Capito in un istituto di
bellezza. L’ambiente è salubre, elegante e sobrio al contempo. Si respira bene.
Si inalano effluvi odorosi. Un impianto hi-fi diffonde musica in sottofondo. È
che, con la perdita delle frequenze, non mi lascio affascinare e trascinare dalle
melodie sapientemente diffuse. Capito nell’istituto di bellezza per una pratica
di basso profilo. Per le mie estremità inferiori, bisognevoli d’essere ripulite
dagli ispessimenti cutanei che la mia passione per la deambulazione mi crea con
una certa frequenza. Avrete notato che non ho nominato le suddette estremità. È
che da bambino ascoltavo la mia mamma chiacchierare con le amiche e dovendo esse
riferire di quelle estremità premettevano sempre un “con decenza parlando”
come se quelle estremità non facessero a buon titolo parte del loro corpo e non
ne fossero un’appendice indispensabile e straordinaria. E così mi è rimasta una
certa ritrosia a farne menzione diretta. Avrete capito dello scarso mio
interesse per la “bellezza” dispensata copiosamente e profumatamente in
quell’istituto – profumatamente a soldini, intendo dire -; è che da un bel
pezzo essa, la “bellezza”, non mi interessa più, almeno sulla mia persona.
Ammiro ed apprezzo quella delle “altre”. E così mi accingo rassegnato
a riprendere la lettura dell’agile volumetto che il quotidiano la Repubblica ha
allegato – Alessandro Baricco, “Una
certa idea del mondo” -. L’impresa mi sfuma per le mani. È che il mio
sguardo viene attratto da un gigantesco poster elegantemente incorniciato che
domina l’incantevole salottino d’attesa. Nel poster campeggia uno stupendo
corpo nudo di donna giovane e bella. In alto a sinistra ci sta scritto: “Regeneration
Radio Frequency”, sintetizzato nell’acronimo “RRF”. Al centro - sulla
destra - del poster ci sta scritto: “Cancella i segni del tempo”.
Allibisco. Resto senza pensieri. Anzi mi si affollano copiosissimi disordinatamente.
Mi pare assurdo che per scrivere tali enormità si faccia ricorso al corpo
giovane e bello di una donna. Che bisogno ha quella donna giovane e bella, ritratta
nel poster, di una “Regeneration Radio Frequency”? Per cancellare i “segni
del tempo” che non ha? È proprio così oca da poter credere ad una
promessa tanto truffaldina? E se le avessero promesso di fermare addirittura i “segni
del tempo”? Di fermare il “tempo” insomma. Scriveva il
professor Umberto Galimberti in una Sua riflessione – “Invecchiare in Occidente”, sul settimanale “D” del 6 di novembre
dell’anno 2010 -: “È scritto nel Levitico (19,32): Onora la faccia del vecchio. In
Occidente si invecchia male, perché i valori che regolano la nostra cultura
sono sostanzialmente quello biologico, quello economico e quello estetico,
rispetto ai quali la vecchiaia appare in tutta la sua inutilità, perché
biologicamente decadente, economicamente improduttiva, esteticamente
degradata”. È quel che il poster dell’istituto di bellezza vuole
trasmettere ed affermare. Di recente – 6 di ottobre 2012 - Claudia De Lillo –
in arte Elasti – ha scritto sul settimanale “D” un pezzo con la Sua consueta
scrittura graffiante ma sempre intelligente. Titolo del pezzo, “Allarme: capelli bianchi!”: (…). …qualche giorno fa ero dal
parrucchiere. "Elasti, mi dispiace. Ma te lo devo dire", ha
dichiarato lui, guardandomi di sottecchi attraverso lo specchio, contrito e
anche un po' imbarazzato. Per qualche secondo ho sudato freddo. Cosa ho
combinato? Ho il collo sporco? Oppure ho i coccodrilli dentro le orecchie, come
dicono i miei figli? Mi sono dimenticata di mettere il deodorante? O di pagare
l'ultima volta? "Mi dica, Donato. Mi dica...", ho balbettato.
"Ehm... si tratta dei... capelli bianchi. Sono aumentati. Parecchio",
ha risposto in un sussurro compassionevole. Ho sospirato di sollievo, pensando
che, almeno, ero pulita. E senza debiti. E mi sono improvvisamente ricordata di
un messaggio che circolava in rete vari anni fa, a proposito di noi, che,
crescendo e invecchiando, impariamo a chiudere in un cassetto il brutto
anatroccolo in cui ci specchiamo, acquisendo non la sicurezza, che è una vetta
impervia e inarrivabile, ma la noncuranza, la leggerezza e l'autoironia di cui
difettiamo da piccole. Si intitolava "Il cappello color porpora",
come quello che indosseremo a ottant'anni, quando non avremo tempo di guardarci
ma solo di divertirci, alla conquista del mondo. (…). Gli anni che passano si
portano via qualche colpo, insieme a un'ora o due di sonno e a quella grazia
flessuosa e tonica che tuttavia, quando c'era, non sapevamo apprezzare. Gli
anni ci regalano lo sconcerto pietoso di un parrucchiere, la soggezione di un
ventenne, la censura di una commessa in un negozio. Gli anni però ci liberano
anche dal soffocante bozzolo delle nostre insicurezze acerbe. Ci regalano la
voglia di ridere, di fregarcene, di osare, di avventurarci intrepide in
territori inesplorati, di goderci quello che abbiamo, di stilare liste spavalde
che si allungano alle cinque del mattino, quando tutti dormono. Ci insegnano
che la vita è troppo preziosa per indugiare nella contemplazione dolente delle
nostre imperfezioni. "Cosa vuole farci, Donato? Li tingiamo, 'sti capelli
bianchi. E quando ci saremo stufati di tingerli ci metteremo in testa un
cappello color porpora". Il parrucchiere mi ha sorriso, cortese e
compiacente come si fa coi bambini, coi matti, con gli stranieri che non si
capiscono e con le signore che incanutiscono. Elasti è ancora giovane e
mi pare che non cadrà giammai nelle truffaldine lusinghe di quel poster.
Riprendo la dotta riflessione del professor Galimberti: “Questa non rispondenza della vecchiaia
ai valori dominanti nella nostra cultura aggiunge alla condizione senile una
tristezza ulteriore, che rende più drammatico ai vecchi assistere
all'inevitabile decadimento del proprio corpo, a cui si aggiunge un progressivo
disinteresse per il mondo, che oggi cambia troppo velocemente rispetto alle
capacità di adattamento della persona anziana, che perciò si sente
inevitabilmente emarginata in quanto improduttiva e non più bella. Il fattore
bellezza, così esaltato dalla nostra cultura, induce il vecchio ad accantonare
quella pulsione d'amore che nella vecchiaia non si estingue, ma viene
semplicemente messa da parte, per pudore, per vergogna, perché il nostro
costume l'ha per intero consegnata a chi è in grado di esprimere bellezza e
giovinezza. Nel Levitico (19,32) leggiamo: Onora la faccia del vecchio, perché
nelle culture primitive il vecchio era depositario di sapere e di esperienza,
per cui, come dice Max Weber, moriva sazio e non stanco della vita. Oggi,
grazie alla scienza e alla tecnica, disponiamo di archivi di informazioni che
spiazzano la saggezza senile che perciò diventa superflua. Se a ciò si aggiunge
che i vecchi hanno spesso difficoltà ad accedere ai mezzi tecnologici dove
circola il sapere, all'invecchiamento fisico si aggiunge quello che Mario
Barucci, autore di libri importanti sulla vecchiaia, chiama invecchiamento
psicologico dove, come capita a tutti noi, ma a maggior ragione alle persone
anziane, le capacità cognitive diminuiscono non solo per il decadimento
biologico, ma anche e soprattutto perché alle persone anziane più non giungono
messaggi che attestino, interesse, coinvolgimento emotivo e perché no: amore. E
questo perché i vecchi, in fondo, rappresentano, col loro stesso corpo e con la
tristezza dipinta sul loro volto, quel che ineluttabilmente ci attende, e da
cui distogliamo ogni giorno il pensiero”. Sono convinto che il “giovanilismo”
assurto a “regola” e “ stile” di vita abbia di fatto arrestato il “crescere”
psichico di una larga fetta delle giovani generazioni, con un dilatarsi abnorme
della durata di quella fase della vita che un tempo la si denominava
“adolescenza”. Ci tornerò sopra.
"Saper invecchiare è il capolavoro della sapienza e uno dei più difficili capitoli della grande arte del vivere". (Henri Amiel). "Un uomo non è vecchio finché è alla ricerca di qualcosa". (Jean Rostand). "Non sono più quella di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri".(Alda Merini). Grazie per questo post che non conoscevo... e che ho apprezzato moltissimo!
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