"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 3 novembre 2012

Storiedallitalia. 28 L'inverno del nostro scontento.



Scrive Francesco Piccolo – Corriere della sera del 2 di novembre “Il vizio della raccomandazione  che non ci fa indignare più” -: (…). Quando un italiano è pronto per venire al mondo, le probabilità che sua madre, appena arrivata in ospedale, abbia chiesto, tramite vari gradi di conoscenza, una stanza singola per starsene in pace, sono molto alte; ed esercita tramite terzi pressioni sulle infermiere, esprimendo la volontà di avere il proprio figlio tra le braccia, qualche minuto in più del consentito. Cioè, nella sostanza: qualche minuto in più degli altri. Il sistema si alimenta fino alla fine dell'esistenza. Subito dopo, i congiunti si muovono tra conoscenze varie per ottenere un funerale migliore e una posizione favorevole al cimitero. In mezzo ai due punti estremi, ci sono le scuole, i concorsi, il lavoro; ci sono i posti al teatro, le file da saltare, i passaporti, i posti auto, un tavolo in giardino al ristorante, il pesce più fresco in pescheria, e via con un elenco lunghissimo di eventi minuscoli o sostanziosi nei quali la differenza la fa il tuo pacchetto di conoscenze, il minor grado possibile di separazione dal potente di turno. La vita di un italiano, (…), è legata alla raccomandazione come a uno statuto naturale. Le tangenti, le minacce, le pressioni, gli imbrogli e le corruzioni sono conseguenza (quasi) naturale di un sistema di vita basato sul concetto di disuguaglianza. Perché in fondo la raccomandazione non serve ad altro che a creare una differenza tra me e tutti gli altri. Io voglio ottenere tramite una rete di amicizie cose, posizioni e rendite migliori; agli altri, lascio il resto. Non voglio accettare le regole condivise con la mia comunità: voglio qualcosa in più. Cioè: voglio vivere meglio degli altri. Una comunità dovrebbe basarsi sul concetto contrario. Cercare cioè di ottenere il meglio per tutti. La raccomandazione invece distribuisce disparità, e come conseguenza crea sfiducia nella neutralità. Se vado al ristorante, in fondo ho paura che mi rifilino cibo meno buono, perché non mi conoscono. E il cibo buono lo riservino per coloro che hanno ottenuto la raccomandazione. Ma non mi rendo conto che tale pratica l'ho messa in moto io tutte le altre volte. La vita italiana, nella sostanza, è modellata sull'ossessione che si ha in provincia: lì, non conta cosa vuoi fare, ma quante persone conosci. Ora, non tutti gli italiani che praticano la raccomandazione quotidiana sono abili a farne una pratica di corruzione ad alto livello. Però è come se qui la vita fosse un continuo allenamento, una lunghissima preparazione atletica, minuziosa e quotidiana, al malcostume, alla disuguaglianza dei diritti, alla propensione al privilegio. E quindi, chiunque abbia il talento di approfittarne, arriva con il massimo della preparazione. Il problema, però, non è se ogni italiano sia propenso a diventare il protagonista delle ruberie della scena italiana. No: quello che riguarda tutti noi, è se abbiamo la forza di riconoscere, indignarci e reagire, quando qualcuno procede per vie traverse - noi che siamo abituati fin dalla nascita a vivere in un mondo così. E ci sembra anche che, un mondo così, bene o male, abbia funzionato. Esagerazioni del giornalista-scrittore Francesco Piccolo? Esiste in natura uno stato – che si potrebbe definire una condizione perfetta - che ben si attaglia all’italiano “tout court”, senza discriminazioni di censo e/o di appartenenza politica o quantomeno confessionale; questa condizione è definita dai biologi “simbiosi”. Nella “simbiosi” due esseri viventi di specie diverse stanno assieme, fisicamente, intimamente, ed una di esse fornisce il necessario alla sopravvivenza dell’altra in cambio di un servigio necessario alla sua sopravvivenza. Si potrebbe dire che sia uno scambio di vicendevoli mutualità, con vantaggi che assicurano la sopravvivenza delle due specie. Sociologicamente parlando le due specie, che adottano una mutualità reciprocamente vantaggiosa, sono i cosiddetti “politici” costituitisi in casta ed i comuni cittadini. Donde ne deriva che dalla mutualità così instaurata le due “specie” ne abbiano nel tempo ricavato vantaggi innegabili in cambio di uno snaturamento evidente delle funzioni alle quali ciascuna era chiamata a dare un fattivo contributo in nome della democrazia e della cittadinanza responsabile ed attenta. Nello scambio tra i due simbionti a perderci è stata la democrazia per l’appunto e la cittadinanza responsabile che è andata a farsi benedire. In cambio le due entità in simbiosi si sono pasciute ed hanno prosperato (chi più chi meno). Entrambe in fondo hanno concorso a fare trionfare quella forma di politica fatta con altri mezzi ed alla quale sarebbe giusto riconoscere la quintessenza dell’”antipolitica”. L’”antipolitica” occupa di già il potere ed aborre tutto ciò e tutti quelli che domandano semplicemente ed insistentemente un’”altra” politica, una politica “diversa”, una politica “buona” per dirla con le parole del Bersani recente, che riconosce “vivaiddio” esserci la possibilità di cambiare storia. Ha scritto Guido Cranz sul quotidiano la Repubblica del 2 di novembre: (…). il decennio craxiano avrebbe alimentato in modo decisivo i comportamenti destinati a infangare l`immagine della politica nel vissuto di milioni di italiani; e avrebbe consolidato un ceto di amministratori e politici (e di cittadini beneficiari) sempre più convinti che non esistano confini fra i propri interessi privati e gli interessi pubblici. Al tempo stesso, nel declinare di una forma-partito basata sull`appartenenza, si delineavano forme di "conquista del consenso" in cui il carisma del leader non era espressione di una solida realtà organizzata ma quasi un surrogato di essa, fortemente alimentato dai media. Nutrito di coreografie e di dissoluzioni della politica: l`irrompere di "nani e ballerine"- (…) - faceva da contorno al primo delinearsi di un "partito personale" che avrebbe avuto poi incarnazioni molto più corpose (…). Contemporaneamente sistema politico e sistema televisivo iniziarono ad intrecciarsi sempre più strettamente, sino a diventare quasi indistinguibili. Vent`anni fa, nel crollo della "prima Repubblica", fu forte l`illusione che i processi degenerativi avessero riguardato solo il sistema dei partiti: furono così rimosse le loro conseguenze nel corpo vivo della "società civile", sempre più aliena se non ostile - in una sua parte non irrilevante - ad un universo di regole e vincoli. Mancò allora - come già era accaduto in altri momenti della nostra storia - un esame dì coscienza collettivo, una riflessione seriamente auto critica sul modo di essere del Paese e sul suo deformarsi. Mancò anche una chiara proposta riformatrice, intessuta di "buona politica": e così agli occhi di milioni di elettori il "nuovo" fu incarnato dall`antipolitica e dal populismo mediatico di Umberto Bossi e di Silvio Berlusconi. (…). Come non convenire con l’illustre opinionista laddove scrive che la politica condotta con altri mezzi (ovvero l’”antipolitica”) “avrebbe alimentato in modo decisivo i comportamenti destinati a infangare l`immagine della politica nel vissuto di milioni di italiani”? È la simbiosi di cui sopra. Ed ancor più, come non convenire che, a seguito di Tangentopoli e dell’azione meritoria di “Mani pulite”, che condusse alla scomparsa dei partiti implicati nella scandalosa vicenda, furono (…) rimosse le loro conseguenze nel corpo vivo della "società civile", sempre più aliena se non ostile - in una sua parte non irrilevante - ad un universo di regole e vincoli? Scrive ancora Guido Cranz che a generare “l’autunno (del nostro n.d.r.) disincanto” sarebbe stato il “declinare di una forma-partito basata sull`appartenenza”, sulla militanza, forma di partito sostituita dai moderni “partiti personali” nei quali “il carisma del leader non era espressione di una solida realtà organizzata ma quasi un surrogato di essa, fortemente alimentato dai media”. Non ne siamo guariti. I “partiti personali” si susseguono – IDV, PDL, M5S – poiché essi sono, in fondo, funzionali a quella mutualità simbiotica tra quelli della “casta” ed il popolo questuante. Poiché in quello che fu il bel paese si è  “sempre più convinti che non esistano confini fra i propri interessi privati e gli interessi pubblici”. È la nostra diversità antropometrica che mi fa dire di essere ancora nel bel mezzo “dell’inverno del nostro scontento”, tanto per ricordare il bel libro – “L'inverno del nostro scontento” (1961) – che fu l'ultimo romanzo del grande John Steinbeck. Chiude il Suo pezzo Guido Cranz così: Pochi giorni fa Massimo Salvadori ha ricordato la bellissima lettera scritta nel 1944 da un giovane partigiano, Giacomo Ulivi, alla vigilia della sua morte: "Tutto noi dobbiamo rifare (...). Ma soprattutto, vedete, dobbiamo rifare noi stessi". In quella stessa lettera Ulivi aggiungeva: l`inganno peggiore di una "diseducazione ventennale" è stato quello di convincerci della "sporcizia" della politica, e di intaccare così "la posizione morale, la mentalità di molti di noi. Credetemi: la cosa pubblica è noi stessi (...), la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, ogni sua sciagura è sciagura nostra". Ancora una volta, dobbiamo ripartire da qui. Titolo del pezzo trascritto in parte: “L’autunno del disincanto”.

Nessun commento:

Posta un commento