È che l’ineffabile presidente del
Consiglio sceglie le tribune mediatiche più lontane ed accoglienti per poter
dire indisturbato la sua. Senza un contraddittorio che sia. Gli ha, in verità, già
risposto il presidente di Confindustria per il quale la crisi non è affatto
finita. È che il secondo presidente non vive e non si sazia di aria, al
contrario dell’ineffabile. Il secondo presidente guarda alla realtà delle cose.
Ed una delle realtà delle cose l’ha scritta proprio oggi Federico Fubini sul
quotidiano la Repubblica – “Il Pil torna
positivo carta segreta del premier” -: (…). …il credit crunch non accenna a
attenuarsi. Giorni fa Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca
d'Italia, ricordava che il calo dei prestiti bancari alle imprese è stato di 98
miliardi solo nell'ultimo biennio. Ma Panetta nota anche un paradosso: nel
primo decennio del secolo le imprese italiane si sono indebitate ben più di
quelle francesi, tedesche o anglosassoni e oggi sono finanziariamente fragili e
esposte. Per avere la solidità della media loro concorrenti europee, la Banca
d'Italia stima che dovrebbero ricapitalizzarsi per circa 200 miliardi di euro.
Missione impossibile? Non se i manager-azionisti rinunciassero per un po' a
gratificarsi con 60 miliardi di dividendi l'anno, come fanno oggi. Sergio
Squinzi, leader di Confindustria, può infatti prendersela con la paralisi della
politica. Ma senza scelte oculate degli industriali, la mini-ripresa del Paese
sarà costellata di imprenditori ricchi in imprese povere e incapaci di
competere. E potrebbe essere di già una risposta all’ineffabile. Chi
vive nel concreto mondo degli affari e della economia non può non vedere che
uno dei pilastri per una ripresa manca ancora e che con la “fuffa” delle parole non
è possibile sostituirlo. Poiché secondo quell’impareggiabile dizionario De
Mauro “fuffa”, anche contro ogni apparenza, deriva da un sostantivo
maschile, tale “fuffigno”, d’origine toscana, che sta per un «ingarbugliamento
dei fili di una matassa o di un tessuto». E l’ineffabile è maestro
d’arte nell’”ingarbugliamento” delle parole e dei fatti. Ma tant’è.
L’ineffabile continua per la sua strada. Ché non è detto sia la strade più
giusta. E proprio oggi, sempre sul quotidiano la Repubblica, Ilvo Diamanti si è
prodotto come a dare risposta all’ultima “fuffa” dell’ineffabile. E lo ha
fatto con un pezzo come sempre magistrale che ha per titolo “Il declino dei ceti medi”. Scrive Ilvo
Diamanti: Giuseppe De Rita, con il suo linguaggio immaginifico, negli anni
Novanta, aveva definito (…) "cetomedizzazione" (…)
"l'innalzamento di coloro i quali erano alla base della piramide e lo
scivolamento di una parte della vecchia elite". In altri termini, a
partire dagli anni Ottanta, si è assistito al declino della borghesia urbana e
industriale, peraltro, in Italia, tradizionalmente debole. E al parallelo
affermarsi di una piccola borghesia, diffusa nel mondo delle piccole imprese e
del lavoro autonomo. Distante e ostile rispetto allo Stato e alla politica.
Educata ai valori della competizione individuale e, meglio ancora,
dell'individualismo possessivo, per citare Macpherson. (…). La
"cetomedizzazione" ha, (…), trovato risposta (…) (in)
Silvio Berlusconi. Che ha offerto ai ceti-medi: volto, linguaggio. Identità.
Berlusconi: l'Imprenditore in politica. Che fa politica. Al posto dei politici
di professione. Contro di loro. Trasforma la politica in marketing. Il partito
in impresa. La propria impresa in partito. Berlusconi: ha dato rappresentanza
alla neo-borghesia, con basi e radici nel Lombardo-Veneto. Condividendo la
"missione" della Lega. Anche se, alla fine, ha garantito soprattutto
se stesso e i propri interessi. Berlusconi: ha trasformato il ceto medio nella
"società media", il "pubblico" con cui comunicare e a cui
fornire identità attraverso i media. Ebbene quel processo politico,
antropologico ed economico di "cetomedizzazione" ha
portato ad un ceto medio che nell’Italia dell’illusionismo berlusconiano si è
trovato ad essere, nel momento topico della globalizzazione, a non avere
strumenti e risorse per competere. Bassi o bassissimi salari e stipendi, stato
sociale in declino se non in destrutturazione, sicurezza sociale ridotta ai
minimi termini per le quali cose è avvenuto che, sempre secondo il pensiero ben
formato ed informato di Ilvo diamanti, (…). …nel 2006 quasi il 60% della
popolazione (indagine Demos-Coop) si auto-collocava tra i ceti medi. Il 28%
nelle classi popolari (i ceti medio-bassi). Il 12% nelle classi più elevate.
(…). Anche il 60% degli operai, allora, si sentiva "ceto medio". Poi
è arrivata la crisi. Economica e politica. Ha scosso, con violenza, le basi del
ceto medio. Ne ha indebolito la condizione e, al tempo stesso, il sentimento,
l'auto-considerazione. Ne ha accentuato il senso di vulnerabilità. (…).
L'ascensore sociale, in pochi anni, si è inceppato. E oggi la maggioranza
assoluta degli italiani ritiene di essere discesa ai piani più bassi della
gerarchia sociale (Sondaggio Demos-Fond. Unipolis). Coloro che si sentono
"ceti medi" sono, infatti, una minoranza, per quanto ampia. Poco più
del 40%. Così, l'Italia non è più cetomedizzata. È un Paese dove le distanze
sociali appaiono in rapida crescita. Tanto che l'85% della popolazione
(sondaggio Demos-Fond. Unipolis) oggi ritiene che "le differenze fra chi
ha poco e molto siano aumentate". (…). I lavoratori autonomi: meno del 40%
di essi si considera "ceto medio". Oltre il 50%, invece, si
percepisce di classe medio-bassa. La stesse misure si osservano nel Nord. La
cui distanza sociale, rispetto al Mezzogiorno, sotto questo profilo, appare
molto ridotta. Anzi, il peso di coloro che si auto-posizionano in fondo alla
scala sociale, nel Nordest (55%) - "patria" della neo-borghesia
autonoma - è superiore rispetto al Sud (53%). Gli operai, infine, sono tornati
al loro posto. In fondo alla scala sociale (63%). È il declino dell'Italia
media e cetomedizzata. Segna il brusco risveglio dal "sogno italiano"
interpretato dal berlusconismo. Poter diventare tutti padroni (almeno, di se
stessi). Ciascuno nel proprio piccolo (o nel proprio grande). (…).Ecco
il punto. Non basta la “fuffa” dell’ineffabile per cambiare
o mandare a risoluzione il grave problema economico e sociale che affligge
sempre di più le genti del bel paese. Chiude Ilvo Diamanti la Sua analisi con
una affermazione che non può dare speranza e sostanza alle alate parole dette dall’ineffabile
in quel d’Arabia: Il declino del ceto medio lascia un Paese senza sogni, incapace di
sognare. Dove le distanze sociali hanno ripreso a crescere, mentre il
territorio affonda nelle nebbie. (…). Il declino del ceto medio, in Italia,
definisce - e impone - una questione "nazionale" che nessuna riforma
elettorale potrà risolvere.
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