(…). Vent’anni fa – uno più, uno
meno – i partiti tradizionali – di governo e di opposizione – si sfaldavano.
Fiaccati dal voto del 1992. E soprattutto da Tangentopoli. Si rifondavano. La
Dc e il Pci. Si ri-nominavano. Si dividevano. Fra post e neo. E si
redistribuivano fra i due schieramenti. Vent’anni fa – uno più, uno meno –
Silvio Berlusconi si preparava a scendere in campo. Vent’anni fa: il Paese si
dibatteva in una crisi economica pesante, condizionata da un debito pubblico
enorme. I governi dell’epoca, affidati a ministri “tecnici”, come Amato, Dini e
Ciampi, vararono manovre finanziarie onerosissime. Vent’anni fa, l’Italia
chiudeva un lungo ciclo della propria storia. Condizionata dalla presenza di
grandi organizzazioni illegali, radicate sul territorio. Mafia e camorra, in
particolare. Sfidate, soprattutto, dalla magistratura e dai magistrati – oltre
che da esponenti politici e della società civile. Con grande sacrificio di vite
umane. Vent’anni fa. Nella storia di un paese. Nella storia delle
singole persone di quel paese. Anzi del bel paese. È che esiste un “irrisolto”
tanto nei singoli quanto nelle aggregazioni umane. Nei singoli esso, l’”irrisolto”,
è spesso causa e motivo di sofferenza psichica, che ne coinvolge l’esistenza
tutta nei sentimenti, nelle emozioni e perché no, nella vita che sia culturale,
sociale e politica. Una sofferenza della quale non sempre si ha piena coscienza
e contezza. Spesso solamente percepita, la sofferenza, a livello subliminale.
Questo per i singoli. È che quell’”irrisolto” lo si ritrova anche e
spesso nella storia dei popoli. Ne diviene allora un dato quasi culturale, a
misura dell’antropologia culturale, un dato specifico, un dato antropologico
come stimmata impressa nella carne viva di un popolo. Un marchio, del quale non
si ha coscienza piena. Continua Ilvo Diamanti – la Repubblica del 3 di
settembre 2012 “Oltre il passato senza
indulgenza” -: (…). Vent’anni fa: il cambiamento, a lungo annunciato, infine,
irrompeva. Tumultuoso. Ma disordinato, privo di un disegno chiaro. Promosso da
diversi attori e diversi soggetti. Con interessi e progetti diversi. Attraverso
referendum, elezioni locali, svolte elettorali, inchieste giudiziarie e spinte
territoriali. Vent’anni dopo – anno più, anno meno. È l’oggi. Amaro,
amarissimo. Quasi senza prospettive che siano nuove. Che non abbiano la muffa
dell’antico. Del già visto. Del già vissuto. Ilvo Diamanti: È
lecito dubitare. Che quella svolta, quella frattura, quel cambiamento: abbiano
prodotto i risultati annunziati. Sperati. Vent’anni dopo. Si parla ancora e
sempre di Tangentopoli. Di referendum elettorali e di nuove leggi – che
correggano l’ennesima degenerazione scaturita dalle mediazioni dei partiti. Con
un nuovo sistema di voto, che rischia di fare rimpiangere il Porcellum. E
verrà, puntualmente, sanzionato da una nuova, ironica definizione di Giovanni
Sartori. Vent’anni dopo. Si continua a parlare di federalismo e di autonomie
locali. Vent’anni dopo. Si parla ancora di ritorno del Centro, della nuova Dc.
E se il comunismo è finito, l’anticomunismo c’è ancora. Agitato come una
bandiera. Vent’anni dopo. Governano i tecnici. Berlusconi ha concluso il suo
ciclo, ma incombe. Vent’anni dopo. Sempre lì. In attesa di nuove elezioni di
svolta. A discutere di vent’anni fa. Vent’anni dopo. È che schiacciati
dall’”irrisolto”,
divenuto nel tempo un dato antropometrico incancellabile, non si ha la forza,
la determinazione di scavare a fondo, di liberarsi dai costumi e dalle costumanze
divenuti nel lungo tempo una camicia di forza che impediscono una crescita più
armonica della società. Scriveva nel Suo diario il conte Henry d’Ideville alla
data del 26 di aprile dell’anno 1865: “… l’Italia è davvero la terra dei morti. (…).
Dove trovare un popolo più vecchio, più usato, più corrotto, meno ingenuo? Le
rivoluzioni, di cui non si può contare il numero, le tirannie, le occupazioni
straniere, le servitù hanno pesato su questo bello e infelice paese e hanno
lasciato nel sangue stesso della nazione i vizi più svariati con una dolorosa
esperienza e in realtà un gran senso politico. (…). Chi c’è di meno giovane, di
meno ingenuo, di meno entusiasta dell’italiano? Prima di tutto è sottile,
scettico, astuto e interessato. Molto più intelligente di noi, sa calcolare,
aspettare, lusingare e dissimulare, cosa a cui noi non arriveremo mai. Rifate
le divisioni del paese, trasformatelo in uno solo Stato, sconvolgete governi e
frontiere, dategli tutte le costituzioni che vorrete, non cambierete mai la
razza e il temperamento del popolo. Per quanto facciate, non lo renderete mai
giovane”. E così stancamente per la qual cosa – sempre per Ilvo
Diamanti -: Vent’anni dopo e vent’anni prima. Le stesse questioni, le stesse
polemiche, le stesse vicende, gli stessi attori. Come se, in vent’anni, niente
fosse cambiato. O forse perché i cambiamenti sono avvenuti in modo
contraddittorio. Eludendo i problemi invece di risolverli. Perché il
cambiamento si è realizzato senza aver fatto davvero i conti con il passato.
Senza aprire le pagine più scure della nostra biografia. È l’”irrisolto”
di cui sopra. Delle persone singole. Del popolo italico tutto. E per dirla con
Giovanni Sartori – in un’intervista su “la Repubblica“ del 21 di febbraio
dell’anno 2004 –: (…). Il nostro è un paese disossato, storicamente senza vertebre. Nel
1922 Ortega y Gasset scriveva della Spagna invertebrata. Ho sempre pensato che
quel titolo fosse più calzante per l’Italia. (…). … al momento della prova, gli
italiani non reagiscono, subiscono. (…). Siamo il paese forse più invaso e
conquistato d’Europa. E con tutti i conquistatori siamo riusciti sempre a
trovare un accordo, nel segno della sopravvivenza. (…). … anche ai tempi delle
invasioni barbariche siamo stati capaci di soluzioni accomodanti. Con potenti e
prepotenti possiamo esibire uno straordinario mestiere di navigazione. Che è
anche rassegnazione e sottomissione. (…). Donde le nostre sventure
passate, presenti e future. Ilvo Diamanti: Le leggi elettorali: modificate per via
referendaria o compromissoria. Sempre a metà, fra maggioritario e
proporzionale. Come la forma dello Stato: un presidenzialismo di fatto.
Affermatosi per l’inerzia e l’impotenza dei partiti principali. Personalizzati
e, anzi, “personali”. Mediatizzati. Hanno lasciato i cittadini «orfani, privi
di concezioni generali, di una filosofia » (Per citare Berselli). Il
federalismo e le autonomie locali. «Parole e nient’altro che parole ».
Realizzati senza ridurre il centralismo dello Stato e lo Stato centrale. Il
rapporto fra la politica e gli affari. Eluso. Rimosso. Come se Tangentopoli
avesse risolto tutto. Come se la Prima Repubblica fosse finita insieme a Craxi
e Andreotti. Così le collusioni fra poteri politici, istituzioni settori dello
Stato e organizzazioni illegali. Mafiose e non solo. Hanno attraversato la
nostra storia, ma non si sono concluse nel 1992. Sono proseguite e proseguono
ancora. (…). Per questo ci scopriamo a discutere dei fatti e dei misfatti di
vent’anni fa come fossero avvenuti oggi. Perché i conti con il passato non li
abbiamo mai chiusi davvero. Ma proprio per questo bisogna fare chiarezza. Senza
indulgenza e senza reticenza, su quel che è avvenuto allora e poi. Soprattutto
e anzitutto per quel che riguarda i rapporti fra istituzioni, politica e
organizzazioni illegali. Un vizio inaccettabile per un Paese che voglia davvero
voltare pagina. Nessun sospetto, nessuna zona d’ombra, a questo proposito, è
tollerabile. Nelle trattative fra Stato e mafia. Oggi come ieri. Per non
restare intrappolati nei meandri della nostra cattiva coscienza nazionale.
Impegnati a guardare e a correre. Avanti verso il passato. Vent’anni
fa, vent’anni dopo: cosa cambia nella vita del bel paese?
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