“Did you mean Sling/Forse cercavi Sling" (2012) di Luca Viapiana. Oil, Acrylic on Thermal
Paper applied on Canvas. Cm 120x80.
“Quelliche…” provano a scalare le
impervie cime dell’umano pensiero, cime inesplorate e negate alla generalità
degli uomini; “quelliche…” come soggiogati dal mito di Sisifo – che condannato
a trasportare un enorme masso sulla cima del monte vedeva lo stesso masso rotolare
alla base del monte e per l'eternità avrebbe dovuto ricominciare da capo la sua
scalata senza mai riuscirci - provano e riprovano le impervie scalate e vedono miseramente
ruinare il loro debole pensare; “quelliche…” discettano su “destra/sinistra”,
ovvero di “destracontrosinistra”, o ancor di più della “sinistradidestra”
e/o della “sinistradisinistra”. Un delirio! Non un inerpicarsi su per le ardue,
alte cime dell’umano pensiero, ma un inabissarsi nello sprofondo ove seppellire
ciò che resta di una Storia che è stata grande ed alla quale gli gnomi dell’oggi
mal si rapportano. "Quelliche..." a dismisura provano, con chiassosa dialettica, a sproloquiare
su tutte le “sinistre” esistenti, e se non esistenti, immaginabili, una,
due, tre… Un’infinità di “sinistre”, frutto di un pensiero
paranoico come forma precipua di una “psicosi
caratterizzata dallo svilupparsi graduale di forme di delirio cronico, ma
lucido e coerente, non allucinatorio” (da Sabatini/Coletti). Un delirio,
per l’appunto! Ha toccato i vertici di quel delirio Marc Lazar allorquando nel
suo “Le
tre sinistre” – sul quotidiano la Repubblica del 25 di marzo 2015 – ha scritto:
(…).
Il partito moderno è quello del leader che si rivolge agli individui, grazie al
suo carisma e a tutti i moderni mezzi di comunicazione. Un leader forte, talora
decisionista, al limite dell’autoritarismo, capace se occorre di giocare una
carta populista per cercare di ridestare nei cittadini più diffidenti verso le
istituzioni e per i loro dirigenti il gusto della politica. In breve, una
sinistra che si adatti alle mutazioni di società più individualiste, e alle odierne
“democrazie del pubblico” — pur continuando a richiamarsi ad alcuni suoi valori
storici: l’uguaglianza — distinta però dall’egualitarismo — o la giustizia
sociale, per orientare la propria azione pubblica. (…). Non mancano di
certo nell’armamentario teorico di Marc Lazar i riferimenti storici ai quali riferirsi
allorquando viene ad auspicare l’avvento
di un “partito moderno” che abbia a capo un “leader che si rivolge agli
individui”. Nel turbinoso procedere della Storia è folta la schiera di
quei leader che affacciati da un balcone si siano rivolti “agli individui”
osannanti, catturare popoli interi “grazie al carisma” utilizzando
tutti “i moderni mezzi di comunicazione”, un tempo alquanto limitati,
oggigiorno invasivi oltre ogni misura. E la voglia di “un leader forte, talora
decisionista, al limite dell’autoritarismo” ha segnato la Storia del
secolo ventesimo, una Storia delittuosa, orrenda, tanto che ancor oggi se ne
contano le ferite non risanate. Poiché il richiamo e l’invocazione di un “leader
che si rivolge agli individui” rappresenta la scorciatoia affinché la necessaria
dialettica, che deve stare al fondo della problematica sociale nelle moderne democrazie,
sia quanto più semplificata se non annullata nella sua complessità a parole d’ordine
che ne snaturino l’essenza e la portata. È evidente allora come si preconizzino,
in questo inutile discettare sulle tante “sinistre” possibili, l’evolversi
dei gruppi umani in quelle “società più individualiste” che un
tempo “quellichelasinistra” avrebbero indefessamente e caparbiamente combattuto.
Ed invece quello sproloquiare è un abbassare la guardia, è un arrendersi ad un
mondo che abbia a metter conto, consapevolmente, sempre di più disuguaglianze
ed ingiustizie. Che senso ha oggigiorno parlare di tutte le “sinistre”
possibili o esistenti ma senza vocazione alcuna, quando è proprio nel bel mezzo
del mondo occidentale che le sproporzioni di ricchezza, di reddito, di
opportunità di ascesa sociale, si sono fatte così stridenti tanto da mettere in
forse, o annullando addirittura, tutte le conquiste che quella che è stata la “sinistra”
di un tempo, tempo che oggigiorno si dichiara tramontato, era riuscita a conseguire
dai tempi dickensiani dei primordi del capitalismo? Non è proprio un discettare
su “destra/sinistra”,
su “sinistradidestra”
o “sinistradisinistra”:
è in gioco una posta più alta, la democrazia. A meno che non si voglia
introdurre un concetto nuovo ed inesplorato di democrazia, concetto nuovo al
quale le volitive menti della politica stanno laboriosamente lavorando. È a questo punto che tutti i veli cadranno attorno
allo sproloquiare sulle “sinistre” dell’oggi, a mostrarci la
miseria umana oltreché materiale che i tempi a venire preparano per quel 99%
soggiogato dall’arrendevolezza di una politica senza anima. A buona ragione l’intervista
di Berna Gonzalez Harbour al filosofo bulgaro Tzvetan Todorv – pubblicata sul quotidiano la
Repubblica del 27 di dicembre dell’anno 2014 – ha per titolo “Democrazia significa resistenza”. Sostiene
il grande filosofo: (…). "Quando diciamo valore, non significa
che tutti lo rispettino, è più un ideale che una realtà, un orizzonte verso il
quale siamo diretti", (…). Vale ancora il suo inventario dei valori? La
libertà dell'individuo, per esempio? "La nostra democrazia
liberale ha lasciato che l'economia non dipenda da alcun potere, che sia
diretta solo dalle leggi del mercato, senza alcuna restrizione delle azioni
degli individui e per questo la comunità soffre. L'economia è diventata
indipendente e ribelle a qualsiasi potere politico, e la libertà che
acquisiscono i più potenti è diventata la mancanza di libertà dei meno potenti.
Il bene comune non è più difeso né tutelato, né se ne pretende il livello
minimo indispensabile per la comunità. E la volpe libera nel pollaio priva
della libertà le galline". Oggi, quindi, l'individuo è più debole. Quale
libertà gli rimane, allora? "Paradossalmente è più debole, sì, perché i
più potenti hanno di più, ma sono un piccolo gruppo, mentre la popolazione si
impoverisce e la disuguaglianza è aumentata vertiginosamente. E gli individui
poveri non sono liberi. Quando non è possibile trovare il modo di curare la tua
malattia, quando non puoi vivere nella casa che avevi, perché non la puoi
pagare, non sei più libero. Non puoi esercitare la libertà se non hai potere, e
allora diventa solo una parola scritta sulla carta ". Eppure,
l'uguaglianza è un valore fondativo delle nostre democrazie. Abbiamo bisogno di
un nuovo contratto sociale? "Se non si può rispettare, un contratto
sociale non è una gran cosa. L'idea di uguaglianza è ancora presente alla base
delle nostre leggi, ma non sempre viene rispettata. Il tuo voto conta quanto il
mio ma l'obiettivo della democrazia non è il livellamento, quanto piuttosto
offrire lo stesso punto di partenza a tutti in quanto uguali davanti alla
legge, perché i soldi non comprano la legge. Ma questo principio non si
rispetta. Guardate quello che hanno appena approvato i legislatori degli Stati
Uniti: hanno moltiplicato per dieci i soldi che possono spendere per una
campagna elettorale. Chi non ha soldi non potrà godere della libertà supplementare
di spendere riservata a quelli che ce li hanno. È questo pericolo di una
libertà eccessiva di pochi che impedisce l'uguaglianza di tutti". Quando i
diritti diventano una realtà formale, che cosa ci rimane? "Ci rimane la
possibilità di protestare, di rivolgerci alla giustizia. Non bisogna cambiare i
principi, perché sono già scritti, ma abbiamo visto che ci sono molti modi per
schivarli ed è necessario che il potere politico non capitoli di fronte alla
potenza di quegli individui che infrangono il contratto sociale a loro favore.
L'idea di resistenza mi sembra fondamentale nella vita democratica. Bisogna
essere vigilanti, la stampa deve svolgere un ruolo sempre più importante nel
denunciare le violazioni dei partiti, bisogna che la gente possa intervenire,
ma so che questo richiede di essere sufficientemente vigilanti, coraggiosi e
attivi ". (…). Quale sarà l'Europa dopo la crisi? "Non
so se la crisi finirà, sappiamo che le economie non obbediscono a spinte
razionali, ci sono spinte di passione o di follia, spinte che sfidano tutti i
pronostici, forse scomparirà nel 2015, o forse mai, o potremmo restarci dentro
per altri dieci anni". Ecco, non c’è stata “Resistenza”. Poiché “La mutazione genetica a sinistra” –
titolo della riflessione di Franco Armino pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del
12 di marzo 2015 ultimo, che di seguito trascrivo in parte – ha prodotto gli
gnomi dell’oggi, ha cancellato gli orizzonti, i temi ed i pensieri e le parole che
erano propri solamente di “quellichelasinsitra”: (…). La
sinistra non può stare al mondo accettando questo mondo. Non si tratta solo di
battersi per i deboli, non si tratta solo di eliminare le ingiustizie, principi
comunque già ampiamente disattesi. La questione è il futuro di tutte le
creature della terra. La sinistra ha senso solo se incrocia democrazia locale e
dimensione planetaria. Ma la meta non può essere la crescita, la meta è
decentrarci, abitare il pianeta sapendo che si tratta di un piccolo condominio
che dobbiamo spartire con gli alberi e gli animali. La sinistra per vivere ha
bisogno di capire la natura teologica di molti nostri problemi di oggi e deve
insegnare agli uomini che il mondo non si cambia col potere. Il mondo si cambia
standoci dentro con attenzione, ognuno nei suoi luoghi o nei luoghi che ha
scelto di abitare. Una nuova alleanza tra gli esseri e le cose, un intreccio
continuo di poesia e passione civile. (…). La sinistra non può che essere un
nuovo umanesimo. (…). Il lavoro non può essere un motivo per distruggere la
natura. Dobbiamo fare altro: dobbiamo fermarci, diventare gentili, clementi,
attenti. Non si può uscire dal capitalismo col comunismo del Novecento, con
tutte le sue nobiltà e le sue miserie, questo è l’amaro verdetto che abbiamo
davanti. Un mondo è morto e l’altro ci sta uccidendo. Però la storia non è
finita. Oggi ci può essere una nuova, straordinaria militanza al servizio non
solo dei nostri egoismi umani, ma di tutte le creature del pianeta. (…).
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