera in una fittizia realtà di comodo. In ogni paese d’Italia da sempre c’è un personaggio locale, che si chiami Gigetto, Toni, Efisio, Pippuzzu, Carlìn, non importa, soprannominato il pallonaro. È quello che le spara grosse per il gusto di farlo. Non ne può fare a meno, fa parte della sua natura. Mentre della sua natura non fa parte la verità, anche quella più piccola, più insignificante. Il pallonaro costituisce una sottocategoria della precedente. L’homo berlusconensis è naturaliter pallonaro sempre e comunque. Sottocategoria collaterale è quella di colui che mente sempre sapendo di mentire. La menzogna in Italia è stata istituzionalizzata. Il più recente esempio è costituito dalla mendace affermazione del premier che un’extracomunitaria minorenne senza documenti, accusata di furto, già frequentatrice di festini presidenziali, era in realtà la nipote del presidente egiziano Mubarak e che perciò andava liberata subito e affidata a una consigliera regionale che altri non era che la bella ex igienista dentale del premier stesso. Un intrigo da operetta da Belle époque nel quale l’homo berlusconensis si è immediatamente riconosciuto e immedesimato, invidiandone il protagonista. Ah, che uomo furbo! Come sa cavarsela sempre! Ah, poter fare lo stesso! (...).
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