(…). per la stragrande
maggioranza dei ragazzi di oggi tutto il patrimonio culturale del nostro paese
non significa più niente. È un universo in bianco e nero, malinconico, pensante
e dunque pesante, polveroso come una parrucca. E non serve che gli adulti lo
lucidino per farlo apparire più vivo: se brilla lo fa come una bara. È così,
c'è poco da fare, l'oceano del passato non arriva più a lambire la spiaggia del
presente. (…). Così ha scritto Marco Lodoli – la Repubblica del 31 di
ottobre 2012 in
“Addio cultura umanista per i ragazzi
non ha senso” -. È la morte della cultura in quanto tale o di una
particolare cultura che mal si adatta ai tempi oscuri che ci sono dati da
vivere? Domanda terribile, risposta difficile da dare. Mi piace giocare
d’incastro per poterne venire a capo in una qualche maniera che sia accettabile.
Recupero una riflessione sul tema del professor Umberto Galimberti – “Professore, ma che me ne faccio di Dante?”
sul settimanale D del 27 di agosto dell’anno 2011-: Racconta la tradizione che,
quando chiesero ad Aristotele: - A cosa serve la filosofia? -, la sua risposta
fu: - A nulla, perché la filosofia non è una serva -. Dal momento che vent'anni
di televisione commerciale hanno fatto perdere ai nostri ragazzi qualsiasi
interesse per la cultura, e dal momento che il denaro è diventato, soprattutto
negli ultimi anni, il generatore simbolico di tutti i valori, è ovvio che, non
capendo più che cosa è bello, che cosa è buono, che cosa è giusto, che cosa è
sacro, i nostri ragazzi capiscano solo che cosa è utile. E da questo punto di
vista la letteratura è proprio inutile. Anche se ogni cosa è utile a
qualcos'altro, e questo qualcos'altro è utile a qualcos'altro ancora, per cui
se non si approda a qualcosa di inutile, tutte le catene di utilità diventano
insignificanti e prive di senso. (…). Individua l’illustre opinionista
una delle cause che hanno portato alla paventata morte della cultura
umanistica: l’esplodere della azione nefasta di un certo tipo di mass-media che
hanno individuato nel purissimo intrattenimento la ragione della propria
esistenza. Senza fini di formazione e di educazione soprattutto tra le
giovanissime generazioni. E Marco Lodoli riprende a scrivere: Ma
per la mia generazione, e quella di mio padre, e quella di mio nonno - e
più indietro non vado - il passato non era un tempo che svaniva
insieme ai foglietti del calendario. Certi morti non erano mai morti. Fossero
gli eroi greci o quelli del Risorgimento o Che Guevara, fosse Mozart o John
Coltrane o Luigi Tenco, i grandi continuavano a vivere nell'immaginazione e
nella riconoscenza dei ragazzi. Una catena d'acciaio o una ghirlanda di fiori
univa il meglio al meglio, la bellezza alla speranza, la forza alla fiducia.
Leggevo Dostoevskij e Tolstoj come se fossero dei fratelli maggiori, non li
collocavo nel regno cupo dei morti, le loro parole erano vive, non sussurrate
da un tempo lontanissimo fino a perdersi nell'incomprensibilità. A
proposito dell’insostituibile funzione del leggere e dello scrivere nello
sviluppo e nella sana crescita emozionale delle nuove generazioni riprendo la
riflessione del professor Galimberti: (…) …la letteratura serve per educare i
nostri sentimenti, che non abbiamo come dote naturale ma come evento culturale.
La natura infatti ci fornisce gli impulsi che hanno come loro espressione non
la parola, ma i gesti. Il bullismo, per esempio, non è un fenomeno di mancata
educazione, ma un vero e proprio arresto psichico di chi non si è evoluto
dall'impulso per pervenire all'emozione. L'emozione è già un evento psichico
che segnala la risonanza emotiva che gli eventi del nostro mondo, e le risposte
che noi diamo a essi, producono in noi. Quando i nostri giovani dicono che al
sabato sera in discoteca si calano una pastiglia di ecstasy per emozionarsi,
segnalano che per passare dall'impulso all'emozione hanno bisogno della
chimica. E così denunciano che la loro psiche è apatica e non registra alcuna
risonanza emotiva a quanto in generale avviene intorno a loro. Quanti delitti o
spaventosi atti di crudeltà avvengono senza movente, per la mancanza di una
risonanza emotiva relativa ai propri gesti che i nostri ragazzi chiamano noia?
Dall'emozione si passa al sentimento, che non è un tratto naturale, ma
culturale. A differenza dell'emozione, il sentimento è un elemento cognitivo.
Kant dice ad esempio che la differenza tra il bene e il male ognuno la sente
naturalmente da sé. Le mamme capiscono i bisogni dei loro neonati, che ancora
non parlano, perché li amano. Gli innamorati capiscono il significato recondito
di ogni gesto dell'altro, perché si amano. Tutti i popoli hanno imparato i
sentimenti attraverso narrazioni mitiche. Se guardiamo l'Olimpo degli antichi
Greci, vediamo che gli dèi altro non sono che la descrizione delle passioni e
dei sentimenti umani: Zeus il potere, Atena l'intelligenza, Afrodite la
sessualità, Ares l'aggressività, Apollo la bellezza, Dioniso la follia. Senza
più dèi, oggi impariamo a conoscere i sentimenti attraverso la letteratura che
ci insegna cos'è l'amore in tutte le sue varianti, e cosa sono il dolore, la
disperazione, la speranza, la noia, lo spleen, la tragedia, la gioia. Una volta
appresi questi sentimenti, siamo in grado di conoscere quello che proviamo, e,
grazie alla descrizione letteraria, anche il corso e l'evoluzione del nostro
stato d'animo. Questo è molto importante, perché è angosciante soffrire senza
sapere di che cosa, così come suicidarsi perché l'angoscia non conosce il
percorso dei sentimenti e il loro approdo, che un tempo i miti descrivevano, e
oggi la letteratura descrive. Chiude così la riflessione del professor
Galimberti. Marco Lodoli ci riporta, nella Sua analisi, alla cruda realtà
dell’oggi: Oggi i ragazzi non si voltano più indietro, gli prende subito la
tristezza perché alle spalle avvertono solo un cimitero degli elefanti. La vita
è adesso, qui e ora, e poi di nuovo qui e ora, e quello che è stato è stato, e
tutte le chiacchiere dei vecchi sono fumo nel vento. Il presente si nutre di se
stesso, digerisce se stesso e va avanti. L'arte, il pensiero, la letteratura
dei secoli andati è lenta, è puro impedimento vitale, ruminamento in epoca di
fast food. Naturalmente anche la politica esce con le ossa rotte dalla fabbrica
delle nuove produzioni mentali e sentimentali: anche la politica è fumo nel
vento. Questa è la stagione del desiderio, dell'onnipotenza tecnologica, dei
corpi che vanno più veloci del pensiero, è la stagione del disprezzo verso ogni
forma di misura, di armonia, di compostezza classica, di ragionamento lento e
articolato. Sillogismi, rime, consonanze, prospettive, equilibri, riflessioni
sulla miseria e la grandezza dell'uomo: via, giù tra le macchine da cucire e il
cinema muto, tra i libri dei poeti e i fiori secchi. La cesura è netta, un
taglio secco, del passato non si recupera quasi nulla, (…): (…) i ragazzi
stanno tutti altrove, davanti a qualche schermo acceso, su qualche aereo che
vola sul mondo, in un futuro che allegramente, superbamente, se ne frega di ciò
che è stato e che non sarà mai più. Non è detto che questo dichiarato
disinteresse per la tradizione sia una pura sciagura. Il mondo cambia di
continuo, a volte lentamente, per passaggi quasi impercettibili, a volte in
modo brusco, in una sola stagione, in un minuto. I nostri ragazzi leggono altri
libri, ascoltano altra musica, amano e odiano in un altro modo, ragionano
seguendo strade invisibili, e noi adulti non dobbiamo solo rimproverarli perché
non conoscono Cechov o Debussy, Pasolini o Bob Dylan. Dobbiamo invece
assolutamente capire dove stanno andando, perché ci salutano senza nemmeno
voltarsi, perché non si fidano più della nostra cultura. Oggi loro sentono che
la vita è altrove e la memoria non basta a reggere l'urto con le onde fragorose
del mondo che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più nei
cataloghi e nei musei. Analisi cruda e dura del Marco Lodoli insegnante
e scrittore. Però mi piace ritornare alle idee ed alle parole non tanto
complicate che Blake Morrison mette in bocca al protagonista-inventore del Suo
volume “Le confessioni di Gutenberg”
– Longanesi editore (2000), La gaja scienza, pagg. 336, € 15.49 -: Credo
che un libro, quando si legge bene, possa sembrare davvero una brocca di vino,
e diffonda un caldo bagliore in tutto il corpo. In più, al contrario di una
brocca, un libro non finisce mai. Puoi arrivare alla fine eppure lui è ancora
lì e lo sarà sempre, per sempre pieno come le anfore di Cana. Pensare che gli
uomini degli anni futuri potranno trarre alimento da questa nostra piccola
brocca : ecco un’idea che mi conforta, e mi stimola, mentre il cervello ancora
fermenta, a spremere una nuova annata, piena e sincera al palato. Nei miei
bicchieri conoscerete me e tutto ciò che io ho fatto. È il Gutenberg ingegnoso
di Morrison a pensare ed a sperare nell’intramontabilità del libro e della
cultura sopravvissuta con esso. Una speranza che conforta anche me in questi
tempi tanto oscuri.
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