"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 16 novembre 2012

Storiedallitalia. 30 Vent’anni dopo: avanti verso il passato.



(…). Vent’anni fa – uno più, uno meno – i partiti tradizionali – di governo e di opposizione – si sfaldavano. Fiaccati dal voto del 1992. E soprattutto da Tangentopoli. Si rifondavano. La Dc e il Pci. Si ri-nominavano. Si dividevano. Fra post e neo. E si redistribuivano fra i due schieramenti. Vent’anni fa – uno più, uno meno – Silvio Berlusconi si preparava a scendere in campo. Vent’anni fa: il Paese si dibatteva in una crisi economica pesante, condizionata da un debito pubblico enorme. I governi dell’epoca, affidati a ministri “tecnici”, come Amato, Dini e Ciampi, vararono manovre finanziarie onerosissime. Vent’anni fa, l’Italia chiudeva un lungo ciclo della propria storia. Condizionata dalla presenza di grandi organizzazioni illegali, radicate sul territorio. Mafia e camorra, in particolare. Sfidate, soprattutto, dalla magistratura e dai magistrati – oltre che da esponenti politici e della società civile. Con grande sacrificio di vite umane. Vent’anni fa. Nella storia di un paese. Nella storia delle singole persone di quel paese. Anzi del bel paese. È che esiste un “irrisolto” tanto nei singoli quanto nelle aggregazioni umane. Nei singoli esso, l’”irrisolto”, è spesso causa e motivo di sofferenza psichica, che ne coinvolge l’esistenza tutta nei sentimenti, nelle emozioni e perché no, nella vita che sia culturale, sociale e politica. Una sofferenza della quale non sempre si ha piena coscienza e contezza. Spesso solamente percepita, la sofferenza, a livello subliminale. Questo per i singoli. È che quell’”irrisolto” lo si ritrova anche e spesso nella storia dei popoli. Ne diviene allora un dato quasi culturale, a misura dell’antropologia culturale, un dato specifico, un dato antropologico come stimmata impressa nella carne viva di un popolo. Un marchio, del quale non si ha coscienza piena. Continua Ilvo Diamanti – la Repubblica del 3 di settembre 2012 “Oltre il passato senza indulgenza” -: (…). Vent’anni fa: il cambiamento, a lungo annunciato, infine, irrompeva. Tumultuoso. Ma disordinato, privo di un disegno chiaro. Promosso da diversi attori e diversi soggetti. Con interessi e progetti diversi. Attraverso referendum, elezioni locali, svolte elettorali, inchieste giudiziarie e spinte territoriali. Vent’anni dopo – anno più, anno meno. È l’oggi. Amaro, amarissimo. Quasi senza prospettive che siano nuove. Che non abbiano la muffa dell’antico. Del già visto. Del già vissuto. Ilvo Diamanti: È lecito dubitare. Che quella svolta, quella frattura, quel cambiamento: abbiano prodotto i risultati annunziati. Sperati. Vent’anni dopo. Si parla ancora e sempre di Tangentopoli. Di referendum elettorali e di nuove leggi – che correggano l’ennesima degenerazione scaturita dalle mediazioni dei partiti. Con un nuovo sistema di voto, che rischia di fare rimpiangere il Porcellum. E verrà, puntualmente, sanzionato da una nuova, ironica definizione di Giovanni Sartori. Vent’anni dopo. Si continua a parlare di federalismo e di autonomie locali. Vent’anni dopo. Si parla ancora di ritorno del Centro, della nuova Dc. E se il comunismo è finito, l’anticomunismo c’è ancora. Agitato come una bandiera. Vent’anni dopo. Governano i tecnici. Berlusconi ha concluso il suo ciclo, ma incombe. Vent’anni dopo. Sempre lì. In attesa di nuove elezioni di svolta. A discutere di vent’anni fa. Vent’anni dopo. È che schiacciati dall’”irrisolto”, divenuto nel tempo un dato antropometrico incancellabile, non si ha la forza, la determinazione di scavare a fondo, di liberarsi dai costumi e dalle costumanze divenuti nel lungo tempo una camicia di forza che impediscono una crescita più armonica della società. Scriveva nel Suo diario il conte Henry d’Ideville alla data del 26 di aprile dell’anno 1865: “… l’Italia è davvero la terra dei morti. (…). Dove trovare un popolo più vecchio, più usato, più corrotto, meno ingenuo? Le rivoluzioni, di cui non si può contare il numero, le tirannie, le occupazioni straniere, le servitù hanno pesato su questo bello e infelice paese e hanno lasciato nel sangue stesso della nazione i vizi più svariati con una dolorosa esperienza e in realtà un gran senso politico. (…). Chi c’è di meno giovane, di meno ingenuo, di meno entusiasta dell’italiano? Prima di tutto è sottile, scettico, astuto e interessato. Molto più intelligente di noi, sa calcolare, aspettare, lusingare e dissimulare, cosa a cui noi non arriveremo mai. Rifate le divisioni del paese, trasformatelo in uno solo Stato, sconvolgete governi e frontiere, dategli tutte le costituzioni che vorrete, non cambierete mai la razza e il temperamento del popolo. Per quanto facciate, non lo renderete mai giovane”. E così stancamente per la qual cosa – sempre per Ilvo Diamanti -: Vent’anni dopo e vent’anni prima. Le stesse questioni, le stesse polemiche, le stesse vicende, gli stessi attori. Come se, in vent’anni, niente fosse cambiato. O forse perché i cambiamenti sono avvenuti in modo contraddittorio. Eludendo i problemi invece di risolverli. Perché il cambiamento si è realizzato senza aver fatto davvero i conti con il passato. Senza aprire le pagine più scure della nostra biografia. È l’”irrisolto” di cui sopra. Delle persone singole. Del popolo italico tutto. E per dirla con Giovanni Sartori – in un’intervista su “la Repubblica“ del 21 di febbraio dell’anno 2004 –: (…). Il nostro è un paese disossato, storicamente senza vertebre. Nel 1922 Ortega y Gasset scriveva della Spagna invertebrata. Ho sempre pensato che quel titolo fosse più calzante per l’Italia. (…). … al momento della prova, gli italiani non reagiscono, subiscono. (…). Siamo il paese forse più invaso e conquistato d’Europa. E con tutti i conquistatori siamo riusciti sempre a trovare un accordo, nel segno della sopravvivenza. (…). … anche ai tempi delle invasioni barbariche siamo stati capaci di soluzioni accomodanti. Con potenti e prepotenti possiamo esibire uno straordinario mestiere di navigazione. Che è anche rassegnazione e sottomissione. (…). Donde le nostre sventure passate, presenti e future. Ilvo Diamanti: Le leggi elettorali: modificate per via referendaria o compromissoria. Sempre a metà, fra maggioritario e proporzionale. Come la forma dello Stato: un presidenzialismo di fatto. Affermatosi per l’inerzia e l’impotenza dei partiti principali. Personalizzati e, anzi, “personali”. Mediatizzati. Hanno lasciato i cittadini «orfani, privi di concezioni generali, di una filosofia » (Per citare Berselli). Il federalismo e le autonomie locali. «Parole e nient’altro che parole ». Realizzati senza ridurre il centralismo dello Stato e lo Stato centrale. Il rapporto fra la politica e gli affari. Eluso. Rimosso. Come se Tangentopoli avesse risolto tutto. Come se la Prima Repubblica fosse finita insieme a Craxi e Andreotti. Così le collusioni fra poteri politici, istituzioni settori dello Stato e organizzazioni illegali. Mafiose e non solo. Hanno attraversato la nostra storia, ma non si sono concluse nel 1992. Sono proseguite e proseguono ancora. (…). Per questo ci scopriamo a discutere dei fatti e dei misfatti di vent’anni fa come fossero avvenuti oggi. Perché i conti con il passato non li abbiamo mai chiusi davvero. Ma proprio per questo bisogna fare chiarezza. Senza indulgenza e senza reticenza, su quel che è avvenuto allora e poi. Soprattutto e anzitutto per quel che riguarda i rapporti fra istituzioni, politica e organizzazioni illegali. Un vizio inaccettabile per un Paese che voglia davvero voltare pagina. Nessun sospetto, nessuna zona d’ombra, a questo proposito, è tollerabile. Nelle trattative fra Stato e mafia. Oggi come ieri. Per non restare intrappolati nei meandri della nostra cattiva coscienza nazionale. Impegnati a guardare e a correre. Avanti verso il passato. Vent’anni fa, vent’anni dopo: cosa cambia nella vita del bel paese?

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