"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 15 novembre 2012

Cosecosì. 32 Professore, ma che me ne faccio di Dante?



(…). per la stragrande maggioranza dei ragazzi di oggi tutto il patrimonio culturale del nostro paese non significa più niente. È un universo in bianco e nero, malinconico, pensante e dunque pesante, polveroso come una parrucca. E non serve che gli adulti lo lucidino per farlo apparire più vivo: se brilla lo fa come una bara. È così, c'è poco da fare, l'oceano del passato non arriva più a lambire la spiaggia del presente. (…). Così ha scritto Marco Lodoli – la Repubblica del 31 di ottobre 2012 in “Addio cultura umanista per i ragazzi non ha senso” -. È la morte della cultura in quanto tale o di una particolare cultura che mal si adatta ai tempi oscuri che ci sono dati da vivere? Domanda terribile, risposta difficile da dare. Mi piace giocare d’incastro per poterne venire a capo in una qualche maniera che sia accettabile. Recupero una riflessione sul tema del professor Umberto Galimberti – “Professore, ma che me ne faccio di Dante?” sul settimanale D del 27 di agosto dell’anno 2011-: Racconta la tradizione che, quando chiesero ad Aristotele: - A cosa serve la filosofia? -, la sua risposta fu: - A nulla, perché la filosofia non è una serva -. Dal momento che vent'anni di televisione commerciale hanno fatto perdere ai nostri ragazzi qualsiasi interesse per la cultura, e dal momento che il denaro è diventato, soprattutto negli ultimi anni, il generatore simbolico di tutti i valori, è ovvio che, non capendo più che cosa è bello, che cosa è buono, che cosa è giusto, che cosa è sacro, i nostri ragazzi capiscano solo che cosa è utile. E da questo punto di vista la letteratura è proprio inutile. Anche se ogni cosa è utile a qualcos'altro, e questo qualcos'altro è utile a qualcos'altro ancora, per cui se non si approda a qualcosa di inutile, tutte le catene di utilità diventano insignificanti e prive di senso. (…). Individua l’illustre opinionista una delle cause che hanno portato alla paventata morte della cultura umanistica: l’esplodere della azione nefasta di un certo tipo di mass-media che hanno individuato nel purissimo intrattenimento la ragione della propria esistenza. Senza fini di formazione e di educazione soprattutto tra le giovanissime generazioni. E Marco Lodoli riprende a scrivere: Ma per la mia generazione, e quella di mio padre, e quella di mio nonno  -  e più indietro non vado  -  il passato non era un tempo che svaniva insieme ai foglietti del calendario. Certi morti non erano mai morti. Fossero gli eroi greci o quelli del Risorgimento o Che Guevara, fosse Mozart o John Coltrane o Luigi Tenco, i grandi continuavano a vivere nell'immaginazione e nella riconoscenza dei ragazzi. Una catena d'acciaio o una ghirlanda di fiori univa il meglio al meglio, la bellezza alla speranza, la forza alla fiducia. Leggevo Dostoevskij e Tolstoj come se fossero dei fratelli maggiori, non li collocavo nel regno cupo dei morti, le loro parole erano vive, non sussurrate da un tempo lontanissimo fino a perdersi nell'incomprensibilità. A proposito dell’insostituibile funzione del leggere e dello scrivere nello sviluppo e nella sana crescita emozionale delle nuove generazioni riprendo la riflessione del professor Galimberti: (…) …la letteratura serve per educare i nostri sentimenti, che non abbiamo come dote naturale ma come evento culturale. La natura infatti ci fornisce gli impulsi che hanno come loro espressione non la parola, ma i gesti. Il bullismo, per esempio, non è un fenomeno di mancata educazione, ma un vero e proprio arresto psichico di chi non si è evoluto dall'impulso per pervenire all'emozione. L'emozione è già un evento psichico che segnala la risonanza emotiva che gli eventi del nostro mondo, e le risposte che noi diamo a essi, producono in noi. Quando i nostri giovani dicono che al sabato sera in discoteca si calano una pastiglia di ecstasy per emozionarsi, segnalano che per passare dall'impulso all'emozione hanno bisogno della chimica. E così denunciano che la loro psiche è apatica e non registra alcuna risonanza emotiva a quanto in generale avviene intorno a loro. Quanti delitti o spaventosi atti di crudeltà avvengono senza movente, per la mancanza di una risonanza emotiva relativa ai propri gesti che i nostri ragazzi chiamano noia? Dall'emozione si passa al sentimento, che non è un tratto naturale, ma culturale. A differenza dell'emozione, il sentimento è un elemento cognitivo. Kant dice ad esempio che la differenza tra il bene e il male ognuno la sente naturalmente da sé. Le mamme capiscono i bisogni dei loro neonati, che ancora non parlano, perché li amano. Gli innamorati capiscono il significato recondito di ogni gesto dell'altro, perché si amano. Tutti i popoli hanno imparato i sentimenti attraverso narrazioni mitiche. Se guardiamo l'Olimpo degli antichi Greci, vediamo che gli dèi altro non sono che la descrizione delle passioni e dei sentimenti umani: Zeus il potere, Atena l'intelligenza, Afrodite la sessualità, Ares l'aggressività, Apollo la bellezza, Dioniso la follia. Senza più dèi, oggi impariamo a conoscere i sentimenti attraverso la letteratura che ci insegna cos'è l'amore in tutte le sue varianti, e cosa sono il dolore, la disperazione, la speranza, la noia, lo spleen, la tragedia, la gioia. Una volta appresi questi sentimenti, siamo in grado di conoscere quello che proviamo, e, grazie alla descrizione letteraria, anche il corso e l'evoluzione del nostro stato d'animo. Questo è molto importante, perché è angosciante soffrire senza sapere di che cosa, così come suicidarsi perché l'angoscia non conosce il percorso dei sentimenti e il loro approdo, che un tempo i miti descrivevano, e oggi la letteratura descrive. Chiude così la riflessione del professor Galimberti. Marco Lodoli ci riporta, nella Sua analisi, alla cruda realtà dell’oggi: Oggi i ragazzi non si voltano più indietro, gli prende subito la tristezza perché alle spalle avvertono solo un cimitero degli elefanti. La vita è adesso, qui e ora, e poi di nuovo qui e ora, e quello che è stato è stato, e tutte le chiacchiere dei vecchi sono fumo nel vento. Il presente si nutre di se stesso, digerisce se stesso e va avanti. L'arte, il pensiero, la letteratura dei secoli andati è lenta, è puro impedimento vitale, ruminamento in epoca di fast food. Naturalmente anche la politica esce con le ossa rotte dalla fabbrica delle nuove produzioni mentali e sentimentali: anche la politica è fumo nel vento. Questa è la stagione del desiderio, dell'onnipotenza tecnologica, dei corpi che vanno più veloci del pensiero, è la stagione del disprezzo verso ogni forma di misura, di armonia, di compostezza classica, di ragionamento lento e articolato. Sillogismi, rime, consonanze, prospettive, equilibri, riflessioni sulla miseria e la grandezza dell'uomo: via, giù tra le macchine da cucire e il cinema muto, tra i libri dei poeti e i fiori secchi. La cesura è netta, un taglio secco, del passato non si recupera quasi nulla, (…): (…) i ragazzi stanno tutti altrove, davanti a qualche schermo acceso, su qualche aereo che vola sul mondo, in un futuro che allegramente, superbamente, se ne frega di ciò che è stato e che non sarà mai più. Non è detto che questo dichiarato disinteresse per la tradizione sia una pura sciagura. Il mondo cambia di continuo, a volte lentamente, per passaggi quasi impercettibili, a volte in modo brusco, in una sola stagione, in un minuto. I nostri ragazzi leggono altri libri, ascoltano altra musica, amano e odiano in un altro modo, ragionano seguendo strade invisibili, e noi adulti non dobbiamo solo rimproverarli perché non conoscono Cechov o Debussy, Pasolini o Bob Dylan. Dobbiamo invece assolutamente capire dove stanno andando, perché ci salutano senza nemmeno voltarsi, perché non si fidano più della nostra cultura. Oggi loro sentono che la vita è altrove e la memoria non basta a reggere l'urto con le onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più nei cataloghi e nei musei. Analisi cruda e dura del Marco Lodoli insegnante e scrittore. Però mi piace ritornare alle idee ed alle parole non tanto complicate che Blake Morrison mette in bocca al protagonista-inventore del Suo volume “Le confessioni di Gutenberg” – Longanesi editore (2000), La gaja scienza, pagg. 336, € 15.49 -: Credo che un libro, quando si legge bene, possa sembrare davvero una brocca di vino, e diffonda un caldo bagliore in tutto il corpo. In più, al contrario di una brocca, un libro non finisce mai. Puoi arrivare alla fine eppure lui è ancora lì e lo sarà sempre, per sempre pieno come le anfore di Cana. Pensare che gli uomini degli anni futuri potranno trarre alimento da questa nostra piccola brocca : ecco un’idea che mi conforta, e mi stimola, mentre il cervello ancora fermenta, a spremere una nuova annata, piena e sincera al palato. Nei miei bicchieri conoscerete me e tutto ciò che io ho fatto. È il Gutenberg ingegnoso di Morrison a pensare ed a sperare nell’intramontabilità del libro e della cultura sopravvissuta con esso. Una speranza che conforta anche me in questi tempi tanto oscuri.

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