"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 19 marzo 2015

Cosecosì. 93 “Forza Italia!”.



Ha scritto oggi sul quotidiano la Repubblica – “I peccati di famiglia” – Francesco Merlo: (…). Il metodo Alfano, che adesso Lupi sta sperimentando, è quello del ministro dimezzato ma salvato, del “calati juncu ca passa la china”, impresentabile ma blindato anche alle mozioni di sfiducia. Persino Crozza (…) ha ricordato a Renzi che per molto meno si scagliò contro Annamaria Cancellieri. I peccati della famiglia Mastella fecero cadere il governo Prodi. La signora Idem fu cacciata da Enrico Letta per una Ici elusa. Adesso invece Renzi sembra la parodia di Forlani, fa sapere fuori scena di volere cacciare Lupi, ma in scena tace e intanto il fido Graziano Del Rio prende tempo, “stiamo valutando”, “il ministro ci sta pensando”… È forlanismo senza curialità, mancanza di coraggio, una sostanziale difesa dell’impunito costruita però sull’imbarazzo. Prima o poi anche loro capiranno che ministri e governi dimezzati impongono un gusto e un’ideologia da mezze porzioni politiche che rinviano alle mezze maniche, alla mezze calzette, ai mezzi uomini di Sciascia. È la cronaca politica del malaffare, sempre la stessa, che non smuove nulla, che ha mitridatizzato un popolo tutto, popolo bue che rimane indifferente alle sempre più grosse porcherie compiute nel mondo della politica.
Come sia possibile tutto ciò? Seduto di fronte al mio computer a vergare queste poche righe, senza che un briciolo di rabbia mi assalga, tanto l’instancabile ripetersi dei misfatti della politica mi ha reso, se non indifferente, un rassegnato sopportatore di ogni misfatto e lordura, invoco in po’ di ilarità e di levità per non affogare in questa pozza maleodorante. E con un estremo sforzo provo a ricercare una risposta e a dare un significato alla domanda del “come sia possibile tutto ciò”. Ricordo bene che, ad un certo punto del suo splendido volume “Cerimonie”, Michele Serra scrive: (…). Questo paese pullula da sempre di spiriti liberi che praticano nella più facile indisciplina le loro personali secessioni da questo e quel potere, che modificano statuti e convenzioni solo nello scenario platonico del loro “carattere”. Nella sua esilarante ed essenziale prosa Serra coglie compiutamente  il carattere, lo spirito, che domina il “vivere all’italiana”, e lo coglie molto meglio di tutte le più paludate, scientifiche indagini sociologiche alle quali sfuggono, per così dire, gli spiriti elementari dell’essere italiani oggi e da sempre. Alla memoria dei pochi che leggeranno questo scritto non farà di certo mancanza una storia tutta italiana risalente all’incirca, ed in questo caso la precisione delle date mi risulta impossibile da rispettare, agli anni settanta-ottanta del passato millennio. In quel tempo, che è meglio lasciare indefinito per avvolgerlo quasi in un alone di magia, di mistero, un attento legislatore pensò bene di decretare per il Paese un obbligo nuovo e di tutto rispetto; si decretò allora l’obbligo di apporre sul posteriore - o dio! - forse sarebbe meglio dire, per evitare evidenti confusioni, sul retro delle automobili del Paese un disco, un semplice disco plastificato, recante il limite massimo di velocità che quel tale o tal’altro automezzo avrebbero dovuto rispettare per la incolumità dei trasportati ma anche, lodevole e socialmente rilevante intenzione questa se ci fosse stata all’atto delle decretazione, l’incolumità di tutti coloro che avrebbero avuto la ventura, o sventura, di intralciare o incrociare in qualche modo il procedere dei mezzi stessi. Ora non ricordo più su quali basi, sicuramente di alta ed indiscussa scientificità, il decretatore di turno stabilisse il limite massimo di velocità consentita alle automobili del Paese, non ricordo proprio se il limite massimo fosse stabilito per le dimensioni del veicolo, per il colore dello stesso, per le risorse economico-finanziarie del suo proprietario o quant’altro ancora; sta di fatto che tutti gli italiani di allora accorsero pronti nei pubblici esercizi deputati alla bisogna per acquistare il prezioso pezzetto di plastica da apporre sul retro della propria vettura. Era di certo una scelta epocale e di civiltà, un modo per porsi quelle regole che in tutti i paesi che si rispettano, rispettano senza il bisogno di visualizzazioni di sorta. Ma la cosa più straordinaria, e che al solo ripensarci mi suscita un irrefrenabile riso anche a distanza di tanti lustri, fu che una moltitudine di cittadini italiani non si limitarono ad apporre un solo disco, rispondente alle caratteristiche proprie del mezzo, alle superbe capacità di pilotaggio del conducente o che so io, ma era frequente tallonare automobili con più di un disco, con stampigliate velocità diverse da rispettare, la qualcosa forse spinse i più a non avere in cura quanto il decretatore avesse in animo di conseguire per cui, con tutti i bolli di limitazione apposti, i limiti massimi di velocità erano, come da sempre nel Paese, rimessi alla discrezionalità dell’imbattibile conducente-pilota. E così anche questa storia tutta italiana di malgoverno di chi è preposto allo scopo e di malcostume di un intero Paese si perde nella memoria dei tempi, poiché ancora oggi non mi sovviene con quale decretazione successiva si sia eliminato quello sciocco obbligo, che obbligo non fu, in quanto disatteso bellamente da tutta la generalità dei piloti di automobili del bel Paese. E venendo all’oggi ed alle sventure di questo stralunato Paese che detesta e persegue sempre le persone sbagliate, lasciando invece in assoluta libertà e tranquillità i furbi di qualsiasi risma, ceto, fortune, responsabilità sociali e politiche, escogitando leggi e regolamenti delle quali il contorto contenuto consente sempre ai furbi di farla franca, torna comodo ritornare alla prosa meravigliosa di Michele Serra che da acuto ed attento osservatore dei vizi incontrollabili, immodificabili ed incancellabili del Paese continua a scrivere : Di questi caratteristi è pieno ogni bar e ogni rione d’Italia, dove da sempre nessuno è disposto a “farsi fregare” da una qualsiasi costruzione normativa o culturale o ideale, e pare vile e debole acconciarsi a un qualche ordine. Gli italiani hanno quasi tutti facce da fuggiaschi. I loro sguardi intelligenti, la loro complice mimica paiono vibrare di un lunghissimo scampato pericolo, braccati per generazioni da ogni sorta di autorità e sempre imboscati. Logico che questa sola qualità largamente nazionale – sottrarsi a tutto – sia divenuta ragione di ostinata identità. E il peggio è che questo vizio atavico è in odore di virtù: lo si capisce dai sorrisi che si scambiano, gli italiani, quando si riconoscono nelle rispettive incapacità di compromettersi fino in fondo con un sistema di pensiero appena più complicato e arduo del loro così spontaneo adeguarsi alla vita. Sempre pronti a promuovere questa speciale inettitudine al rango nobile della ribellione come se avessero sperimentato fino in fondo, e quindi ripudiato, quei rischi intellettuali che invece non si sono mai sognati di affrontare. (…).Ha scritto Gian Carlo Caselli il 24 di febbraio ultimo scorso su “il Fatto Quotidiano” – “Le parole del Papa e i politici sordi” -: (…). Nei tantissimi interventi di papa Francesco in tema di corruzione abbondano le parole chiare ma dure, spesso spietate. I corrotti sono “putredine verniciata, devoti delle dea tangente”. Corruzione è “non guadagnare il pane con dignità” e ai figli dei corrotti tocca “ricevere come pasto dal loro padre sporcizia”. Dopo la tratta delle persone il delitto più grave è proprio la corruzione, “cancro sociale profondamente radicato nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni; una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie, negli appalti pubblici, in ogni negoziazione che coinvolga agenti dello Stato”. Parlare di “pratica abituale” è riconoscere che la corruzione non è riconducibile ad un circolo delimitato per quanto esteso, ma è sempre più un vero e proprio sistema. Sul piano legislativo significa che occorrono regole rigorose, non confuse e annacquate, che riescano a rendere la corruzione non conveniente. Sia per la definizione delle fattispecie penali, sia per la certezza della pena e le sanzioni. Queste secondo papa Bergoglio sono “come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare”. Va poi contrastata “qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o per quelle di terzi”. (…). Illuminanti le parole del Papa sulle nefaste conseguenze delle “cricche della corruzione, che con la politica quotidiana del ‘do ut des’, dove tutto è affari, producono ingiustizie che causano sofferenza” alle persone. Il corrotto, mentre con una mano finge di dare, “con l’altra ruba allo Stato e ai poveri”. Chi paga per questo? “Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione”. Il Papa ci ammonisce. La povertà cresce in misura esponenziale. Colpa della crisi economica, ma un ruolo decisivo ha pure l’illegalità, che con la crisi interagisce in un circolo vizioso di reciproca incentivazione. L’illegalità economica in tutte le sue declinazioni – corruzione, mafia, evasione fiscale – non è soltanto violazione di norme di legge e precetti morali (non rubare!) ma anche devastante impoverimento della collettività. (…). Dice ancora il Papa: “Preghiamo tutti quanti per avere la forza di continuare a lottare contro la corruzione. E questo deve partire da dentro, dalle coscienze, in modo da risanare i comportamenti, le scelte, il tessuto sociale. Così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi e prenda il posto dell’iniquità”. L’autorevolezza e credibilità di Papa Francesco possono trasformare le sue esortazioni in vere attitudini civili e cristiane. I politici, quanto meno quei tanti che hanno assistito alla sua messa un anno fa, potrebbero cominciare con un po’ di “bonifica” al loro interno. Quanto meno facendo tesoro anche qui delle parole (persino generose) del Papa, secondo cui “il corrotto non percepisce la sua corruzione, proprio come succede con chi ha l’alito cattivo: sono gli altri a doverglielo dire”. Dunque, che i politici trovino la forza per dire ai loro colleghi in odore (o peggio) di corruzione, che hanno l’alito cattivo. E devono farsi da parte. A quella messa del 27 di marzo dell’anno 2014, in San Pietro, hanno partecipato, devotamente ed in prima fila, i protagonisti delle malefatte di questi giorni.

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