"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 22 febbraio 2014

Cosecosì. 69 “Due generazioni allo streaming”.



La cosa che stupisce assai è che Matteo e Beppe possano piacere al contempo. E che questa rivelazione o scoperta da contezza della intuita mancata crescita di un pubblico che poi si reca alle urne e determina risultati elettorali strabilianti, come quelli della ultima votazione per le politiche. Strabilianti nel senso che diviene difficilissimo trovarci una ragione, un umore, un senso che sia, donde ne deriva l’indecoroso scenario di un paese che si barcamena nell’eterno “vogliamoci bene” o peggio ancora del “tengo famiglia”. Da un buonismo da strapazzo e da un familismo amorale non c’è che attendersi risultati del genere, ovvero che Matteo e Beppe possano piacere allo stesso tempo. Ed ho potuto constatarlo chiacchierandone amorevolmente con giovani cittadini elettori che sono cresciuti e sono vissuti all’ombra dei moderni partiti “personali” o “padronali”. E la vicenda dello streaming ne è la prova lampante. A sorreggermi nella personale convinzione che ci sia un oscillare a fasi alterne, confuso, poco ragionato, frutto di quella che vado da tempo definendo la “scarnificazione del pensiero” collettivo, del pendolo del consenso tra i due punti estremi presi in considerazione – Matteo e Beppe – è stata la lettura della acuta analisi – “Due generazioni allo streaming” – che Massimo Recalcati ha fatto sul quotidiano la Repubblica dopo la sceneggiata che passerà alla storia come lo scontro dello streaming. Ed è avvenuto che in quella amorevole chiacchierata il pendolare del consenso ora verso l’uno ora verso l’altro mi ha dato la misura della scomparsa dall’orizzonte di quella idea di partito o di partiti che hanno concorso a sorreggere le nostre certezze giovanili, i nostri sogni e le nostre idealità per essere sostituita, quell’idea, da una rappresentazione della politica – si veda il caso della defenestrazione di Enrico Letta avvenuta fuori dal parlamento o si veda il caso delle espulsioni dei recalcitranti onorevoli M5S decise dai padroni della piattaforma web – che non potrà in alcun modo concorrere alla realizzazione di una democrazia più matura e più compiuta. Ha scritto Massimo Recalcati, che è uno psicoterapeuta di scuola lacaniana, nella Sua analisi: (…). …l’attimo che costituisce il focus di tutta la scena è quando Grillo dà del “ragazzo” al Presidente incaricato. Soffermiamoci un momento su questo passaggio ai miei occhi decisivo. «Sei solo un ragazzo, certe cose non le sai, lascia fare a me che ho quarant’anni di esperienza». Questo, più che la dichiarazione di non essere democratico, che non ha stupito nessuno, deve davvero colpire. Ma come? Un leader che ha saputo mobilitare con forza i giovani restituendo a loro il sogno del cambiamento, si rivolge al Presidente incaricato definendolo con tono chiaramente paternalistico e, insieme, come spesso accade a chi assume toni paternalistici, dispregiativo. Questo è un punto di grande interesse clinico nel dialogo tra i due, o, meglio, nel monologo soverchiante di Grillo. Chi viene chiamato ragazzo è un uomo di 39 anni, padre di tre figli, capace di assumersi responsabilità istituzionali enormi, di guidare una grande città e un grande partito. Chiamarlo “ragazzo” non svela solo una megalomania di fondo del leader del M5S, ma manifesta inconsciamente il fantasma padronale che lo anima profondamente. Questo padre dichiara che non ha tempo da perdere per discutere coi figli. Non solo coi figli d’altri - tale è Matteo Renzi -, il che potrebbe anche essere plausibile, ma nemmeno con i propri. Per questo usa il mandato ricevuto democraticamente dal suo popolo per fare uno show che sarebbe semplicemente fuori luogo se non avesse una ricaduta politica che coinvolge fatalmente le sorti del nostro paese. «Sei solo un ragazzo!», urla il padre orco a chi immagina non sia degno di interloquire con lui. «Sei solo un ragazzo, taci! Lascia che parli Io!». Quante volte abbiamo ascoltato dai nostri pazienti questa rappresentazione sadicamente autoritaria della paternità. “Sei solo un ragazzo!” è sempre il pensiero inconscio (o conscio?) del padre-padrone che nutre nel profondo di se stesso un odio radicale della giovinezza e che mostra con orgoglio di fronte all’entusiasmo di chi comincia una nuova avventura («ti spiego cosa vorremmo fare» prova a dire Matteo Renzi) le medaglie che gli danno il diritto di oscurare la parola del suo giovane interlocutore («Taci! Ho quarant’anni di esperienza più di te!»). (…). Da buon padre-padrone travestito da adolescente rivoltoso, Grillo ha rivelato pubblicamente non solo la sua estraneità nei confronti delle consuetudini e delle regole democratiche, ma il fatto che può fare quello che vuole della volontà del suo stesso popolo costituito, in gran parte, di “ragazzi”. Vogliono che vada a discutere di politica e di programmi con Renzi per provare a dare una mano per salvare il nostro paese? Sono solo dei ragazzi, non hanno quarant’anni di esperienza. Lasciate fare a me. Lasciate che sia io a mostrarvi come me ne fotto della democrazia. (…). E questo solo per dire di quel Beppe del quale non ho mai nutrito stima o considerazione alcuna. Un padre-padrone che finge l’ascolto dei più giovani ma che non rinuncia ad essere il “dominus” indiscusso ed incontrastato. E volendo non essere troppo di parte mi corre l’obbligo di sottoporre alla cortese vostra attenzione qualcosa che riguarda l’altro polo di oscillazione del pendolo del cosiddetto consenso, quel Matteo che, a detta dell’antropologa Amalia Signorelli - intervistata da Antonello Caporale per “il Fatto Quotidiano” - “Fate attenzione, è un baby Berlusconi”: (…). “Comprendo che sia venuto il momento di imboccare una via d’uscita, tentare almeno di intravederla. L’analisi dei disastri italiani conta una grandissima bibliografia e non se ne può più. Siamo stanchi dei nostri difetti, della nostra precaria etica pubblica, dei nostri scandali. Ed è anche vero che specialmente noi intellettuali subiamo il costante pessimismo, l’insoddisfazione perenne. E sto zitta quando mi dicono: finalmente questo Renzi è un portatore sano di energia, è giovane, ha la linfa vitale e ci prospetta un futuro senza i vincoli, i retaggi del passato. È un fenomeno politico da osservare con attenzione, non c’è dubbio”.
Da quel che intuisco adesso arriva la mazzata che lo annienta. “Ah ah! Il fatto, semplice e insieme straordinario, è che ancora non abbiamo capito nulla dei programmi. Queste riforme mensili oggettivamente fanno ridere per la loro banalità, la superficialità e anche l’inadeguatezza di un tempo di gestazione così modesto. E la squadra di governo che ha formato non appare affatto monumentale. E se tutto questo è vero affidiamo a lui la salvezza in virtù di cosa?”.
È il governo del Ghe Renzi mì, un po’ come successe con Berlusconi. E ci sono modalità espressive di una personalità straripante che lo fanno assurgere almeno come un “vice unto del Signore”. “Concordo col suo pensiero. E mi pare che Renzi abbia subìto così densamente l’egemonia culturale berlusconiana da vederlo nutrito prevalentemente di quella”.
È andato alla Ruota della Fortuna, ha gareggiato con Mike di fronte! “Uno che va alla Ruota della fortuna conferma la sua attrazione per quel modello di successo, che passa dalla televisione, e che si fa modello di vita”.
Il ventennio berlusconiano non si chiude mai. Davvero siamo a un clone? “Mi faccia fare un passo indietro. Non mi è piaciuta neanche un po’ la conduzione della crisi da parte del presidente Napolitano. Perché tenerla fuori dalle aule del Parlamento? Perché farla gestire nei sotterranei di un partito? Perché dare a lui ciò che non si è concesso agli altri?. Ora vengo alla sua domanda. Mi dicono che Renzi innova, e cosa innova?”.
Non le sembra già tanto che abbia rotto gli schemi, abbia prosciugato la palude, abbia disarticolato un potere immobile: “Non contesto, però riduciamo la portata della dimensione della rottura. Finora ha contrattato i posti con Alfano e Schifani. Ha inchiodato Berlusconi a una profonda sintonia. Mi dia ancora qualche giorno di dubbio sull’annunciata palingenesi, credo proprio di meritarlo”.
Non le garba il nuovo presidente del Consiglio. “Bah! Diciamo che Renzi ha ottenuto una primazia conquistata con le armi tipiche delle società post-moderne: alla visibilità è corrisposto il successo, al successo il consenso. I fattori dovrebbero invece avere un ordine diverso: illustro le mie idee, guadagno il consenso e poi ottengo il successo. Prima c’era l’ideale come carattere collettivo. Si stava col Pci, non con Togliatti. E si poteva cambiare l’Italia solo stando in quel partito. Oggi esiste l’unica proiezione individuale: non c’è gruppo, comunità, partito. Ieri si combatteva per una causa oggi per una persona. E così siamo giunti alla fine senza conoscere l’inizio, abbiamo applaudito il film senza averlo visto. Ci è bastata una suggestione, una promessa, una intuizione”.

Nessun commento:

Posta un commento