“L'abuso di potere” lo
scriveva il 6 di novembre dell’anno 2010 Andrea Manzella, fine
costituzionalista, sul quotidiano la Repubblica: Basta leggere la Costituzione al
semplicissimo art. 54: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche
hanno il dovere di adempierle con onore". Quando, in epoche non sospette,
i giuristi l'hanno interpretato, hanno scritto che "onore" è parola
che riassume le regole di buon costume politico e sociale, le tradizioni di
comune rispetto per le religioni, gli orientamenti sessuali, il colore della
pelle degli "altri". Sono valori che ritroviamo oggi nella Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea. Violarli significa perciò fare atto
non solo anti-italiano ma anche anti-europeo. Oggigiorno improvvisati
turiferari salmodiano affinché sia garantita “agibilità politica” non
più ad un reo – mai confesso – ma ad un condannato in via definitiva. E l’onore
prescritto dalla Carta? Un appendicolo non richiesto, non necessario. Chi è oggigiorno
disposto a sostenere che l’”onore” richiesto dalla Carta non si
sia sciolto come neve al sole nella tregenda politica del bel paese durante la
quale streghe e stregoni si sono agitati per irridere quasi a quell’”onore”
richiesto per svolgere le “funzioni pubbliche”? Scriveva il
fine studioso: La mancanza del "senso dell'onore" - si scrisse ben prima del
1994 - significa la rottura di "norme di etica politica che non sono
disponibili: nel senso che non possono essere lasciate al libero apprezzamento dei
soggetti politici". Perché appartengono alla dignità non del singolo, che
vi rinuncia, ma della Repubblica che ne è, temporaneamente, rappresentata. E si
scrisse ancora che l'offesa all'"onore" repubblicano si verifica
anche per "ipotesi che riguardano la sfera privata" di chi svolge in
"affidamento" (come dice la Costituzione: cioè non in
"proprietà") funzioni pubbliche. Siamo a rievocare la storia
disdicevole e che ha disatteso l’”onore” richiesto dalla Carta, la
storia di un tempo non ancora remoto ma che sta tutta in quel “doveravatetutti”
che è esercizio di memoria, di responsabilità e di autocoscienza. Andrea
Manzella: (…). …le responsabilità del premier possono essere sanzionate in altro
modo. Dalle viscere della nostra esperienza costituzionale può venir fuori un
altro rimedio per ristabilire il decoro nazionale. Un rimedio che, senza
ricorrere a sentenze di giudici, inibisca, per censura personale all'attuale
premier, la prosecuzione delle sue pubbliche funzioni. È la conventio ad
excludendum, una "convenzione" politica di esclusione. (…). …sarebbe
il riadattamento di quello strumento che per decenni impedì ai comunisti di
partecipare al governo, pur prendendo una marea di voti. Il suo fondamento
costituzionale era nella concezione di democrazia delle libertà che è propria
della nostra Legge fondamentale. Il legame ideologico e organizzativo con
l'impero sovietico negava, di per sé, che questa concezione potesse essere la
stessa. Così il Pci - nonostante il suo decisivo contributo alla approvazione e
alla attuazione della Costituzione repubblicana e alla tenuta degli equilibri
profondi del Paese - era escluso dai governi. Un rifiuto che non si affidò,
come altrove, a clausole di sbarramento elettorale né a decisioni di tribunali
costituzionali. Ma fu un accordo di natura politica, di fatto. Anche l'attuale
premier ha avuto (e probabilmente conserva) una marea di voti. Anche lui vanta
qualche merito politico nel suo passato. Ma oggi la incompatibilità alla
presidenza del consiglio deriva semplicemente dalla abituale trasgressione del
dovere costituzionale d'"onore" nei suoi compiti pubblici.
Trasgressioni che provocano, a catena, sperpero di tempi politici, arresto di
efficacia e di credibilità nell'azione di governo. Un discorso del fine
costituzionalista di tre anni appena addietro, ma dal quale appare evidente
come le lancette della politica del bel paese non si siano mosse da allora di
un tocco che sia. Immobili, in un mondo in vorticoso cambiamento. E che vadano
al diavolo i problemi sociali ed economici del paese! C’è dell’altro su cui
battagliare! La confusione tra libertà e libertinaggio; la contemporanea
rivendicazione di una propria privacy e l'offesa alla "privacy" degli
altri (specie dei minori) con deteriori "stili di vita" propagandati
come esemplari per l'intera Nazione; la palese ansia di complicità e di
connivenze populiste nel banalizzare e normalizzare strappi comportamentali che
nella stragrande parte di mondo non sono né banali né normali. Tutto questo non
è in contrasto con una morale tipizzata o religiosa: è in contrasto con il
laico modo di intendere le pubbliche funzioni nella Costituzione e nell'intera
Unione europea. Non è una condanna moralistica o di costume. Ma una
constatazione oggettiva. Come un macchinista ubriaco non può condurre un treno,
così un premier sregolato non può guidare una Nazione. Nell'un caso e
nell'altro non sono le condizioni personali che preoccupano, ma le loro
ricadute sul diritto della collettività al buon governo della cosa pubblica.
Per questo, un accordo politico di tutti, o della maggior parte di tutti,
troverebbe il suo fondamento costituzionale nella regola che impone un
"onorevole" esercizio delle funzioni della Repubblica. Sarebbe una
sfiducia "personale": ricostruttiva della soglia di decenza della
politica, prima ancora che un accordo su comuni principi di azione pubblica
nell'emergenza. Sarebbe, per singolare contrappasso, una intesa ad personam,
per la prima volta conclusa contro di lui. Ma nel pubblico e non nel privato
interesse. Quali furono le reazioni a cotanto ragionare? E la politica,
ha avuto l’interesse a dibattere argomentazioni di così grande spessore? “Doveravatetutti”
al tempo in cui Andrea Manzella chiamava all’attenzione, alla responsabilità al
rispetto delle norme di etica pubblica non barattabili neppure in nome di una
governabilità scolorita – oggigiorno - e per la quale si invocherebbe la fine
più prossima? Quella mancanza d’”onore”, nella sfera privata come
nella conduzione della vita pubblica, è “cosa” vecchia, ha connotato l’esistenza
e l’azione politica di una parte che, seppur supportata da un copioso suffragio
di voti, non detiene però il potere di scardinare l’assetto fondamentale del
vivere collettivo. È da impedire un’azione così scellerata oggi, come sarebbe
stato necessario fare allora. “Doveravatetutti”? Scriveva, quasi come
in sintonia con Andrea Manzella, il professor Maurizio Viroli – “Repubblicani alle vongole” – su “il Fatto
Quotidiano” del primo di settembre dell’anno 2012: Sostengo ormai da molti anni che
la causa principale dei mali politici e sociali dell’Italia è la carenza di
spirito repubblicano. (…). Spirito repubblicano vuol dire in primo luogo
devozione intransigente al governo della legge, vale a dire al principio che
tutti, governanti e rappresentanti inclusi, devono essere sottoposti alle
medesime leggi (…). Lo spirito repubblicano si distingue poi per il modo di
giudicare le azioni dei politici secondo il criterio che Machiavelli, il più
influente scrittore politico repubblicano moderno, ha sintetizzato con queste
parole: “Le repubbliche bene ordinate costituiscono premii e pene a’ loro
cittadini, né compensono mai l’uno con l’altro” (Discorsi sopra la prima deca
di Tito Livio, I. 24). Voleva dire che quando un cittadino opera bene (ovvero
serve il bene comune) merita plauso e onori, ma se poi il medesimo cittadino
agisce male merita biasimo e sanzioni, e che le buone opere non cancellano la
responsabilità per quelle cattive. (…). Mescolare meriti e demeriti al fine di
attenuare la riprovazione per i secondi è tipico della peggior mentalità
italiana, non certo dello spirito repubblicano. Proprio dello spirito
repubblicano, infine (…) è il netto rifiuto dei privilegi e dei favori che i
potenti dispensano ai loro amici e ai loro clienti. Li considera, a ragione,
aperte ingiustizie e causa di corruzione. (…). Chi conosce lo spirito e il
pensiero politico repubblicani sa che l’istituzione non si identifica con
l’individuo che, per un periodo limitato, la rappresenta e chi critica un
determinato atto del Capo dello Stato non è per questo un nemico della
Presidenza della Repubblica che io considero istituzione benefica e
fondamentale per la salvaguardia della libertà e dell’unità nazionale. Chi
vuole il bene della Repubblica deve fare uno sforzo per recuperare il
significato vero dello spirito repubblicano, non le versioni edulcorate o
sbagliate che circolano presso la pubblica opinione, e pretenderne sempre il
rispetto e soprattutto dalle più alte cariche dello Stato. A chi
affidare l’”onore” della Repubblica sancito nella Carta? Il delirante
dibattito di questi giorni, con stuoli agguerriti di salmodianti e di
infaticabili turiferari, è la annunciata morte dello spirito della Carta e la affermazione
sottaciuta che le “funzioni pubbliche”, nel bel paese, possano essere svolte,
d’ora innanzi e per sempre, anche senza l’“onore” richiesto. A chi l’onere di
un rinnovato “abuso di potere”?
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