"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 8 novembre 2012

Capitalismoedemocrazia. 32 È a Wall Street il nemico di Obama.



Ripartiamo da Obama. Il risultato elettorale non lascia dubbi: 303 contro 206. Sembra fatta. Nel grande paese del “mito” del West; nel grande paese che è crogiolo di tutte le razze umane; nel grande paese che è esempio d’accoglienza e di tolleranza; nel grande paese che è stato anche il duro, spietato repressore dei “nativi” di quella terre, si riaccende una speranza. Che non è solamente una speranza di quelle genti. Diviene la speranza del resto del mondo. Leggo il grande titolo a tutta pagina del quotidiano la Repubblica di oggi: “La festa di Obama, il gelo delle borse”. Leggo il grande titolo de’ “il Fatto Quotidiano”: “Obama esulta i mercati no”. Non poteva essere diversamente. Ecco perché il risultato di quel grande paese è il risultato atteso con trepidazione anche, e forse soprattutto, oltre i suoi confini. Poiché riaccende una speranza. Che si possa in qualche modo imbrigliare l’azione disastrosa della finanza creativa. Che si possano in qualche modo regolamentare i mercati che hanno dato prova di non sapersi autoregolamentare. Da quella parte dell’Atlantico è questo il messaggio di speranza che il risultato pro-Obama rilancia facendolo rimbalzare in ogni angolo del globo terracqueo. Non era scontato che accadesse. Il suo rivale aveva più volte affermato che gli Stati Uniti d’America avrebbero dovuto tornare a “ruggire”; una visone ed una rappresentazione esplicita della politica del più forte. Con quali scenari futuri? Ripartiamo da Obama. Non era scontato. Il 7 di settembre dell’anno 2011 Federico Rampini pubblicava sul quotidiano la Repubblica un dossier che ha per titolo “È a Wall Street il nemico di Obama”. In quei mesi la popolarità del Presidente era in caduta rovinosa. Si contavano venticinque milioni di disoccupati ed un debito pubblico alle stelle. Eppure il grande paese era riuscito a liberarsi del pericolo pubblico numero uno, Bin Laden. Non bastava. E tutto remava contro il Presidente. Il risultato di questi giorni che viene dal paese del capitalismo riaccende una speranza: che il capitalismo ritorni ad essere il “capitalismo manifatturiero” e non già il “capitalismo finanziario” utile ai pochi, a quell’1% che si contrappone al 99% del resto dell’umanità. È il messaggio dei giovani di Occupy Wall Street che ha vinto con Obama. Non che tutto sia tornato ad essere facile e scontato. È una guerra di lungo corso; si è vinta un’altra scaramuccia. Ma la speranza si è riaccesa. Ha dichiarato Barack Obama: - Ho sempre pensato che la speranza è quella cosa cocciuta dentro di noi che insiste, nonostante le prove contrarie, che qualcosa di meglio ci attende se avremo il coraggio di continuare a lottare -. È un’indicazione precisa: la lotta non è finita. Poiché non è giusto che si siano salvate le banche e le altre istituzioni finanziarie da un disastro da esse creato comprimendo sempre più lo stato sociale laddove esso è stato possibile creare, frutto delle lotte consapevoli di milioni di uomini e di donne. Scriveva Barbara Spinelli su la Repubblica del 29 di febbraio 2012 – “Il welfare da salvare” -: (…). Come si tiene insieme una società? Come si scongiurano le guerre, civili o tra Stati? La duplice risposta europea (Unione e Welfare) fu data per evitare che la questione della povertà divenisse di nuovo mortifera. (…). Secondo Michel Foucault, il Welfare nasce come patto di guerra. Alle persone "che avevano attraversato una crisi economica e sociale gravissima", i governanti dissero in sostanza: "Ora vi chiediamo di farvi uccidere, ma vi promettiamo che, una volta fatto questo, conserverete il posto di lavoro sino alla fine dei vostri giorni" (Foucault, Nascita della biopolitica). (…). Non sono (i “nemici” del welfare n.d.r.) il disgregarsi della convivenza civile, la miseria, il crollo della democrazia. Sono la non-attuazione dell'austerità, l'"immediata reazione negativa" dei mercati. Perfino il voto democratico si tramuta in rischio, e infatti si diffida delle elezioni greche di aprile, e forse anche delle italiane. L'unico gigante che impaura è l'ozio, la pigrizia figlia del Welfare. L'essere umano non è guardato con apprensione: è guatato con sospetto, e sul sospetto non si edificano polizze né patti. Per la verità anche Foucault denunciò la "coppia infernale sicurezza sociale-dipendenza", negli anni '80. Di fronte a una "domanda infinita", s'ergeva (e andava riconosciuta) la finitudine del Welfare. La sua finitudine, i suoi limiti: non la sua morte. Nato come contrappeso a processi economici selvaggi, come correttivo degli effetti distruttori del mercato sulla società, era assurdo gettarlo via. Altrimenti crescita e benessere dipendevano solo da concorrenza e privatizzazioni: un'ennesima utopia, lo si era visto negli anni '30-40. La crisi di oggi ci riporta a quegli anni di presa di coscienza sull'orlo del disastro. (…). È significativo che mentre l'Europa dimentica, l'America tenti - assai timidamente con Obama - di resuscitare Roosevelt e il New Deal. (…). Si vuol capire sin dove regge un paese, se impoverito e sfrondato di Stato sociale. È la tesi di Michael Hudson, economista dell'Università di Missouri a Kansas City: "La crisi greca è usata come esperimento di laboratorio, per vedere fino a che punto la finanza può spingere verso il basso i salari e privatizzare il settore pubblico. È come nutrire sempre meno un cavallo per vedere se sarà più efficiente, fino a quando le gambe gli si piegano e muore". Torniamo al dossier di Federico Rampini. Scriveva: (…). …la vera storia dell'attacco mortale contro il capitalismo americano ha una data d'inizio leggermente diversa dall'11 settembre. È ottanta giorni dopo l'attacco alle Torri gemelle, il 2 dicembre 2001, la bancarotta di Enron. Più di Osama Bin Laden, per affossare il capitalismo americano furono efficaci Kenneth Lay e Jeff Skilling, i due capi della società texana legata a doppio filo con George Bush e Dick Cheney, travolta dal falso in bilancio dopo essere stata una star di Wall Street. E dopo di loro la vera galleria dei nemici dell'America, quelli che dall'interno l'hanno logorata e stremata ben più dei terroristi, prosegue con Bernard Ebbers, chief executive di WorldCom (100 miliardi di perdite per gli azionisti, bancarotta fraudolenta nel 2002), arriva fino ai banchieri come Dick Fuld (bancarotta di Lehman Brothers, 15 settembre 2008) e al tuttora potentissimo Lloyd Blankfein che alla guida di Goldman Sachs dichiarò all'apice della recessione nel novembre 2009: «Sono un banchiere che fa il mestiere di Dio». (…). La vera storia dei dieci anni più disastrosi per l'economia americana non inizia l'11 settembre, ma subito dopo: quando Bush incita i suoi concittadini «uscite di casa, andate negli shopping mall, patriottismo è andare a spendere perché la nazione non si fermi». Da quello slogan indimenticabile emana la più magistrale giustificazione ideologica per il decennio della "vita a credito", del boom immobiliare finanziato coi mutui subprime, della nazione in declino che vive al di sopra dei suoi mezzi vendendo buoni del Tesoro ai cinesi. Nella storia parallela di questa decade post-11 settembre i neoconservatori strumentalizzano il terrorismo per giustificare un'agenda ideologica pre-esistente: tutti sanno della guerra in Iraq, ovviamente. Ma altrettanto cruciale è la decisione di Bush di giustificare così gli sgravi fiscali ai ricchi, di colpo legittimati come una misura patriottica, anti-recessiva, essenziale «perché Al Qaeda non deve mettere in ginocchio l'economia». Ha inizio così, dieci anni fa, quella che l'allora Comptroller General (l'equivalente del presidente della Corte dei Conti), David Walker, definisce «il più scellerato anno fiscale nella storia della Repubblica». È un acceleratore formidabile delle diseguaglianze sociali, a loro volta causa strutturale della recessione (per la mancanza di potere d'acquisto della middle class). Frank Rich nel New York Magazine dedicato al decennale è convinto che tutto ha inizio «con la decisione di Bush di escludere ogni sacrificio nazionale equamente condiviso, per finanziare le guerre; nella sua invocazione ai consumatori: andate a Disney World, andate in Florida» come risposta alla strage. Sta lì perfino l'origine del Tea Party, «il cancro politico dell'America di oggi: se non ci fu bisogno di tasse per pagare due guerre, perché mai dovremmo pagare tasse per alcunché?». E c'è infine, dalla Enron che aveva finanziato generosamente la campagna elettorale di Bush, l'avvio del decennio senza regole per l'oligarchia finanziaria, le impunità per il capitalismo predone, le bolle speculative che sarebbero deflagrate facendo male solo a chi stava sotto: la maggioranza degli americani. In quanto a stabilire chi ha vinto dieci anni dopo, il verdetto lo ha pronunciato il regista del documentario-denuncia su Wall Street, "Inside Job" nel ricevere l'Oscar: «A tre anni di distanza dal tracollo della Borsa e dell'economia mondiale - ha detto Charles Ferguson - non un solo banchiere è finito in galera». È andata peggio a Bin Laden.”

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