Da “La
chiarezza che manca sul pasticcio del 3%” di Stefano Passigli, su il
“Corriere della sera” del 15 di gennaio 2015: Caro direttore, per meglio
valutare la decisione del governo di depenalizzare qualsiasi evasione fiscale
che resti nei limiti del 3% del reddito imponibile è opportuno considerare
innanzitutto due aspetti. In primo luogo, occorre ricordare che la normativa
vigente già configura l’esistenza di un reato solo se le imposte evase superano
i 50 mila euro. La non rilevanza penale di evasioni fino al 3% dell’imponibile
potrebbe invece coprire redditi ben più elevati dell’attuale soglia di
1.667.000 euro ed evasioni ben superiori a 50 mila euro. Depenalizzare in
questo modo l’evasione non avrebbe l’effetto di tutelare chi fosse
involontariamente caduto in errori o di rendere più «umano» il Fisco nei
confronti dei piccoli evasori, ma quello di impedire il ricorso alla sanzione
penale in molti casi di evasione da parte di contribuenti con redditi anche
elevati o di ingenti violazioni Iva da parte delle imprese. Una decisione che
va in direzione opposta a quella adottata dal Fisco degli Usa o dei maggiori
Paesi europei. L’obiettivo del governo di rendere più agile il rapporto tra
cittadini e Fisco è giusto, ma la misura adottata è inadeguata. Non deve dunque
sorprendere che sia il presidente della Commissione cui il governo aveva
affidato la formulazione dei provvedimenti attuativi della delega (il professor
Gallo, già presidente della Corte costituzionale e ministro delle Finanze del
governo Ciampi), sia i dirigenti del ministero direttamente competente in
materia, abbiano dichiarato di non essere stati all’origine del provvedimento.
Una misura errata può essere introdotta in un provvedimento normativo per
errore. E non mancano gli esempi in proposito. Ma nel caso in questione è
difficile crederlo. La massima parte dei cittadini ignora che in base ai
regolamenti vigenti le riunioni del Consiglio dei ministri sono precedute da un
pre Consiglio ove i vari uffici legislativi dei ministeri esaminano, sotto la
supervisione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio e del capo del
dipartimento Affari giuridici e legislativi, i provvedimenti all’ordine del
giorno del Consiglio dei ministri. I partecipanti rappresentano il meglio
dell’esperienza e della cultura giuridica presenti nella nostra Pubblica
amministrazione, e provengono in larga parte dal Consiglio di Stato o dalla
Corte dei conti. È impensabile che essi possano non aver compreso il reale
portato dell’art. 19 bis del Decreto se il testo della misura fosse stato
effettivamente sottoposto al loro esame. Purtroppo, troppo spesso anche il
Consiglio dei ministri approva solo le linee generali di provvedimenti ancora
in fieri , che vengono poi formulati puntualmente in un secondo tempo. È
presumibile che questo sia ciò che è avvenuto. Ma se così è, è opportuno che il
presidente Renzi non si limiti ad annunciare che la misura sarà rivista e che
nel frattempo non entrerà in vigore, ma assicuri che essa verrà ritirata o
radicalmente modificata. È insomma necessario e politicamente auspicabile —
specie alla vigilia delle delicate scadenze istituzionali e legislative che
attendono le Camere — che l’errore venga non solo riconosciuto ma eliminato, e
che non si cerchi di difendere la misura con argomenti speciosi, come qualcuno
ha tentato di fare danneggiando il governo anziché aiutarlo. Non si deve essere
più realisti del re; e il re, nella persona del capo del governo, si è già
pronunciato indicando che gli effetti negativi saranno rimossi. I problemi del
sistema fiscale italiano non si risolvono varando misure errate che possono
tradursi in un vantaggio per i grandi evasori, ma rendendo più equa la
distribuzione del carico fiscale. Deve essere quest’ultimo il vero obiettivo
dell’attuazione della delega.
Da “La buccia del Banana” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 6 di gennaio 2015: (…). …ma vogliamo usare la logica? Il governo depenalizza scientemente, consapevolmente, alla luce del sole la frode fiscale sotto il 3% dell’imponibile dichiarato. Chi vi viene in mente, alle parole “frode fiscale”, con tutto quel che è accaduto a terremotare la politica italiana nell’ultimo anno e mezzo? Silvio Berlusconi, naturalmente, che per una condanna per frode fiscale è decaduto da senatore, è divenuto ineleggibile e interdetto dai pubblici uffici, ha mollato le larghe intese e il governo Letta, ha subìto la scissione dell’Ncd, è finito ai servizi sociali ad assistere i vecchietti a Cesano Boscone, ha tempestato Quirinale, governo, Parlamento, giornali, tv, Consulta e Corti europee per riavere l’“agibilità politica”. Possibile mai che, cambiando le regole della frode fiscale, nessuno si sia chiesto che ne sarebbe stato della condanna di B.? Chiunque abbia una laurea in Legge o in Economia (dove si studia il Codice penale, che già all’art. 2 prevede la revoca delle condanne per un reato che non c’è più) sa benissimo che, quando si depenalizza un reato, le relative condanne vengono cancellate. Ora, Renzi risulta laureato in Legge e Padoan in Economia (Orlando in nulla , però ha dato qualche esame di Giurisprudenza): possibile che non lo sapessero? E il battaglione dei loro consiglieri giuridici che ci sta a fare: la birra? Nella migliore delle ipotesi, siamo governati da dilettanti, anzi da ignoranti allo sbaraglio. (…). Prendiamo sul serio le parole di Renzi al Tg5: “Se qualcuno immagina chissà quale scambio, non c’è problema: ci fermiamo. Questa norma la rimanderemo in Parlamento solo dopo l’elezione del Quirinale e dopo che Berlusconi avrà completato il suo periodo a Cesano Boscone, e dimostreremo che non c’è nessun inciucio strano”. Delle due l’una. O la norma non è stata fatta per B. anche se salva B. – come giura Renzi, appellandosi all’eterogenesi dei fini – e allora non si capisce che c’entrino l’elezione del nuovo capo dello Stato e, a maggior ragione, la fine dei servizi sociali di B.; ergo abbiamo un governo di cialtroni. Oppure è stata fatta per B. (o anche per B.), e dunque attendere le due scadenze che lo riguardano ha un senso; ma allora abbiamo un governo di bugiardi. In ogni caso, siamo in buone mani. (…). Sempre a proposito di logica, tutto il decreto fiscale (non solo il famigerato 19 bis) è improntato alla più selvaggia depenalizzazione delle evasioni e delle frodi. Con una mano il governo aumenta alcune sanzioni penali e amministrative, per fingere la faccia feroce; ma con l’altra fa in modo che non venga condannato quasi più nessuno col trucchetto delle soglie di non punibilità, aggiunte ai reati che non le prevedevano e alzandole a quelle che già le avevano. È il sistema-droga: chi evade o froda in modica quantità (si fa per dire) non finisce più sotto processo. La sintesi di Luigi Ferrarella sul Corriere è implacabile: il decreto rende non punibili “la dichiarazione infedele fino a 150 mila euro, l’omessa dichiarazione fraudolenta mediante artifici fino a 30 mila euro di imposta evasa e 1,5 milioni di imponibile sottratto al fisco o 5% di elementi attivi indicati, e la dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti fino a 1.000 euro l’anno”. Un gigantesco, immondo condono fiscale che salva dal processo e dalla condanna quasi tutti gli evasori e i frodatori, anche quelli grandi, accontentandosi – quando va bene – di incassare le tasse che non hanno pagato (sai che sforzo: evadi tutta la vita e, la volta che vieni beccato, rinunci a qualche briciola del bottino, sempreché l’amministrazione finanziaria più inefficiente del mondo riesca a sfilartela). Nessuno, diversamente che per il 19-bis SalvaSilvio, può dire di non averlo saputo. (…). Quanti cattivi pensieri ci tocca scacciare. Compreso l’ultimo, l’estremo: che Dio ci conservi B. Senza di lui, il decreto porcata sarebbe già legge. E nessuno, a parte noi piccoli gufi, avrebbe detto una parola.
Da “Decreto
fiscale al 3% speriamo in Mattarella” di Bruno Tinti, su “il Fatto
Quotidiano” del 6 di febbraio 2015: (…). 1 - “Nulla di strano in questa norma;
ce n’è una uguale in Francia, addirittura con la soglia del 10%”. Vero. Ma ad
essa si affianca una soglia fissa di 153 euro. Un’evasione superiore a questo
ammontare costituisce reato. Inoltre un cosa sbagliata non diventa giusta
perché commessa anche da altri. 2 - “Nessuna pietà per chi froda la legge ma
non si devono criminalizzare i comportamenti in buona fede”. Detta in termini tecnici
occorre il dolo: la condotta deve essere stata realizzata con la coscienza
della sua illiceità penale. I delitti previsti dalla legge penale tributaria,
in quanto delitti, richiedono la sussistenza del dolo: se questo non è provato,
l’imputato deve essere assolto con la formula “il fatto non costituisce reato”.
Il dolo va accertato caso per caso dal giudice, non si può stabilire a priori
che sotto un certo ammontare di evasione il dolo non c’è e sopra sì. Con una
soglia quale quella inventata da Renzi&C, si arriverebbe all’assurdo che,
per lo stesso ammontare di evasione, un contribuente che superasse di 1.000
euro il 3% rispetto al suo reddito sarebbe colpevole; e uno che non lo
superasse per 1.000 euro sarebbe innocente. 3 - Proprio questa considerazione
rivela la flagrante violazione dell’art. 3 della Costituzione. Una soglia che
dipende dalle qualità personali del cittadino (più ricco - meno ricco) non
rispetta l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza
distinzioni di... condizioni personali e sociali. 4 - È per questo motivo che
le soglie previste dalla vigente legge (…) sono oggettive, legate all’entità
dell’evasione e dunque uguali per tutti. La soglia proporzionale, ancorata
all’ammontare degli elementi attivi (il fatturato) sottratti all’imposizione,
contiene in sé le caratteristiche dell’oggettività poiché, per tutti i
cittadini, il profitto conseguente all’evasione dipende dagli elementi passivi
sopportati. Anche in questo caso dunque la soglia, ancorché proporzionale, è
oggettiva. Esistono comunque due soglie fisse, costituite dall’ammontare
dell’imposta evasa (50.000 euro) e dal limite insuperabile di 1 milione di euro
(per la dichiarazione infedele) ; per la frode, la soglia è 30.000 euro. 5 -
“Prevederemo una soglia proporzionale e una soglia fissa”; entrambe ancorate al
reddito, si suppone. Della irrazionalità e incostituzionalità della prima si è
già detto. Quanto alla seconda, essa si sovrapporrebbe alla soglia esistente
costituita dall’ammontare dell'imposta evasa. E, considerate le intenzioni
manifestate da Renzi&C, sarebbe enormemente più elevata. Che se ne farebbe
B di una soglia di 100.000 o anche 1 milione di euro? A parte l’indecenza di
proclamare che un’evasione per simili importi sia penalmente irrilevante. Tutto
ciò considerato, sono ineludibili due domande. A - Quale può essere lo scopo di
una norma del genere in un Paese in cui l’evasione fiscale è elevatissima e nel
quale il provento di essa costituisce la principale fonte di approvvigionamento
della corruzione? B - Come si può sperare che il neo eletto Presidente della
Repubblica, Giudice Costituzionale fino a ieri, possa apporre la sua firma su
una legge siffatta?
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