Carissimo professor Pelaggi Antonio Pasquale, detto
affettuosamente Ninì nei già trascorsi nostri anni verdi, osservo come, pur
provenienti tu ed io da percorsi politici diversi, si sia giunti a concordare
su di alcuni aspetti fondamentali del nostro vivere. Come non condividere la tua
analisi laddove scrivi, nella tua lunga, interessante, stimolante e-mail - “La catastrofe italiana ed i veri scopi
dell’elite capitalistica” - che vi “è una lucida strategia pianificata delle
lobby della grande finanza e dell’industria. Ovvero dell’elite capitalistica
internazionale e dell’imperialismo “atlantico” anglo-americano che mirano a
riorganizzare il sistema capitalistico in tutta l’Europa ed a ridefinire gli
equilibri continentali, con almeno tre importanti obiettivi:il primo è ridurre
il costo del lavoro con lo smantellamento del sistema dei diritti dei lavoratori,
per creare una riserva illimitata di precari e di disoccupati a cui attingere
all’occorrenza a bassi costi di esercizio. È e resta la mia bislacca ideuzza
di fondo: si vuole aggredire il mondo del lavoro affinché si pervenga, su scala
planetaria, ad un livellamento in basso del tenore di vita degli appartenenti a
quello che è stato definito il “ceto medio”, ovvero contenere e ridisegnare
quel livello faticosamente conquistato con le lotte sin dagli albori della
industrializzazione.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
venerdì 31 ottobre 2014
giovedì 30 ottobre 2014
Storiedallitalia. 65 “Carta vince, carta perde”.
Ha scritto Stefano Feltri su “il Fatto Quotidiano”
del 16 di ottobre ultimo – “Carta vince,
carta perde” -: Evviva, evviva: Matteo Renzi sfascia l’austerità, taglia le tasse di 18
miliardi, regala soldi alle imprese, infila la liquidazione in busta paga ai
dipendenti, conferma gli 80 euro, favorisce le assunzioni, c’è perfino qualcosa
per le partita Iva. Tutti felici e tutti grati al premier e al Pd: un utile
consenso, casomai arrivassero presto le elezioni. È che di quel gioco
della “carta vince, carta perde” ne ho un tenerissimo ricordo
d’infanzia. È che, ogni qual volta si giungesse nella stazione di Piazza
Garibaldi sotto al Vesuvio dormiente, l’immancabile spettacolino del
tavolinetto traballante e dei tre figuri attorno ad esso disposti
immancabilmente attirava, calamitava quasi, e non esisteva forza superiore che
spingesse ad andare oltre. I tre figuri erano i degni “compari” di una messa in
scena, di una sublime rappresentazione che riservava sempre cose nuove ed
invenzioni tanto da poter gareggiare in bravura con i migliori attori
dell’avanspettacolo, se non della migliore commedia dell’arte. Insomma,
un’avventura imperdibile per i viaggiatori appena scesi dal treno.
venerdì 24 ottobre 2014
Storiedallitalia. 64 "Renzi getta via i diritti come mele marce".
Questa è una “storia” di diritti antichi. Questa è
una “storia” di diritti che oggigiorno si vogliono annullare. E questa “storia”
non può non avere come inizio che una stentorea affermazione dell’arrembante
primo ministro: “Per la nuova generazione la bandiera rossa è il simbolo della Ferrari
e non un riferimento politico, il Reno è un fiume e non il confine di guerre
spaventose, la lira è uno strumento musicale e non una divisa economica...
L’Internazionale evoca il nerazzurro del calcio e non un futuro socialista e
rivoluzionario. E del resto, oggi, ci si appassiona alla politica molto più
seguendo un intervento di Bono Vox, leader degli U2, che non studiando le
grandi figure della storia italiana”. Stupendo! Non c’è che dire. L’irrilevanza
culturale al potere. S’era già visto. Non si “cambia verso”. La
scriveva, quell’affermazione, il Renzi
Matteo nel suo libello - misconosciuto ai più - che ha per titolo “Tra De Gasperi e gli U2. I trentenni e il
futuro” – edito da Giunti (2006) -. Ne
traspare una “storia” di trascorsi politici che non hanno nulla in comune con
quell’immenso movimento che ha portato ai diritti antichi. È la facciata storta
della “storia”.
mercoledì 15 ottobre 2014
Oltrelenews. 5
Da “Il Paese
del partito unico” di Franco Cordero, sul quotidiano la Repubblica del 14
di ottobre 2014: MR vanta uno strepitoso 40.8% alle europee, ma da allora sono avvenute
cose influenti sul fronte elettorale. Consideriamole. Veniva alla ribalta sotto
il segno della novità: giovane, dinamico, ricco d’apparenti idee, contro
l’inetta vecchia guardia; trova sèguito nell’area del disgusto, con qualche
riserva sulla figura (boy scout, agonista in tornei televisivi, rampante tra
corridoi e piazza). Sconfitto alle primarie dagli oligarchi, li sbaraglia nella
rivincita: il partito era uscito male dalle urne; sconta una vocazione a
perdere radicata nelle persone; e l’emerso in controtendenza ha gioco comodo
verso il governo. (…). Dovendo definire l’irrompente nuovo leader, lo diremmo
democristiano evoluto con tenui ascendenze savonaroliane-lapiresche: scaltro,
insonne, veloce, famelico, alieno dai dubbi, sicuro d’essere predestinato,
ideologicamente amorfo, quindi pronto a muoversi; sa tutto della politica
brulicante, avendo scalato le nomenclature in provincia e Comune. Rispetto al
governo in penoso marasma, può giocare tre carte: sostenere i tentativi
d’uscire dalla crisi; chiedere una svolta strategica; sostituirsi al premier
evanescente, fermi restando gli equilibri. Scartiamo la prima ipotesi: non fa
del bene gratis; lavora pro se ipso. La seconda mira alle urne, sul presupposto
che, visti i pericoli, gl’italiani riscoprano l’organo pensante, ma implica dei
rischi. (…).
sabato 11 ottobre 2014
Oltrelenews. 4
Da “Il
cassiere che poteva cambiare la storia” di Gianni Barbacetto, su “il Fatto
Quotidiano” del 9 di ottobre 2014: Alla fine, la condanna è arrivata solo per
lui. Roberto Buzio è l’ultimo “cassiere” delle tangenti della Prima Repubblica.
È stato per 15 anni il segretario di Giuseppe Saragat e poi, dopo la sua morte,
ha continuato a lavorare per il Psdi, il Partito socialdemocratico italiano.
Allo scoppio di Mani Pulite è scappato dall’Italia, per evitare l’arresto. Da
allora vive in Alta Savoia, in Francia. Nel marzo 2012 ha rilasciato a il Fatto
Quotidiano un’intervista in cui ha rivelato episodi inediti di Tangentopoli di
cui era stato protagonista. “Antonio Cariglia, ultimo presidente del Psdi, mi
chiese di andare da alcuni imprenditori a raccogliere contributi per il
partito. Tra questi, c’era anche Silvio Berlusconi, che fino al 1992 ha
sostenuto i partiti della Prima Repubblica. Ho ricevuto diversi contributi di
Berlusconi dalle mani di Gianni Letta. L’ultimo, a ridosso delle elezioni
dell’aprile 1992. Lo andai a ritirare in un ufficio nel centro di Milano”.
Negli archivi di Mani Pulite c’è la traccia di una tangente pagata da Letta a
Buzio: 70 milioni di lire, versati nel 1989. Anche Letta l’ha ammessa, in un
interrogatorio all’allora pm della procura di Milano Antonio Di Pietro. Ma
tutto è coperto dalla provvidenziale amnistia che arrivò quell’anno. “La storia
però era diversa: intanto i milioni non erano 70, bensì 200″, ha raccontato
Buzio al Fatto. “E poi rivelammo solo quella dazione, d’accordo con i nostri
avvocati, perché sapevamo che era coperta dall’amnistia. Eppure i pagamenti
continuarono fino al 1992. Erano parecchie centinaia di milioni. Non solo,
nell’ambiente sapevamo che a riscuotere non era soltanto il Psdi: Berlusconi
sosteneva tutto il pentapartito”. Troppo tardi. L’avesse raccontata nel 1993,
forse la storia italiana sarebbe andata diversamente.
venerdì 10 ottobre 2014
Cosecosì. 89 "Noi, ricchi o poveri ma schiavi del lusso".
Non so cosa succeda dalle vostre parti. Ma da un
bel po’ di tempo è diventata esperienza mortificante ed esasperante al tempo
stesso frequentare gli spazi dei cosiddetti centri commerciali delle nostre
città. Una volta terminati gli acquisti e spingendo il carrello ben provvisto
delle nostre spese alimentari lo sguardo si posa immancabilmente sulle torme dei
questuanti che letteralmente affollano gli spazi esterni. Questuano una
elemosina che consenta loro di consumare un qualcosa per la sopravvivenza. E da
qualche tempo la maggioranza è costituita da persone giovanissime provenienti
dai paesi africani. Le scene che sono quotidiane e che dovrebbero turbare profondamente
le nostre coscienze mi hanno riportato alla mente quanto di recente ha scritto Umberto
Galimberti sul settimanale “D” del 4 di ottobre: (…). …ogni volta che si verifica
una tragedia nel mondo noi occidentali dovremmo chiederci se qualche colpa non
l'abbiamo anche noi. Se non altro per il fatto che per secoli l'Occidente ha
colonizzato il mondo e l'Africa in particolare. Oggi non c'è più il
colonialismo territoriale, ma non è venuto meno quello economico, dagli aspetti
meno evidenti, ma più sofisticati, più insidiosi e devastanti di quello
territoriale.
mercoledì 8 ottobre 2014
Storiedallitalia. 63 “Un problema: sinistra non ha più significato”.
Ha scritto Nadia Urbinati in chiusura del Suo
pregevolissimo “pezzo” che ha per titolo “I
partiti sono vuoti perché i militanti non contano più niente”, pubblicato
sul quotidiano la Repubblica, di martedì 7 di ottobre 2014: Discutere
delle politiche del partito, delle scelte da prendere o non prendere, in
sostanza dei valori e dei principi che uniscono i militanti: questo significa
dare a chi si schiera un senso di reale appartenenza e rilevanza. Significa
anche concepire il partito come un luogo e un veicolo di educazione alla vita
pubblica, alla deliberazione critica, alla leadership democratica. L’opposto,
come si intuisce, di un partito plebiscitario e personalistico. Ma anche l’opposto
di un partito vuoto. È che la trasformazione dei partiti come da sempre
intesi di “collettivi” su base ampia di idee e di pensieri è avvenuta molto
prima dell’avvento al potere del Renzi Matteo. I partiti “personali” o “padronali”
ne hanno rappresentato un prodromo. Oggi si continua nel solco tracciato
all’inizio degli anni novanta del secolo ventesimo smentendo così
clamorosamente la vulgata del “cambiare verso”. Ciò che stupisce è
che nessun segnale d’allarme scatta nella gran parte della pubblica opinione. E
sì che segnali d’insofferenza giungono un po’ da tutte le parti: Livorno
insegna, Bologna insegna, la Calabria, con il risultato delle primarie di
domenica 5 di ottobre, insegna. Ma a chi?
domenica 5 ottobre 2014
Oltrelenews. 3
Da “Cambiare
tutto senza cambiare nulla” di Tito Boeri, sul quotidiano la Repubblica
dell’1 di ottobre 2014: Oggi un datore di lavoro che volesse
licenziare un dipendente può addurre sia ragioni di natura disciplinare (legate
al comportamento del lavoratore) che economica (legate alla performance dell’impresa).
Se il giudice ritiene che queste motivazioni siano infondate (si parla di
“manifesta insussistenza” nel caso di licenziamenti economici), può imporre la
reintegrazione del lavoratore. Si vuole ora mantenere questa possibilità per i
soli licenziamenti disciplinari. Ma il confine fra licenziamenti economici e
licenziamenti disciplinari è molto sottile. I datori di lavoro avranno, nel
caso in cui questa modifica entrasse in vigore, l’incentivo a perseguire solo
la strada dei licenziamenti economici, anche nel caso di comportamenti
opportunistici di un proprio dipendente, dato che, almeno sulla carta, i
licenziamenti economici costano di meno dei licenziamenti disciplinari. Mentre
un lavoratore licenziato per ragioni economiche potrà sempre far valere davanti
al giudice il fatto che l’azienda volesse in realtà punirlo per il proprio
comportamento. In questo caso, anche se il difetto del lavoratore fosse
documentabile, ma l’impresa avesse altri modi di “punire” il lavoratore senza
licenziarlo (ad esempio cambiando gli orari di lavoro), il giudice potrà imporre
all’azienda il reintegro del dipendente.
venerdì 3 ottobre 2014
Strettamentepersonale. 15 Cara amica ti scrivo…
Franca amica carissima, affettuosa ed attenta navigante
della rete che gratifichi il mio impegno con quell’immancabile e sempre sereno saluto
di “un
abbraccio”. Hai lasciato il tuo commento al post di ieri con queste
parole: “Caro Aldo Ettore, vedo che andiamo sempre d'accordo sulle valutazioni
politiche. Un abbraccio. Franca”. Anche questa volta ho preferito una
risposta pubblica. Perché mai? Carissima amica, ha scritto il professor Maurizio
Viroli in tempi non ancora sospetti, il 30 di aprile dell’anno 2013 su “il
Fatto Quotidiano”, un pezzo che ha per titolo “La coesione fra Pd e Pdl farà trionfare le ingiustizie”. Da
quel punto è cominciato il mio disamoramento partitico. E non poteva essere
altrimenti. Scriveva quell’insigne studioso all’indomani della tornata
elettorale dell’anno 2013:
giovedì 2 ottobre 2014
Storiedallitalia. 62 “Le ragioni non dette del ritardo italiano”.
Se c’è una ragione per la quale la grande ripresa
non accenna a manifestarsi in Italia è per l’esistenza dell’obbrobrioso art. 18
dello Statuto dei Lavoratori. È giusto quindi che i liberisti al governo liberino
le stanze dall’ingombro. Sono essi sicuri che, trapassato quello, la crescita sarà
vigorosa e tutti torneranno al lavoro come non mai. È che in questo
stramaledetto paese tutte le colpe sono da farsi risalire a quello
stramaledetto articolo. Gli attori principali ed unici, nel bene e nel male,
sono sempre gli stessi, i lavoratori, quelli che pagano le tasse, quelli che si
suole spremere con tasse e balzelli vari sino all’ultimo centesimo per risanare
le disastrate pubbliche finanze. Ma è da credere una panzana simile? È che in
un paese allo sbando il prestidigitatore di turno ha modo e mezzi da far
vedere, come suol dirsi, le lucciole per lanterne. E poi, con lo spettacolo
indecoroso delle truppe cammellate al seguito, in prima fila la libera stampa,
è facile far credere che quella panzana sia la cosa giusto pronunciata dal “pifferaio”
– copyright di Eugenio Scalfari – di turno. Scriveva invece Massimo Riva sul
numero 29 del settimanale Affari&Finanza del 5 di maggio ultimo – “La prima ragione del ritardo italiano -:
mercoledì 1 ottobre 2014
Quellichelasinistra. 6 "Dignità e diritti, le parole chiave".
Quale è stata per Voi la notizia
del giorno? Nella palude della politica del bel paese ha avuto risalto e
sollecitato attenzione ed apprensione ad un tempo la notizia del sequestro
degli “elasticini” vivamente colorati con i quali una fetta più o
meno grande della nostra infanzia d’oggi si diletta a creare braccialetti multicolori.
Il sequestro è scattato a seguito del sospetto – al momento solamente un sospetto
– della possibile cancerogenesi indotta dai materiali utilizzati per fare facilmente
denaro. Chi di Voi, che come me è divenuto nonno da un bel pezzo, non ha sussultato
alla notizia del giorno? Egoisticamente, lo ammetto, ho subito pensato ai miei
pargoli con i quali sino a qualche giorno addietro inanellavo gli “elasticini”
per creare i coloratissimi braccialetti. Ma oltre la notizia? Poiché nelle cose
degli umani c’è sempre un “oltre” che ha ben altra sostanza. Nel caso afferente
alla notizia del giorno la sostanza di quell’”oltre” si sostanzia – orribile
cacofonia – nei diritti acquisiti ed oggigiorno messi in discussione se non disattesi
o distrutti. Poiché è in questo angolo di mondo, che ha per nome Europa, che la
“religione dei diritti” ha preso forma e sostanza che non in qualsiasi altra
parte del pianeta Terra. Diritto alla salute – messo in discussione dagli “elasticini”
famigerati -, diritto all’istruzione, diritti sui posti di lavoro, diritto ad
un ambiente che sia salubre ecc. ecc. E sì che gli “elasticini” incriminati
vengono dall’opificio del mondo, da quell’angolo della Terra una volta chiamato
“impero
celeste”. Oggigiorno di celeste ha ben poco, continua a denominarsi
paese comunista ma spaccia il suo capitalismo selvaggio e senza diritti per l’intero
globo terracqueo. Ma come possono denominarsi “comunisti” – termine desueto ed
antistorico - o solamente “di sinistra” quei paesi, quei governi che non
abbiano a cuore i diritti faticosamente conquistati in questo angolo del
pianeta Terra denominato Europa? La legge selvaggia del capitalismo dell’oggi
tende a vanificare la conquista di quei diritti in tutti gli angoli del
pianeta: una globalizzazione all’incontrario nella quale ad essere sabotati
sono i diritti inalienabili che la gente d’Europa ha saputo conquistarsi a
ridosso del secondo conflitto mondiale. Ovvero, conculcare i “diritti” in nome
di una concorrenza sleale laddove quei diritti sono divenuti l’essenza stessa
della democrazia. A proposito dei “diritti” che si tende a negare ha scritto
oggi Nadia Urbinati sul quotidiano la Repubblica – “L’articolo 18 che divide la sinistra” -:
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