"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 19 dicembre 2011

Storiedallitalia. 2 Ma che razza di parole.


- (…). Caserta è in subbuglio (…) per una frase che una professoressa di scuola media avrebbe rivolto a un’alunna, che protestava perché il suo test di geografia – uguale a quello di altri compagni – era stato valutato diversamente: 7 invece che 9. L’insegnante – circostanza avvalorata dalle testimonianze scritte dei compagni della bambina – le avrebbe detto: - Ma è perché tu sei diversa, sei nera -. Un’indagine del provveditorato è stata immediatamente avviata, aspettiamo i risultati. Se la frase è stata detta, è stata pronunciata da una persona chiaramente disturbata. È una storia laterale, ma quali danni può produrre? (…). Le parole seminano odio, che poi germoglia. Spargono benzina, a poco a poco, in modo che il giorno in cui un cerino cadrà – per sbaglio o con dolo – tutto prenderà fuoco. Qualcuno pensa che queste considerazioni siano anche troppo ovvie, come ovvio è il fatto che razza è un termine biologicamente privo di significato. Ma bisognerà replicarle sapendo di ripetersi, come antidoto, ogni volta che il veleno della discriminazione s’inietta in un corpo sociale ancora miseramente debole -. Così ha scritto Silvia Truzzi su “il Fatto Quotidiano” con una riflessione dalla quale ho preso a prestito il titolo di questo post. Torino, Firenze, in tutti gli altri “altrove” di questo mondo. Scriveva il grande Albert Einstein: - Gran brutta malattia il razzismo. Più che altro una strana malattia: colpisce i bianchi, ma fa fuori i neri -. Straordinaria intuizione! Da grande genio. Neri, ebrei, omosessuali, poveri, emarginati: quel legno storto che è l’uomo trova sempre il modo di esprimere al meglio la sua stupidità, il suo malanimo che non si riesce a tenere debitamente a freno. È che le parole sono sempre come pietre, come scrisse quel grande indimenticabile che ha nome Carlo Levi nella opera Sua vincitrice del “premio Viareggio” nell’oramai lontanissimo anno 1955. Ho ritrovato tra i miei preziosi ritagli uno scritto di Pino Petruzzelli che è regista, attore, scrittore, del quale mi piace ricordare una Sua opera letteraria che ha per titolo Non chiamarmi zingaro edito da Chiarelettere - € 10, 71 -. Il libro del Petruzzelli è dell’anno 2008 così come, dello stesso anno, è il ritaglio che di seguito trascrivo, pubblicato, allora, sul supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica”, il 7 di giugno. Scrive Predrag Matvejevic, che è scrittore ed accademico bosniaco: - L'uomo non nasce mendicante, ma lo diventa. E non lo diventa soltanto di propria volontà. L'accattonaggio è l'ammonimento agli uomini veri e alle fedi sincere: a quelli chiamati a dare a ciascuno il pane, a coloro che non dovrebbero dimenticare la carità -. Chissà che all’approssimarsi del natale cristiano le parole di Predrag Matvejevic riescano a smuovere i cuori e ad intenerirli un po’. Solo un po’. Ma non solo per il natale che, secondo una pubblicità ascoltata in radio in questi giorni, ci rende naturalmente buoni. Un’assurdità, una bestemmia anzi. Della bontà, che derivi dalla nostra natura, ho da dubitare tanto, tantissimo.

“Da sempre i rom e i sinti sono stati quello che noi avevamo bisogno di vedere in loro. Ora l'incubo ora il sogno, mai esseri umani con le nostre stesse, mille sfaccettature. Nell'immaginario collettivo o suonano il violino o sono delinquenti. In tutti e due i casi, nel bene o nel male, falsità. Proiezioni distorte di nostri bisogni che sfociano nel razzismo. Si obietterà: se lo meritano, gli zingari rubano. È vero, alcuni rom e sinti rubano, come alcuni siciliani sono mafiosi, come alcuni veneti tirano pietre dai cavalcavia, come alcuni professionisti frodano il fisco, ma il fatto che alcuni vadano fuori dalle regole non ne sancisce una generale e aprioristica negazione dei diritti. Molti italiani di etnia Rom e Sinta, perché la maggior parte di quelli che vivono nel nostro territorio sono italiani a tutti gli effetti, vivono mescolati con noi senza che nessuno se ne accorga. In Italia ci sono pittori, professori universitari, neurologi, campioni sportivi, impiegati rom e sinti, per non parlare di quello che accade nel resto d'Europa. In Bulgaria il maggior cardiochirurgo del Paese è rom. Quanti di quelli che amano la musica sanno che il primo grande jazzista europeo Django Reinhardt era zingaro? Quanti di quelli che amano il cinema sanno che Yul Brynner era zingaro? Così come Michael Caine e Bob Hoskins. Persino Charlie Chaplin e Rita Hayworth avevano una parte di sangue zingaro nelle vene. Quanti tifosi che la domenica affollano gli stadi sanno che diversi loro beniamini, anche in odore di Pallone d'Oro, sono zingari? Per noi i rom e i sinti sono solo quelli che chiedono l'elemosina. Ci battiamo per l'abolizione degli zoo, ma mettiamo in piedi campi zingari nei posti peggiori dove ghettizziamo e umiliamo degli esseri umani. Si impedisce a rom e sinti di viaggiare e nello stesso tempo di fermarsi. Eppure ci aspettiamo gratitudine. Vorremmo andare in mezzo a loro e vederli piegati in quattro per ringraziarci. Osservando i luoghi che destiniamo loro nelle città possiamo vedere rappresentato, senza veli o mistificazioni, l'interesse che questo secolo nutre verso quei dimenticati della Terra che prendono a esistere ai nostri occhi solo in campagna elettorale. Gli ultimi sono un ottimo argomento di discussione, un nuovo campo di battaglia. Alla fine delle ostilità, poi, i vincitori andranno a fare festa, i vinti si leccheranno le ferite e il campo di battaglia devastato sarà ripianato e pressato a dovere con un bel rullo, per essere pronto, quando sarà il momento, per nuove battaglie. Noi crediamo di conoscerli, ma in realtà non sappiamo niente di ciò che sono costretti a subire: dagli sgomberi ai rifiuti per le donne a partorire negli ospedali. Questa è la loro quotidianità.”

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