"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 22 marzo 2015

Cronachebarbare. 33 “Le nostre vite senza ieri”.




“Untitled 5” di Luca Viapiana (2014). Oil, Acrylic on Thermal Paper applied on Canvas. Cm 69x68.  

Il sabato 18 di agosto dell’anno 2012 sul quotidiano la Repubblica appariva, nelle pagine della “Cultura”, un testo che portava per titolo “Quant'è crudele la crisi vista dalla provincia”. La lettura mi rivelava poi essere quel testo un estratto di un lavoro editoriale a firma di Edoardo Nesi pubblicato per l’editore Bompiani – “Le nostre vite senza ieri”, pagg. 160, € 16 –. Si era a quel tempo, che sembra perdersi lontano nelle ere geologiche, appena passati dai governi dell’uomo di Arcore al governo del “tecnico” Monti, per succedere poi il governo del Letta jr. per approdare infine al governo del “pifferaio”copyright di Eugenio Scalfari, suo estimatore a fasi lunari alterne – dell’oggi. Mi ha incoraggiato riprendere quel testo tutta una serie di ragioni. La prima delle quali è stata l’irresistibile ascesa, tra i “post più popolari” di questo blog, del post del 21 di febbraio ultimo che ha per titolo “L’Italia triste senza più vere passioni”, segno evidente che il tema affrontato ha i suoi estimatori. In un mondo rappresentato con estrema banalizzazione come popolato da un ben nutrito numero di “gufi” e di “rosiconi” non davo per certo che quel post riuscisse ad interessare i pochi malcapitati navigatori dell’immensa rete approdati sulle impervie, desolate spiagge del mio blog. Ma è accaduto. Buon segno.
È il segno evidente che, dopo venti anni di illusionismi di ogni sorta messi in atto dall’uomo di Arcore, e dopo i molteplici annunci di apparizioni di luci in fondo al tunnel di montiana memoria, e dopo ancora la rapida scomparsa dall’orizzonte della cometa del Letta jr. a seguito degli interni regolamenti dei conti di una parte politica, si disperava che argomenti di tal genere potessero ancora interessare alla gente normale, a meno che non si dia riduttivamente per scontato che questo blog sia improvvidamente visitato da tutti i “gufi” e da tutti i “rosiconi” in circolazione tanto invisi al “pifferaio” d’Arno. Ma una ragione in più per riproporre il testo di Edoardo Nesi sta proprio nel titolo del Suo lavoro editoriale - “Le nostre vite senza ieri” - e non tanto per il titolo che sul quotidiano la Repubblica era stato dato. Poiché quel titolo ha l’ambizione di proporre una “verità” che al tempo d’oggi sembra essere misconosciuta se non addirittura etichettata come una colpevole deviazione da un presente che deve essere la misura unica ed il parametro insostituibile entro i quali misurare l’umana esistenza. E così secondo la vulgata corrente il “ieri” non ha valore alcuno così come anche il “domani” dal quale lo sguardo deve essere distolto per misurarsi solo sull’oggi, per non valutarne appieno le conseguenze su chi sarà dopo di noi, gli esseri umani del tempo futuro. Ma questo aspetto del “fare” politico senza àncora alcuna con il passato - “ieri” - e senza una proiezione che sia sul “domani” è una caratteristica antropologica propria degli uomini della politica del bel paese che non era sfuggita di certo a quell’Ugo Ojetti (1871-1946) che conversando con il grande Indro Montanelli – che lo ha riportato in “Soltanto un giornalista” – ebbe a sostenere: (…). …il nostro è un Paese di contemporanei senza antenati né posteri. Cioè senza passato e senza futuro. (…). “Senza futuro”, per l’appunto. E questa contemporaneità senza legami con il passato e senza uno sguardo che sia rivolto al nostro futuro è una contemporaneità non delle più felici. Ha colto bene l’irrilevanza e la fatuità di questa contemporaneità senza un “ieri” e senza un “domani” che sia Daniela Ranieri in un Suo “bricolage” letterario - inteso alla maniera dell’antropologo Claude Lévi-Strauss, il quale definiva il “bricolage intellettuale” "un riflesso sul piano pratico dell'attività mitopoietica", ovvero di quell’abile attività dei politici e degli imbonitori in genere “consistente nel creare miti o considerare miticamente fatti, eventi ecc.” (Sabatini-Coletti) - apparso su “il Fatto Quotidiano” del 22 di luglio dell’anno 2014 – “Tra rivoluzione e palle in buca un premier innamorato degli spot” -: È la volta buona. L’Italia riparte. Andare a vedere le carte. A patto di non gettare la palla in tribuna. È l’ultima spiaggia. Il meglio deve ancora venire. Ci divertiremo insieme. Dobbiamo smetterla di piangerci addosso. Il risultato lo portiamo a casa. Le riforme non possono aspettare. Un partito che studia. Per i nostri figli e i nostri nipoti. Poche chiacchiere. Facciamo ripartire il treno. Togliamo il sasso dai binari. L’Italia può essere il locomotore d’Europa. Nessun piano B. Le riforme sono come il Pin del telefonino. Sblocchiamo la tastiera. Avanti tutta. Cambiare davvero. Settimana decisiva. Non c’è un minuto da perdere. Siamo i depositari della speranza. Non stiamo facendo le corse. Sarà una rivoluzione copernicana. È la svolta buona. Chiudiamo 30 anni di dibattiti. Non cadiamo nel derby ideologico. Mille giorni per cambiare l’Italia. Settimana chiave per le riforme. 54mila nuovi posti di lavoro. Stiamo facendo la rivoluzione del buon senso. Tornare sull’idealità. Ci vuole senso di responsabilità. Siamo in dirittura. Siamo a un bivio. Lavoriamo sodo. Ci hanno dato un’opportunità. Non andare a testa bassa sulle cose da fare. Se non cambiamo noi tradiamo noi stessi. Mare Nostrum non può essere solo nostrum. Dobbiamo cambiare le cose che abbiamo già detto che dobbiamo cambiare. Siamo la generazione Erasmus. Non chiediamo un giudizio sul passato ma vogliamo cominciare il futuro. Piaccia o meno ai frenatori. È importante regalare un sorriso. La gioia di una bevuta insieme . Ogni volto corrisponde a un voto ogni voto corrisponde a un volto. La Costituzione appartiene al popolo italiano. Portare un po’ di caldo. Non siamo qui per mettere le bandierine. Il PD non lascia agli altri la bandiera della libertà. È un derby tra rabbia e speranza. Mi gioco l’osso del collo. In 15 giorni si chiude. Ci metto la faccia. C’è un’identità da respirare insieme. Antonio Meucci è un uomo incredibile. Trasformare l’orgoglio in responsabilità. Non essere solo un puntino su Google maps. No alla palude. L’Italia non ha paura dei giudizi però io ho un po’ paura dei pregiudizi. Non si dorme la notte col 41%. Il futuro ha bisogno di noi. Il futuro è casa nostra. Ritroviamo l’anima dell’Europa. Se l’Europa oggi si facesse un selfie. La politica ha una sua dignità. Fuori c’è foschia. Oggi c’era il sole ma faceva freddo a Prato. Formazione politica ma anche serie tv americane. È un sogno. Vogliamo dare una chance al possibile e all’impossibile. C’è bisogno di ripartire. Io tutta la vita. Tocca a noi guidare la macchina. Riscoprirsi Telemaco. Non cambiare tutto ma cambiare tutti. Dare un’anima al riformismo. Un’Italia che sia leader e non follower. Non lasciare ma raddoppiare. Le cose giuste sono giuste. Abbassare i toni. Alzare le ambizioni. La scuola è la madre di tutte le battaglie. Il lavoro è la madre di tutte le battaglie. Lo stop alla burocrazia è la madre di tutte le battaglie. Noi più forti dei pagliacci. L’Europa deve tornare ad essere una frontiera. Ha vinto la speranza. Manderemo la palla in buca. Nessun rinvio. Non siamo schizofrenici. Il girotondo lascia sempre lì. Non tramo ma non tremo. Non è un punto d’arrivo ma di partenza. Non si vince per prendersi una rivincita. Prima c’erano falchi e colombe ora gufi e sciacalli. Lo dico a chi ci segue da casa. Non ho la bacchetta magica. Comanda chi ha i voti. Lotterò su ogni pallone. O lo metto in forcing o non tocco palla. Non c’è un problema Italia in Europa, c’è un problema Europa nel mondo. Le regole si scrivono insieme. Siete voi che ci fate vincere. Non ci sono più alibi. Non abbiamo più scuse. Ma siamo l’Italia, e ce la faremo. È il mantra dell’oggi. Mi si lasci passare la lunga divagazione e si ritorni al proponimento mio principale, ovvero la riproposizione del testo di Edoardo Nesi: (…). Noi che ogni mattina temiamo di dover ammettere che in tutta la sua storia l'Italia ha vissuto un unico momento di ricchezza più o meno condivisa, un breve quarantennio appena finito, insieme al Novecento. Noi che si vive come le lepri, con le orecchie basse, perpetuamente spaventati dai tagli che ci sono stati inflitti e dalla minaccia di quelli che verranno, gettati a capofitto in un'altra recessione mentre lo spread rimane alto, vittime dell'incubo che non esista una correlazione così diretta tra i nostri sacrifici e la risoluzione della crisi, perché non è noi che vogliono davvero far fuori, gli gnomi senza nome della grande finanza globale, ma quell'invenzione romantica e fallata che è l'euro, e con l'euro anche l'Europa. Noi che inseguiamo le nostre giornate assistendo allo sgretolarsi di un sistema industriale su cui facevamo affidamento per vivere degnamente le nostre vite. Noi che siamo chiamati a pagare sia i pochi debiti che abbiamo fatto, sia la montagna di debiti che hanno contratto altri. Noi che viviamo in un'Italia ferma, fiaccata sia dalla crisi sia dalle cure che avrebbero dovuto salvarla. Noi che ci rifiutiamo di vedere la crisi come un inevitabile flagello biblico, la punizione dell'empio, l'abbattersi del pugno d'un dio cattivo sui suoi immeritevoli fedeli. Noi che professori non siamo, ma davanti a una crisi totalmente nuova, nata da quella globalizzazione che ha chiuso le nostre fabbriche e condannato alla disoccupazione il 36% dei nostri figlioli, ci chiediamo se sia davvero necessario e inevitabile rispondere imbracciando ideologicamente le antiche ricette, o quelle liberiste o quelle keynesiane. Perché a noi ignoranti della provincia più profonda sembra impossibile salvare l'Italia solo e semplicemente tagliando con l'accetta la spesa pubblica per ridurre le tasse alle imprese, poiché chi di giorno è un piccolo imprenditore o un impiegato o un operaio, alle sei di sera ridiventa una cittadino, una persona, e ogni taglio indiscriminato allo stato sociale finisce per abbattersi anche su di lui, consigliandolo a minori consumi e a una vita di retroguardia. (…). E così a noi (…) non resta che metterci le mani nei capelli ogni volta che sentiamo i politici parlare a vanvera di crescita, e scuotere la testa ogni volta che leggiamo le lunari ricette per lo sviluppo di insigni economisti che vivono lontano dall'Italia, e del nostro sistema industriale mostrano di non aver mai capito nulla.. Perché anche il più piccolo degli imprenditori, anche il più modesto dei commercianti potrebbe spiegare a questi signori che la crescita non tornerà finché nel paese non si scioglierà la paura del futuro che attanaglia i cuori di tutti, finché non si diffonderà un'atmosfera respirabile. (…). Ci vorrà la politica, certo. Quella vera. Quella che sa costruire, e non solo tagliare. Quella che in Italia, forse, non abbiamo mai conosciuto. Ci vorrà forza e coraggio. Io sono ottimista. È da questa gente reale, concreta, che vive nei fatti la propria difficoltà d’esistere, che si contano le miglia e miglia di distanza dei parolai dell’oggi da essa, dei “pifferai” dell’inverosimile, degli illusionisti di sempre. Ha scritto Alberto Arbasino “In questo Stato. Il «caso Moro»: l'Italia in agitazione” - Garzanti Novecento, 214 pagg. € 11.00 ISBN 978881160080-0 -:“(…). …tutti quei nuovi modi di fare e d’essere e modi diversi di produrre o aggregare, interamente verbali e vocali e fonici e mortificanti per l’intelligenza e presi fintamente sul serio dai giornali e niente affatto svergognati benché fatti soltanto di ‘bla’, senza mai un ‘non diciamo cazzate’ da parte di chi riferisce o intervista o commenta”.

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