Da “Falso in
bilancio ora è impossibile” di Bruno Tinti, su “il Fatto Quotidiano” del 17
di gennaio 2015: Ma perché nessuno glielo dice Renzi che il suo ministro della Giustizia
di Giustizia non capisce niente? Ha senso assumersi orgogliosamente la
paternità degli inciuci? Per di più affrontando con superba faciloneria
questioni tecniche di cui sfuggono significato e conseguenze. Prendiamo
l’ultima schifezza, il falso in bilancio riveduto, corretto e rimasto tale
quale. Orlando e Renzi lo sanno cosa sono le soglie di punibilità e a che
servono? Evidentemente no, però – se hanno pazienza – leggendo qui lo possono
capire. Queste soglie nascono nel 1982, con i reati tributari: sono talmente
tanti che è impossibile celebrare tutti i processi. Attenzione, tutti i processi
per i reati che si scoprono; che sono una piccola parte (il 10 %) di quelli che
si commettono. Sicché si decide di alleggerire lo strumento penale: sarà
utilizzato solo per le evasioni più rilevanti quelle al di sopra di una certa
“soglia” (fissa, uguale per tutti, non percentuale); per quelle più piccole,
sotto la “soglia”, se ne occuperà l’Agenzia delle Entrate che oltre a
riscuotere le imposte dovute, irrogherà sanzioni amministrative, le multe. Il
sistema dunque sanziona tutta l’evasione fiscale (scoperta): parte con la
Giustizia penale e parte con quella amministrativa. Ma le “soglie
fantasiosamente immaginate dall’avv. Ghedini in Tribuna le a Milano, mentre
difendeva B. imputato di falso in bi lancio, respinte con perdite perché non
previste dalla legge, quindi introdotte con legge dallo stesso B., oggi
riproposte dal duo dinamico, semplicemente depenalizzano questo reato. In altre
parole se la posta falsificata è inferiore al 5 % del risultato di esercizio, o
all’ 1% del patrimonio netto, il bilancio è falso sì; ma è un falso lecito;
nessuna sanzione, penale o amministrativa è prevista. La cosa più assurda è che
tanto più è ricco il falsificatore, tanto più è elevato il falso; ma, purché
inferiore alle soglie, non costituisce reato. Invece un piccolo falsificatore,
che però superi le soglie lui sì che può essere condannato.
Orlando e Renzi non
lo sanno (ma Renzi dovrebbe, laureato in Legge, ha studiato Diritto penale) ma
stanno applicando a rovescio una vituperata teoria giuridica nazista: la colpa
d’autore (Tater schuld). Secondo questa teoria ciò che merita punizione non è
tanto il delitto ma il modo di essere di chi lo ha commesso: si punisce
qualcuno perché è molto cattivo indipendentemente dalla gravità del reato. (…).
Con le soglie previste da Orlando (e prima ancora e non a caso da B) succede
che, quanto più è ricca una persona, tanto meno è meritevole di pena. Sarebbe
da ridere se non ci fosse da piangere. La riforma copia carbone ha mantenuto la
procedibilità a querela: vuol dire che non si può procedere (tranne si tratti
di società quotate) anche per un falso gravissimo, se i soci della società o i
creditori non sporgono querela. I soci: avete mai visto un ladro che si
autodenuncia? I soci che non fanno parte del Consiglio di Amministrazione e che
nulla sanno della gestione della società; e i creditori: come fanno a sapere
che il bilancio è falso? Magari lo scoprono dopo un anno o due: con una
prescrizione di 7 anni e mezzo, meglio che risparmino i soldi dell’avvocato,
non ce la faranno mai. Soprattutto il falso in bilancio riformato (!) mantiene
la natura (inventata da Ghedini, lui sa benissimo ciò che fa) di reato di
danno: occorre, perché sia reato, che il falso abbia cagionato un danno ai soci
o ai creditori. Che siano danneggiati i soci che lo hanno fatto è da escludere:
il falso gli serviva per procurarsi un vantaggio: ottenere finanziamenti,
distribuire dividendi, pagare meno imposte. Restano i soci eventualmente
fregati e i creditori. Ma siamo sempre lì: chi glielo dice che il bilancio è
falso? E quando se ne accorgono? (…).
Da “Il
potere evocativo del falso in bilancio” di Alessandro De Nicola, sul
settimanale “Affari&Finanza” del 9 di marzo 2015: Il reato di falso in bilancio in
Italia ha un forte potere evocativo. Fu utilizzato a mani basse dalla
magistratura durante Tangentopoli per perseguire la corruzione (per accumulare
i soldi necessari a pagare mazzette si costituivano i famosi fondi neri, cioè
poste extracontabili) e nelle maglie dei pm finì anche Berlusconi il quale, a
un certo punto, sembrava collezionare avvisi di garanzia sul tema. Nel 2002 si
voltò pagina e il delitto diventò molto più difficilmente perseguibile: si
andava da una descrizione più restrittiva della fattispecie (solo le false
rappresentazioni “concretamente idonee” a ingannare furono rese punibili) alle
pene ridotte (e quindi trionfale intervento della prescrizione a favore degli
imputati). Non era finita. Si incise anche sulla soglia di tollerabilità, tale
che l’incriminazione era possibile solo per frodi contabili che incidessero per
più del 5% sul risultato d’esercizio o dell’1% sul patrimonio netto; e poi si
agì sull’avvio dell’azione penale che adesso poteva essere intrapresa solo
dietro querela e non più d’ufficio, salvo che per le società quotate. Qualche
piccolo inasprimento si ebbe nel 2005 a seguito dello scandalo Parma-lat, ma
nella sostanza fino ad oggi l’impianto normativo è rimasto quello. Ora il
governo vuole cambiare. Anche se in Parlamento potrà succedere di tutto, le
linee direttrici sono chiare. Prima di tutto appesantimento delle pene: da 1 a
5 anni di reclusione (oggi 2) per amministratori e manager di società di
capitali, da 3 a 8 se sono quotate. Poi eliminazione della soglia di punibilità
anche se il codice penale verrà modificato nel senso che i fatti di “speciale
tenuità” non saranno più sanzionabili penalmente. Inoltre, il delitto tornerà
ad essere perseguibile ex officio, senza bisogno dell’iniziativa dei soci.
Tutto bene? Avremo ad un legge penale come ci chiede l’Europa? Non proprio.
Rispetto agli altri paesi, la distonia principale risiede nella mancata
procedibilità d’ufficio per le società non quotate (con l’eccezione della
Spagna). Peraltro è anche vero che in mancanza di un danno concreto a soci o
creditori (…) o di una situazione di pubblico interesse come nel caso di
società i cui titoli sono negoziati su mercati regolamentati, l’iniziativa del
pm non è scontata. La truffa, vale a dire il reato da cui discende il falso in
bilancio, in assenza di circostanze aggravanti è punibile a querela e così
anche il furto. Diverso il discorso per le soglie di tollerabilità. Gli
ordinamenti stranieri, compresi i severi sistemi anglosassoni dove l’azione
penale non è obbligatoria, prevedono un concetto di materialità del reato per
poter sanzionare penalmente la frode di bilancio. Tuttavia, dal punto di vista
d’analisi economica, l’investitore medio, avverso al rischio e magari straniero,
se sa che gli amministratori italiani sono tranquilli che entro l’1% del
patrimonio netto non rischiano conseguenze penali se truccano i conti, alzerà
il costo del capitale di rischio: presterà a interessi più alti, comprerà a
prezzi più bassi o si terrà lontano dalle società italiane. Il dubbio sulla
reputazione di alcune imprese ricade su tutta l’imprenditoria italiana. Quindi,
il togliere questa anomalia è economicamente efficiente, visto che comunque
bisognerà pur sempre provare il dolo degli amministratori e la concreta
idoneità ingannatrice della falsità. Piuttosto, bisognerebbe liberarsi del mito
che tale idoneità la si debba misurare rispetto alla comprensione che può avere
il buon padre di famiglia. Ormai le regole contabili sono molto sofisticate e
solo chi ha un certo grado di preparazione può capire un bilancio societario,
perciò, per essere penalmente perseguibili, i trucchi dovrebbero essere
abbastanza sofisticati da gabbare l’esperto, non l’uomo medio. Quanto alle
pene, quelle proposte sono le più alte in Europa (…), mentre nel Regno Unito si
arriva a 7 anni di detenzione e nei draconiani Stati Uniti a 20. Ma è illusorio
pensare che sia l’arma del diritto penale a tenere puliti e trasparenti i
conti: é solo uno di molti elementi. (…). Insomma in Italia avremo un regime
piuttosto severo ma dal quale non dobbiamo aspettarci le svolte che la
politica, certi organi di stampa o alcuni magistrati sperano o fanno finta di
sperare.
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