Da “Il
progetto meglio del risultato: la vita è tutta un rendering” di Alessandro
Robecchi, su “il Fatto Quotidiano” del 25 di giugno 2015: (…). Visto con il senno di poi
(che è il senno di oggi), di tutto il renzismo applicato che subiamo ogni
giorno era meglio il rendering. Si mostravano skyline pulitissimi e fascinosi,
rottamazioni implacabili della “vecchia politica” (uff!) e generazioni che
ricominciavano a vedere il loro futuro. Poi, uscendo dalla simulazione grafica,
ci si ritrova con i De Luca ineleggibili ma eletti, per fare solo un caso di
scuola (ma sarebbero numerosi). Nel rendering del Jobs act si vedevano precari
che acquisivano diritti impensabili, garanzie per i lavoratori atipici,
prospettive per precari prima inimmaginabili. Poi, a cantiere finito e nastro
tagliato, ci si trova con i lavoratori spiati, occupazione che non cresce, e i
precari sono ancora quasi tutti lì, a fare un coro di voci stanche che dice:
“Eccheccazzo, era meglio il rendering”. Con la burbanzosa arroganza di chi ha
studiato più Jeeg Robot che Gramsci, persino Matteo Renzi lo ammette: il Renzi
Uno (lui e i suoi pards che attaccano la diligenza) era meglio del Renzi Due
(lui che governa in piena continuità con la politica precedente). Insomma,
anche di Renzi, e per ammissione dello stesso Renzi, “era meglio il rendering”.
Da “Contrordine,
compagni. L’abolizione dell’Imu non è più una vaccata” di Alessandro
Robecchi, su “il Fatto Quotidiano” del 22 di luglio 2015: (…). …il renzismo come
continuazione del berlusconismo con altri mezzi. Oppure, più raffinata ipotesi:
il berlusconismo come spossante, interminabile prova generale dello spettacolo
con cui va in scena Matteo. Accecati, applaudono anche giornaloni e
telegiornali. Gente che solitamente geme come l’albero di un veliero al solo
nominare un aumento del deficit. E ora, invece, un coro di hurrà. Poi meno
tasse per chi, per cosa, a favore di chi, per tagliare quali servizi,
ovviamente non si dice, il capo dei pirati annuncia che troverà un tesoro, e
nessuno della ciurma che gridi: “Prima vediamolo!” Ma passi, non ha senso
criticare la propaganda. Più divertente andare a leggere cosa dicevano i
plaudenti renzisti delle prime file quando la pièce del “Meno tasse per tutti”
la recitava l’unto dal Signore. Dai pacati giudizi politici di Finocchiaro
(“L’abolizione totale dell’Imu sulla prima casa non sarebbe misura utile al
paese”), all’intervento alla Camera del dem Fanucci (“Abolizione totale
dell’Imu grave errore”), fino all’immancabile Dario Nardella (“Tutta
quest’euforia sull’abolizione dell’Imu mi pare esagerata. Prima capiamo bene a
quale prezzo la togliamo”). Spettacolo. E fin qui i politici. Perché poi al
coro si aggiungevano gli agit-prop a tassametro, capaci di concedersi ben altre
licenze poetiche, come il “comunicatore” Francesco Nicodemo, sempre lui, the
genius: “Povertà disperazione disoccupazione e noi parliamo dell’Imu.
Andatevene a fanculo”. Implacabile, tranchant, capace di puntare allo scranno
più alto, ancora lui: “Vabbuò, Napolitano, tutto ‘sto discorso e non dici che
l’abolizione dell’Imu è una vaccata?”. Eccoli lì, sono gli stessi che ora
battono le mani per l’annunciata abolizione dell’Imu. Parliamo di due anni fa,
non di due secoli, si metta a verbale anche questo. Ma sì, lo so cosa si dirà:
solo gli imbecilli non cambiano mai idea. Ma tutti insieme? In coro? Tutti
nello stesso momento appena il capo schiocca le dita? Chiunque vede che in
questo modo la faccenda degli imbecilli e del cambiare idea muta un po’ di prospettiva.
La paura è di entrare nel cono d’ombra, di essere espulsi dal gotha del
renzismo, un po’ come quei funzionari nordcoreani che si distraggono e non
ridono alle battute del Caro Leader: puff, spariti nel nulla. (…).
Da “Gutgeld:
abolire l'Imu? Ingiusto e soprattutto sbagliato" di Marco Palombi, su
“il Fatto Quotidiano” del 22 di luglio 2015: Il problema di Matteo Renzi i e
dei suoi sodali è che sono troppo veloci. Uno s'è appena lasciato convincere da
una loro posizione che quelli già hanno cambiato idea. Prendiamo l'Imu. Adesso
dice il presidente del Consiglio che quella sulla prima casa va abolita e non
bisogna pagarla più. È l'inizio del grande piano di riduzione delle tasse (che
non esiste) annunciato a Expo sabato scorso. Sarà sicuramente vero, però così
la gente si confonde. Noi, per dire, fino a sabato eravamo fedeli alla linea
dettata dall'appena eletto segretario del Pd il 12 dicembre del 2013, mentre
Enrico Letta (#staisereno o "incapace", a seconda delle preferenze)
s'affannava proprio a abolire l'Imu sulla prima casa per tenere calmo Silvio
Berlusconi, all'epoca ancora azionista del governo delle larghe intese. Ecco la
dichiarazione apparsa sull'Ansa: "La politica ha fatto le bandierine con
l'Imu: l'Imu sulla prima casa costa a una famiglia 236 euro, che sono 20 euro
al mese, ma sono meno di quello che potremmo recuperare solo con l'efficienza
energetica. E stato uno specchietto per le allodole, per non discutere dei
problemi reali". È giusto un caso del destino che il nostro, all'epoca
anche sindaco di Firenze, stesse in quel momento visitando una mostra
fotografica della Fiom Cgil appena inaugurata nella sua città. Uno potrebbe
dire: è solo una frase dal sen fuggita, fuori dal contesto, eccetera. Può
essere, eppure anche lo stratega del piano taglia-tasse che non esiste - il
commissario alla spending review Yoram Gutgeld - aveva già messo a verbale la
sua contrarietà all'abolizione dell'Imu in una icastica intervista a Repubblica
del 30 agosto 2013, quando più complicata era la trattativa nel governo Letta
sull'abolizione della tassa sulla prima casa. Tagliarla a tutti, dichiarò il
deputato del Pd, "è una grande ingiustizia sociale e morale, un atto
sbagliato dal punto di vista economico e un grave errore politico".
Nientemeno. "Se davvero ci fossero quattro miliardi di risorse
rintracciate dall'Iva o dal gioco d'azzardo, io li metterei sui precari. E
invece noi che facciamo? Li diamo ai benestanti e ai ricchi". E mica
Gutgeld parlava solo per bontà d'animo o insaziabile sete di giustizia sociale.
No, no, c'è una precisa ragione economica: "Chi, come me, non pagherà
l'Imu avrà mille euro in più. Finiranno in banca e lì resteranno: ai benestanti
non cambia nulla. Se invece dessimo quei soldi a precari e disoccupati
andrebbero in consumi. Quindi economicamente è la scelta più sbagliata
possibile: produce meno sviluppo e meno Pil". Ecco, i renziani della prima
ora - i sansepolcristi del renzismo, per così dire - avevano imparato che non è
bene esultare perché non si paga l'Imu, anzi: abolirla a tutti è in sostanza
un'idea stupida e pure recessiva perché regala soldi ai ricchi che poi non li
spendono (nel senso che già hanno soldi da spendere per comprare ciò di cui
hanno bisogno e tutto il resto lo mettono in banca). Conclusione tragica: "Non
so se voterò il decreto nella parte sull'Imu". E adesso? E adesso niente,
pare che bisogna abolire l'Imu. Il capo l'ha annunciato coram populo
all'Assemblea nazionale del Pd e il suo uomo taglia-spese, già consulente in
materia economica, è impegnato febbrilmente nella messa a punto della
"rivoluzione copernicana" (così, umilmente, il premier). Dando per
scontato che stavolta Gutgeld voterà tutto senza particolari problemi, la
domanda è un'altra: ma quella faccenda che abolire l'Imu per tutti è stupido e
recessivo perché tanto i ricchi non spendono i soldi che gli lasciamo in tasca
è ancora valida?
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