"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 17 marzo 2017

Primapagina. 31 “Quelli che si auto-assolvono”.



Da “Minzolotti” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di marzo 2017: Tecnicamente, quello inscenato ieri in Senato da Pd, Forza Italia e frattaglie varie è un atto eversivo, un abuso di potere, un colpo di Stato contro la Costituzione, svuotata di uno dei suoi principi cardine: l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Un golpe nero che abolisce lo Stato di diritto e legittima l’arbitrio del più arrogante, torcendo in senso antidemocratico la regola delle democrazie parlamentari fondate sulla maggioranza. (…). Sette mesi fa l’ex direttore del Tg1 è stato condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi per peculato nel processo sulle spese personali pagate con la carta di credito della Rai. E una legge dello Stato, la Severino, approvata nel 2012 da tutti i partiti, stabilisce che i parlamentari condannati a più di 2 anni decadono ipso facto dal seggio, rimpiazzati dal primo dei non eletti: il voto della Camera di appartenenza è una semplice presa d’atto della sentenza e delle conseguenze, senz’alcun margine di discrezionalità (come il Pd sbandierava ai quattro venti nel 2013, quando cacciò B. da Palazzo Madama). Dunque da sette mesi Minzolini incassa stipendi e accumula contributi pensionistici abusivi. E, col voto di ieri, continuerà a farlo sedendo sullo scranno di un altro: le sue dimissioni sono fumo negli occhi, visto che non scatteranno finché non saranno approvate dall’aula, che di solito le respinge (almeno al primo scrutinio). Campa cavallo: intanto finirà la legislatura. (…). …quanto accaduto ieri è molto (…) grave: nel ’93 spettava al Parlamento valutare il fumus persecutionis per dare o negare l’autorizzazione a procedere, oggi la decadenza di un pregiudicato è automatica. La Severino non piace ai partiti che 5 anni fa la votarono? La aboliscano e se ne assumano la responsabilità. Non vogliono che i politici delinquenti vengano indagati? Ripristinino l’autorizzazione a procedere e ne paghino le conseguenze. Quello che non possono fare è calpestare una legge dello Stato nella stessa aula che l’aveva approvata; porsi al di sopra delle (loro) regole; e rivendicare il diritto di farlo ogni volta che vogliono con la forza dei numeri del neonato Forza Pd (peraltro falsati da una legge elettorale incostituzionale). Magari la reazione non sarà la violenza evocata da Di Maio, né la gente in piazza (per mancanza di stampa libera). Ma il re è nudo. Chi l’altroieri straparlava di “innocenza fino a condanna definitiva” ieri ha salvato un condannato in via definitiva. Chi si illudeva di arginare l’avanzata dei “barbari” le ha spalancato le porte. E chi strillava alla “gogna” ci ha infilato spontaneamente la testa. Se nessuno tira le monetine, è solo perché la gente le ha finite, o teme che lorsignori si freghino pure quelle.

giovedì 16 marzo 2017

Cronachebarbare. 43 “Quelli che si auto-sospendono”.



Quelli che si auto-sospendono. Quelli che rappresentano il distillato meglio riuscito di quella “casta” di politici che infestano, come la peggiore gramigna, le ubertose contrade del bel paese. Quelli che han perso il decoro della funzione e gettano a palate il discredito sulla politica “tout court”. Quelli che aggrappati ai loro scranni pensano di dover rispondere ai loro facilitatori. Quelli che del popolo sovrano se ne fanno, come suol dirsi, un baffo. Quelli che per i quali non ci sono risultati di elezioni o risultati di referendum che li faccia retrocedere dal loro mal-costume, tanto in essi risulta inveterata l’albagia dei potenti, degli arroganti per consolidato mestiere. Scriveva Francesco Merlo in “Dimissioni” pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 14 di febbraio dell’anno 2013: (…). Le dimissioni (…) salvaguardano l’Istituzione, stabiliscono la differenza tra l’Istituzione e il suo funzionario, tra la Chiesa e il papa, tra il Regno e il re, tra la Repubblica e il presidente, tra la Banca e il governatore, tra il generale e l’Esercito, tra il direttore e il Giornale, ed è la stessa differenza che c’è tra la Specie e l’individuo. “ Le dimissioni”: termine ignoto ai malmostosi della “casta”, putribondi figuri e figuranti del potere peggiore. Salvaguardare “l’Istituzione”? Non è nei loro propositi. E poi, a favore di chi? Si risponde unicamente al “capo” del momento. Tutto il resto sono inutilità, vetero-assembleariste sorpassate. Rottamate. Scriveva ancora Francesco Merlo: (…). Del resto si lascia non solo quando ci si sente ‘al di sotto, ma anche quando ci si sente ‘al di sopra’, (…). Ci sono lavori che sono svolti con spirito dimissionario. Gli insegnanti, per esempio, demotivati e maltrattati, non potendosi dimettere dal lavoro, si dimettono dall’attaccamento al lavoro. In questi casi le vere dimissioni suonano come il tributo della consapevolezza alla dignità. D’altra parte le dimissioni possono essere liberatorie e redditizie, perché l’ufficialità impedisce di coltivare l’ umanità. Ci si dimette per immettersi nella pienezza dei sentimenti, delle emozioni. Ci si può dimettere da manager per immettersi nel padre di famiglia, nell’amico. Ci si può dimettere dalla direzione di un giornale per curare se stessi, i parenti, gli amori, la scrittura, i viaggi, lo studio, gli affari. Francesco Giuseppe fingeva di essere sordo, si dimetteva cioè dalla acusticità, per non dover commerciare verbalmente e intellettualmente con i suoi cortigiani. E lo scrittore Guido Morselli, che morì suicida, vale a dire dimissionario dalla vita, raccontò nel romanzo ‘Divertimento 1889’ che Umberto I di tanto in tanto si ‘dimetteva’ da re e si mescolava alla gente. Ne 1900 fu poi assassinato, vale a dire ‘dimesso’, dall’ anarchico Bresci, il quale, a sua volta, l’anno dopo ‘si dimise’ togliendosi la vita in galera. (…). Del resto il prete può spogliarsi, mai dimettersi; ottiene la dispensa, non l’annullamento. E il Pontefice non può ‘dismettere’ i suoi ponti. Non è previsto  un Pontefice Cincinnato in ritiro operoso, in romitaggio tra gli amati libri  elevati a feticci. L’uomo di Dio deve pregare e non potrà più cedere alla vanità dello studioso, un Pontefice non può tornare professore, il suo unico privilegio sarà denudarsi sino a diventare la propria anima ben prima della morte del corpo e l’arrivo nel Paradiso dove Dante incontra Beatrice: <Avete il Nuovo e Vecchio Testamento / e il pastor della Chiesa che vi guida / questo vi basti a vostro salvamento>. (…). Persino Celestino V,  secondo i pettegolezzi d’epoca, veniva ossessionato durante la notte dai cardinali che, nascosti sotto il letto, gli mormoravano <dimettitti, dimettiti>. Fratello maggiore delle dimissioni è il suicidio, condannato dalla Chiesa con la dannazione eterna. E spesso le dimissioni, proprio come il suicidio, sono ricatti, minacce retoriche: <O fate così o me ne vado>. In Italia abbiamo inventato le ‘quasi dimissioni’ che, come il tentato suicidio, sono un imbroglio morale. C’è infatti una sola maniera, secca e definitiva, per uccidersi, come c’è una sola maniera per dimettersi: tornarsene a casa e farsi dimenticare. (…). Mi va di ricordare ancora una volta quel tale signore teutonico a nome Uli Hoeness che, condannato in primo grado per un reato tributario, non acconsentì al suo legale di intraprendere la via dell’appello e si “dimise” dalla “vita libera” presentandosi, all’indomani della condanna, dinnanzi il portone dell’istituto penitenziario di quel paese per scontare la pena inflittagli a nome del popolo tedesco derubato. Trascorrendo così ben quattro anni di “galera”, interamente scontati. Mentre nel bel paese della mala-politica si apprestava, ad un signore condannato per lo stesso reato, l’indecoroso palcoscenico di una dimora per anziani in quel di Cesano Boscone. Con tanto di telecamere e microfoni postati all’uscita della stessa dimora  pronti a carpire l’alto pensiero di un pubblico, riconosciuto tale da un legittimo tribunale, frodatore. Ignorato il termine “dimissioni” nell’era avvelenata della mala-politica è diventata diffusissima la “pratica” della “auto-sospensione”.

mercoledì 15 marzo 2017

Scriptamanent. 80 “Il populismo della paura”.



Da “Il populismo della paura” di Roberto Toscano, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 15 di marzo dell’anno 2016: (…). Populismo? Certo, se per politica populista intendiamo il dare risposte semplici a problemi complessi e dire alla gente quello che la gente vuole sentire, non quello che è giusto dire. (…). Il populismo è sempre esistito, e si può anzi dire che costituisca una componente di ogni ricerca del consenso. Va anche aggiunto che i politici con tasso di populismo uguale a zero non hanno mai avuto molto successo, mentre lo stesso non si può certo dire degli iper-populisti, disinvoltamente incuranti sia della coerenza che della logica, ma spesso vincenti. E allora ha più senso passare dalla forma al contenuto. Il populismo che in tutta Europa, e non solo in Germania, è diventato un serio fattore è un populismo molto specifico: il populismo della paura. Paura d’invasione da parte di centinaia di migliaia di persone che vengono a rubarci il lavoro in tempi di stentata crescita economica e a competere sul terreno dei benefici sociali in un momento in cui il welfare tende ad essere ridotto. La paura non ha solo una natura economica, ma tocca la sfera dell’identità culturale (gran parte dei migranti sono musulmani) e della sicurezza (quanti terroristi possono infiltrarsi fra i migranti?). Tutti problemi reali ai quali andrebbero date risposte serie in termini sia di razionalità politica sia di sostenibilità economica, ma senza dimenticare chi siamo come europei. O forse verrebbe da dire come credevamo di essere, visto che in quasi tutti i paesi dell’Unione sembra aumentare una deriva xenofoba che minaccia di distruggere la nostra identità molto di più che non la comparsa del velo islamico nelle nostre strade o di minareti nei nostri paesaggi. Il populismo della paura parte dai problemi reali per passare a proposte del tutto fantasiose. «Chiudere le frontiere»: come se l’esperienza non avesse abbondantemente dimostrato che i movimenti di popolazione possono essere regolati, non totalmente impediti, e che non si è ancora inventato un confine davvero invalicabile. «Proibire l’ingresso dei musulmani»: dimenticando che in Europa già ci sono milioni di musulmani come prodotto dell’eredità coloniale (Regno Unito, Francia) o delle esigenze economiche (Germania), tanto che sarebbe giusto parlare non solo di migranti musulmani, ma anche di “musulmani europei”. «Sospendere Schengen»: una prospettiva che minaccerebbe di essere fatale per l’Unione Europea, e che per noi italiani risulterebbe particolarmente negativa, dato che ci troveremmo nelle condizioni in cui si trova la Grecia, dove sono bloccati migliaia di rifugiati senza sbocco. (…). Risposte semplici (e insensate) a problemi complessi. Ma i dirigenti politici che cavalcano la paura, anzi la stimolano sistematicamente, hanno un’agenda che va oltre il problema delle migrazioni.